
#BF-CHOICE “Agreste” è la seconda opera del trio Mirabassi (clarinetto), Renzetti (voce) e Taufic (chirarra). Dopo l’esperienza di “Correnteza”, dedicata alla musica raffinata di Antonio Carlos Jobim, uno dei padri fondatori del Brasile musicale contemporaneo, i tre, in un certo senso, si lasciano alle spalle l’esotismo tropicalista, rivolgendosi all’interior, l’entroterra del Brasile, un viaggio che li porta a confrontarsi e a mettersi in un certo senso all’ascolto di alcune aree interne della nostra Penisola, dalla Sardegna all’Abruzzo. Sono tre musicisti che non necessitano di presentazioni: Mirabassi è un enorme talento, un artista onnivoro, che si muove con disinvoltura tra musica classica e jazz di confine con incursioni nel mondo tradizionale e world. Vedere il suo trasporto sul palco, con il corpo che asseconda le frasi del suo strumento è uno spettacolo in sé. Da anni, per di più, persegue una approfondita ricerca sulla musica popolare brasiliana che lo ha portato al meraviglioso sodalizio con Guinga. Cristina Renzetti, cantante ternana, con radici abruzzesi, ha collaborato con la brasiliana Tati Valle nel duo As Madalenas. Roberto Taufic, di residenza italiana, nato in Honduras, di origine palestinese da parte di madre, cresciuto in Brasile, dove si è formato anche musicalmente. Del senso del nuovo lavoro, della solidità emozionale del trio e dell’amore per il continente sonoro brasiliano parliamo con l’indaffaratissimo clarinettista umbro.
L’immagine rappresenta un paesaggio sardo. Proviene dall’archivio di Pierluigi Dessì, un autentico fuoriclasse della fotografia, che è amico del nostro produttore, Michele Palmas. Il titolo deriva dal fatto che tutti i pezzi parlano di terra, di vita contadina, di situazioni rurali, di nostalgia della campagna, di figure tipiche dell’interior brasileiro, visto che l’ottanta per cento dei materiali sono brasiliani. La mia idea originale era proprio di intitolarlo “Interior”, giocando con il doppio significato, perché in portoghese “interior” significa anche entroterra, ma in italiano non esiste questa duplice accezione e quindi non si sarebbe colto il doppio significato. “Agreste” va bene lo stesso, perché il significato è condiviso da entrambe le lingue.
C’è un’idea di base per un repertorio che spazia tra luoghi e tradizioni musicali?
Avevamo fatto un primo disco insieme sulla musica di Jobim, che sta all’opposto di questo mondo: è la musica sofisticata e urbana per antonomasia. Invece, dalla convivenza in noi tre, Cristina, Roberto ed io, dell’interesse a vari livelli verso il Brasile, sappiamo che al di là dello stereotipo della bossa nova, uno dei marchi identitari più forti – anche musicalmente in termini di repertori più profondi, più sentiti, più emozionanti – è quello della cosiddetta musica caipira, dove caipira sta per contadina, c’è anche una chitarra a 10 corde che si chiama viola caipira. Il mondo caipira è anche un suono. La maggior parte di un territorio enorme come il Brasile è l’interno, se si esclude quella lunga striscia di costa da noi conosciuta: il Brasile vero è quello interiore. Anche la maggior parte del popolo che affolla le coste è scappato dalle siccità le carestie dall’interno.

C’è stata una selezione dei materiali brasiliani?
