Domenico Ferraro – Roberto Leydi e il “Sentite buona gente”. Musiche e cultura nel secondo dopoguerra, Squilibri, 2015, pp. 550 + 56 foto in b/n, Euro 32, Libro con CD+DVD

Ecco un libro destinato a restare. Perché la poliedrica figura di Roberto Leydi (Ivrea 1928 - Milano 2003) è quella non soltanto di un pioniere dell’etnomusicologia italiana, intesa come studio e ricerca scientifica sulle musiche di tradizione orale, ma anche di un protagonista che attraversa la cultura italiana del secondo Novecento che si apre al mondo dopo i patimenti subiti sotto il fascismo. Nella sua enorme messe di trame e interessi culturali, di ingenti scritture e progetti, Leydi intreccia un incredibile assortimento di relazioni intellettuali, da Vittorini a Grassi, da Strehler a Paci, da Berio a Maderna, da Eco a Kezich, da Jannacci a Gaber – e l’elenco potrebbe continuare – in un momento storico nel quale si producevano diverse formulazioni teoriche e proposte di azione sociale e politica rispetto alla cultura popolare (pensiamo alle posizioni di personalità quali de Martino, Pasolini, Calvino, Fortini, ma anche all’ideologia del PCI in tema di mondo popolare). Forse è un bene che vicissitudini editoriali abbiano condotto un filosofo come Domenico Ferraro (direttore editoriale della casa editrice Squilibri), che si dichiara “analfamusico”, piuttosto che musicologi a intraprendere questa enorme, faticosissima indagine rivelatrice che restituisce un ritratto inedito dello studioso di Ivrea, personalità insofferente verso le ripartizioni rigide degli ambiti disciplinari e le prescrizioni ideologiche della politica romana. L’opera di Ferraro assume la fisionomia di una densa discussione sulla storia delle idee nel nostro Paese, messa in moto attraverso la lente di osservazione di chi è al di fuori di eredità disciplinari o di scuole accademiche riconducibili agli indirizzi di studio etnomusicologico. L’autore parla di un “illuminismo padano” nel quale inscrivere la figura di Leydi, facendo riferimento a un ceto intellettuale che in un certo senso prendeva le distanze dall’orientamento culturale che aveva contraddistinto il farsi dell’etnomusicologia italiana di matrice meridionalista in quello che è stato definito il “decennio straordinario” (1951-1961). Lo studio di Ferraro non si può collocare nell’ambito di una semplice biografia, anche se attraversa larga parte della luminosa carriera di Roberto Leydi, che sin da giovane è stato giornalista, autore di importanti reportage, critico musicale interessato al jazz, al blues, alla musica popolare americana, ma anche all’avanguardia (qui ricordiamo la creazione dello Studio di Fonologia a Milano e “Ritratto di Città” con Berio e Maderna). Naturalmente, c’è la sua presenza come autore televisivo, di radio e di spettacolo, c’è quella dell’eminente studioso di tutte le espressioni del mondo popolare, con le ricerche a tutto campo in Italia e all’estero (com’è noto imponente l’archivio di registrazioni che ha lasciato), il suo ruolo di promotore dell’istituzione dell’Ufficio Cultura del Mondo Popolare della Regione Lombardia (poi divenuto Archivio di Etnografia e Storia Sociale). Non da ultimo, ma non è centrale nella discussione di Ferraro, la docenza al DAMS di Bologna, dove Leydi è iniziatore di una vera e propria scuola accademica. La profonda ricognizione su questa straordinaria personalità serve a comprendere appieno le ragioni che portano Leydi, nella stagione 1966-67 del Piccolo Teatro di Milano, a concepire lo spettacolo teatrale “Sentite buona gente”, che si avvale della consulenza di Diego Carpitella (nel volume si dà conto anche del rapporto tra i due studiosi, delle rispettive prospettive teoriche e analitiche, del confronto sulle ragioni dello spettacolo teatrale, e si superano anche alcune delle convenzioni, diciamo, di carattere storiografico sulle distanze esistenti tra i due studiosi) e della regia di Alberto Negrin (all’epoca assistente alla regia di Strehler). Lo studioso piemontese partiva dal convincimento dell’importanza, sul piano pubblico, del “teatro di musica” come passaggio verso una nuova cultura: ricordiamo che con la regia di Filippo Crivelli aveva prodotto pochi anni prima il “Bella Ciao” che aveva “scandalizzato” il Festival Dei Due Mondi di Spoleto. “Sentite buona gente” (il titolo è derivato dalla formula di invito all’attenzione richiesto dai cantori ambulanti che si ritrova in molte culture popolari) si proponeva di dare voce ai protagonisti