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Mesoraca, 1984 - Foto di Antonello Ricci |
L’occasione di questo incontro di studio con Steven Feld è per me particolarmente gradita per l’amicizia che mi lega a lui da diversi anni e per la stima che nutro verso di lui come studioso e ricercatore. Per questo motivo, per aver organizzato questo evento e per avermi invitato a partecipare ringrazio particolarmente Fulvio Librandi e Carlo Serra. Pensando a questo incontro ho riepilogato i passaggi che mi hanno condotto a conoscere Steve e la sua innovativa e suggestiva prospettiva sul mondo dei suoni come struttura culturale e come codice di accesso alla comprensione in senso totale della dimensione culturale del mondo. Fra il 1985 e il 1988 stavo lavorando intorno ad alcuni temi di ricerca e stavo portando avanti la mia tesi di laurea con Diego Carpitella su un repertorio di canti polivocali femminili della provincia di Cosenza. Nei percorsi bibliografici che stavo seguendo ho trovato due articoli di Steve che mi hanno aperto un panorama inedito e stimolante sul rapporto complesso e, per me, insospettato che si poteva rinvenire tra elementi acustici, sonori e musicali e forme, comportamenti e rappresentazioni culturali di un gruppo umano. Gli articoli erano: Sound Structure and Social Structure, uscito nel 1984 sulla rivista Ethnomusicology e Sound as a Symbolic System: the Kaluli Drum, uscito nel 1986 in un volume miscellaneo dedicato a David McAllester. Sulla base di quegli scritti ho potuto meglio orientare alcune intuizioni che avevo avuto in merito al fatto che quando delle persone cantano o suonano oltre che emettere suoni stanno anche rappresentando la loro società e la loro cultura nel senso totale del termine. E ho anche potuto cominciare a mettere insieme altri elementi, oltre quelli che già avevo appreso tramite l’insegnamento di Diego Carpitella, che l’orecchio come sistema percettivo è un veicolo complesso e stratificato frutto di scelte e di conseguenti differenze culturali. Nel 1990 ho letto Sound and Sentiment. Birds, weeping, poetics and song in Kaluli expression, libro fondativo di un nuovo approccio a un’antropologia del suono. Il volume era già arrivato alla seconda edizione (la prima è del 1982) e nel 2012 è stato riedito per la terza volta in occasione del trentesimo anniversario della sua uscita. Grazie all’iniziativa dell’amico Carlo Serra, il libro è stato tradotto in italiano nel 2009.
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Mesoraca, 1984 - Foto di Antonello Ricci |
Questo libro è stato per me determinante nell’orientare il mio approccio di ricerca sul campo a Mesoraca e la successiva elaborazione della ricerca confluita nei due volumi Ascoltare il mondo, antropologia dei suoni in un paese del Sud d’Italia del 1996 e la successiva riedizione del 2012 con apparati multimediali
Il paese dei suoni. Antropologia dell’ascolto a Mesoraca (1991-2011). La metodologia di ricerca di comunità che ho messo in atto deriva in gran parte dalle sollecitazioni del libro di Steve. Successivamente abbiamo avuto modo di conoscerci e di rivederci grazie a iniziative realizzate dai colleghi etnomusicologi dell’Università Sapienza di Roma, non solo in occasioni istituzionali, ma anche di tipo conviviale. Abbiamo anche ipotizzato e progettato alcune iniziative insieme, come la pubblicazione in italiano del suo testo di commento alle fotografie dell’artista Virginia Ryan, Guardare attraverso la trasparenza, uscito su Voci del 2006, le interviste, o meglio le conversations come ama definirla Steve, Musica/Antropologia/Popoli indigeni uscita su AM-Antropologia Museale del 2004 e Collaboration in/through Ethnographic Film: a Conversation uscita su Voci del 2015. L’arricchimento culturale e scientifico e le molteplici piste di ricerca sul suono e sull’ascolto che ho potuto attivare grazie all’incontro con Steven Feld mi hanno portato a sviluppare e a proporre una prospettiva metodologica della ricerca etnografica che ho chiamato “Antropologia dell’ascolto” e di cui vorrei esporre sinteticamente alcuni aspetti in questo intervento. Nella culturale occidentale la vista è considerato il principale canale di relazione con la realtà e di controllo del mondo: sarebbe, insomma, il primo veicolo della conoscenza. È una acquisizione che ha radici nella cultura greco-classica, principalmente nella organizzazione aristotelica dei sensi che ha avuto un definitivo consolidamento nel Rinascimento. Secondo tale organizzazione dell’ambito sensoriale, peraltro non proprio quella che propone lo stesso Aristotele, ma la successiva elaborazione filosofica, l’udito è il “secondo senso”, essendo la vista il primo. Più che discutere sul primato fra i sensi, a mio avviso, sarebbe opportuno riflettere intorno al fatto che nell’esplorazione della realtà, nel modo con cui la realtà del mondo viene acquisita, manipolata e trasformata, entrano in gioco i codici propri di ogni cultura: l’ambito sensoriale non è un fatto naturale, dato una volta per tutte dalla biologia, ma risente dei periodi storici, dei sistemi culturali di riferimento, del contesto ambientale entro cui si situa. Si può affermare con una certa sicurezza che in ambiti culturali con una prevalente trasmissione bocca/orecchio – orale/aurale – della cultura, l’ambito sensoriale si presenta con una differente gerarchia da quella sopra indicata. Alla base di questo intervento si trovano alcuni ambiti di studio che riporto qui di seguito in maniera sommaria.