C’è stato un continuo confronto. All’inizio volevano fare qualcosa monografica sul Minas Gerais e su Milton. Poi si è imposta l’idea di non fare qualcosa di monografica, abbiamo approfittato dell’idea di Milton per allargare ilo fuoco, mettiamoci anche il nostro interiore, a mano a mano che si definiva questa idea andavamo proponendo l’uno all’altro suggestioni e pezzi. Quando la reazione degli altri era entusiasmo allora il pezzo veniva inserito. Perché poi scopri che ogni pezzo è associato a fasi biografiche significative. Per me, è molto importante, ad esempio, “Fruta Boa” di Milton Nascimento – uno dei più riusciti del disco – che ha una storia dietro…
Ho suonato per tanti anni in duo con Gianmaria Testa, un duo durato circa venti anni, che si ricavava uno spazietto per qualche tournée ogni anno. Entrambi facevano cose che con gli altri non facevamo. Alla scuola di Gianmaria, ho imparato a seguire i testi delle canzoni, me l’ha insegnato lui. Prima ero uno che era annoiato dalle canzoni, attratto solo dal linguaggio musicale, anzi il testo mi distraeva o non trovavo motivo di ascoltare un testo se non era anche abbastanza interessante musicalmente. A lui devo l’amore che pian piano mi è venuto per questa prodigiosa forma di poesia musicata che si accende nella misura in cui ciascuna delle due componenti fa un piccolo passo indietro, perché sono rarissime le canzoni che possono essere citate autonomamente senza musica come fossero poesie e sono pochissime le canzoni che mantengono la loro grandezza senza che ci sia un grande testo. I due elementi pur se non autonomi, quando sono dosati con maestria, diventano una roba che raddoppia la potenza di ciascuno. Gianmaria – che non sapeva un tubo di musica brasiliana – aveva da sempre una passione sviscerata per “Fruta Boa”, tant’è che glielo avevo tradotto e fornito una versione semplificata per suonarlo alla chitarra. Finalmente, eravamo arrivati intorno a “Fruta Boa” alla definizione di un repertorio per documentare questi venti anni di duo. Con ogni probabilità, il disco si sarebbe chiamato proprio “Fruta Boa” e avevano già date in studio di registrazione riservate, ma non abbiamo più fatto in tempo… Questo “Fruta Boa” mi era rimasto lì. Quindi sono felicissimo di aver trovato il contesto dove realizzare questa cosa, con due dei miei miglior amici, mantenendo quel senso profondo che c’era anche nel rapporto con Gianmaria, era un duo fondato sull’amicizia non sulla professione, proprio come questo trio.
Un trio perfetto sul piano umano, tutto il resto di conseguenza si mette a posto. Sono tra i miei musicisti preferiti, perché abbiamo uno spettro talmente enorme di background in comune di sensibilità comune che rende tutto molto facile e rende questo trio una magia. Possiamo davvero suonare tirando l’elastico fino a che non si spezza. Suoniamo delle cose molto delicate, con molta parsimonia ma con un rigore da un lato ossessivo mantenendo la libertà assoluta, Suoniamo in modo sempre diverso sapendo che nessuno andrà fuori tema e sapendo anche che se dovesse succedere, non ci sarà mai un giudizio da parte degli altri o un rimprovero ma anzi un ringraziamento per aver tentato di ampliare la ricerca. È al qualità dello stare insieme.
Quindi l’emotività di un pezzo è importantissima per suonarlo?
C’è solo quella. Come avevamo fatto con Jobim, non abbiamo mai registrato una nota, un testo che non fosse necessaria per la nostra vita, non so come dirti. Non c‘è un calcolo, Ci sono cose nelle quali siamo affettivamente coinvolti e delle quali siamo innamorati.
Nella scelta del programma è molto presente Dorì Caymmi, di cui riprendete tre brani: “Desenredo”, “Estrela da terra” e “Viver na fazenda”.
Caymmi è un gigante poco conosciuto da noi, Non è che abbiamo cercato nel canzoniere di Dorì ma è che quando pensavamo al mondo agreste i pezzi più importanti che ci venivano in mente erano i suoi. È una delle nostre grandi passioni comuni.

Si tratta di un classico, un inno al mondo caipira. È il pellegrinaggio. Un uomo è a cavallo verso il santuario di Pirapora: cerca nella fede il sollievo alla durezza della vita caipira, fatta di sogno e di polvere, di lazo e nodi di giberne e jilò. Come padre un plebeo, per madre la solitudine, i fratelli persi nella vita in cerca di avventure.
Poi c’è “Disparada”, manifesto musicale e politico di opposizione alla dittatura dei primi anni Sessanta del ‘900. Tu che conosci e frequenti il Brasile, che sensazione hai? I tempi sembrano nuovamente molto bui…
I tempi sono drammatici, ma è un periodo globalmente complicato. C’è Trump negli stati Uniti che ancora più preoccupante di Bolsonaro. Ma il disco lo abbiamo concepito prima degli eventi politici brasiliani. Per “Disparada”, che è un pezzo bellissimo, c’è ancora l’utilizzo di questa figura, di questo cavaliere, che è una specie di Don Chisciotte, la rivolta di questo cow boy. Come tanta letteratura dell’epoca per evitare la censura della dittatura si usavano delle metafore. Ci piaceva astrattamente l’idea del canto metaforico per raccontare la corruzione del potere.