del mondo popolare, di testimoniare l’esistenza di un’espressività musicale “altra” a Milano presentata dai musici terapeuti del tarantismo del Salento guidati dal violinista Luigi Stifani, dalle tre sorelle Bettinelli, cantatrici di Ripalta Cremasca, dai Cantori di Carpino con i grandi Andrea Sacco e Michelantonio Maccarone, dalla polivocalità della Compagnia Sacco di Ceriana, dai suonatori di Maracalagonis, dagli spadonari di Venaus, dai musicisti e danzatori di San Giorgio di Resia dai Tenores di Orgosolo, accompagnati da un Peppino Marotto la cui presenza sul palco con la sua biografia era finalizzata ad un vero e proprio “colpo di teatro”. Si riconosceva la legittimità di portare fuori dai contesti tradizionali testimoni dotati di qualità spettacolari universali, capaci di “mettere in scena” i loro saperi musicali, in qualità di rappresentanti di “scholae cantorum”, per usare la definizione cara a Carpitella. Esecutori proposti senza alcuna mediazione esplicativa, senza forme di stilizzazione o di interpretazione da parte di musicisti urbani borghesi. I protagonisti del “Sentite Buona Gente” erano stati scelti in base al loro ruolo di specialisti, la cui capacità era riconosciuta dalle comunità contadine e pastorali, loro che avevano una propria figurazione artistica semiprofessionale anche all’interno dei contesti di provenienza, del tutto smaliziati, e pronti ad assecondare, consapevolmente, gli accorgimenti scenici richiesti da Negrin. Il volume dà conto di tutte le fasi di costruzione dello spettacolo teatrale, che fu concepito in polemica con il “Ci ragiono e canto”, ideato da Dario Fo e dal Nuovo Canzoniere Italiano, da cui Leydi si era da poco allontanato. Ciò ci conduce a un’altra traccia che attraversa il volume e che investe gli sviluppi del folk revival in Italia fino a metà degli anni Settanta, con la successiva stagione militante della canzone di lotta e di protesta, il teatro politico, le divergenze non solo con l’altro padre dell’etnomusicologia italiana, ma anche con Gianni Bosio, con cui aveva condiviso ricerche e studi. Oltre agli scritti di presentazione dello spettacolo: “Incontri con il mondo popolare”, “Le ragioni dello spettacolo”, a firma Carpitella e Leydi, le “Note sulla realizzazione” di Alberto Negrin, il volume contiene le schede di presentazione dei gruppi partecipanti. Al libro è accluso un DVD, che è la riduzione televisiva dello spettacolo teatrale realizzata da Lino Procacci per la RAI, ma mai trasmessa dalle reti nazionali. Nel libro troviamo anche estese note di commento e di trascrizione dei testi delle registrazioni contenute nel CD allegato, scritte espressamente per questa pubblicazione di Squilibri da diversi studiosi. Il CD audio è una bella antologia di brani raccolti sul campo in vista dello spettacolo da Leydi, Carpitella e Negrin in Abruzzo, Friuli, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, tra di loro ci sono le cantatrici di Cerqueto di Fano Adriano, i Cardellini del Fontanino e i poeti improvvisatori aretini, che non presero parte allo spettacolo. Oltre a scritti inediti, il libro contiene le fotografie di Alberto Negrin, scattate sul campo nel corso delle rilevazioni che precedettero lo spettacolo, e quelle di Luigi Ciminaghi, prese nel corso delle prove al Lirico di Milano. Ancora sulla figura dello studioso piemontese, sempre per l’editrice romana è in uscita il volume del maestro della fotografia Ferdinando Scianna “In viaggio con Roberto Leydi” (con postfazione di Nicola Scaldaferri), un racconto, corredato naturalmente da molte immagini che, sul filo della memoria, ripercorre le esperienze sul campo e duratura amicizia tra i due intellettuali. Per finire, è da segnalare l’allestimento della mostra multimediale “Roberto Leydi e il Sentite Buona Gente”, inaugurata lo scorso 16 aprile e in prosecuzione fino al 17 maggio 2015 all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Curata dallo stesso Domenico Ferraro, la mostra prevede anche incontri ed esibizioni di gruppi in una certa misura eredi di quelle tradizioni portate sul palcoscenico nel 1967 da Leydi, Carpitella e Negrin. La mostra è promossa dall’editore Squilibri in accordo con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la collaborazione di AESS-Archivio di Etnografia e Storia Sociale, il Centro di dialettologia e di antropologia di Bellinzona, il Piccolo Teatro di Milano e la RAI. 


Ciro De Rosa
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