Sei il musicista più brasiliano d’Italia, quando è iniziata questa tua missione?
Tutto ha inizio da quando ho conosciuto Guinga nel 2003, compositore, cantante e chitarrista, nato nelle favelas di Rio. Abbiamo fatto dischi insieme (“Graffiando Vento”, 2004, “Dialetto Carioca”, 2007, ndr); ho suonato con lui in Brasile. Non conoscevo quasi niente del Brasile, dove ho scoperto il rapporto con l’emozione, ho visto teatri interi in lacrime, non pensavo fosse possibile. Ho pianto sul palco insieme a lui…

Il Brasile è un continente sonoro, la tua esplorazione continua?
Continua anche perché in questi anni, avendo frequentando tanto, ho altrettante relazioni professionali lì come qui. Ho amici e colleghi, possibilità di lavorare con musicisti brasiliani. C’è un radicamento, anche se negli ultimi anni ho rallentato un po’ per via della gravità della situazione economica più che politica. A Gennaio ero lì, a breve ci ritornerò. C’è una qualità della musica, dei musicisti, un senso profondo del farla. Una qualità del pubblico, se posso dirlo. C’è un modo di fare questo lavoro che è straordinario, per me è un enorme privilegio farne parte in qualche modo. Inoltre, mi ha dato un altra grande opportunità. Io invidio i ragazzi che oggi scoprono “La Sagra della Primavera” o Beethoven o “Kind of Blue” di Miles Davis: insomma, questi primi ascolti che hanno sconvolto la storia della musica. Io mi ricordo le sensazioni pazzesche di queste mie scoperte. Dopo tanti anni, pur ascoltando nuova bella musica, ma fatalmente le cose così grosse finiscono. Io in Brasile essendo totalmente ignorante, ho scoperto un continente intero, anche se ero formato musicalmente, per quel mondo ero totalmente vergine, ho dovuto ricominciare daccapo ad essere l’adolescente che scopre capolavori pazzeschi per la prima volta. Un altro motivo di gioia per me.

In questo trio non c’è un leader. Ad ogni modo, c’è un modo diverso di porsi. È come quando inviti qualcuno a casa o se sei un ospite. Alla fine, la qualità della serata è la stessa in ogni caso. A piace molto la collaborazione, mi piace molto essere chiamato da musicisti che amo a fare l’ospite anche se è un situazione scomoda perché arrivi lì a suonare cose che non hai mai suonato con un gruppo di persone che suonano quelle cose dalla mattina alla sera.. Hai tutti i privilegi dell’ospite, ma se c’è uno che può rovinare la serata sei proprio tu… (ride, ndr). Questa cose mi stressa un po’ ma mi piace da morire, anzitutto perché accetto sentendo che c’è una ragione affettiva dietro. Non che io abbia tutta questa grande influenza sui biglietti o sui dischi venduti. Se musicisti che adoro pensano che posso portare quel pizzico di sale in un meraviglioso piatto che mancava solo dì quello sono lusingato e mi diverto come un pazzo. un Ho avuto sempre discografici, agenti e addetti stampa che mi rimproveravano di fare mille cose diverse, Invece, penso che sia fondamentale per un musicista. Se ho un mondo poetico e musicale non è che è venuto dalla nascita e dal DNA, ma deriva in larga parte dalla qualità straordinaria degli incontri con la creatività di altri musicisti che sempre mi circondano. Dove la trovo la mia musica se non mi sporco le mai con quelle altrui?
Cosa ha in cantiere Gabriele Mirabassi?
È’ uscito un disco con Enrico Zanisi, un giovanissimo pianista di Roma: ha 29 anni ed un genio. Lì suoniamo improvvisazioni, pezzi nostri e lieder di Schumann, Poi sono in studio per registrare con due musicisti straordinari pugliesi: Nando Di Modugno e Pierluigi Balducci. Andrò in Brasile a registrare pezzi scritti per me da André Mehmari per clarinetto ed orchestra d’archi. Sto suonando molta musica da camera. È uscito da poco un secondo disco con Guinga.
State portando in giro il progetto?
Sì, ma non tantissimo per via del fatto che io sono oberato e che Taufic in inverno fa come le rondini e se ne torna in Brasile. Faremo Umbria Jazz. Lo scorso dicembre abbiamo fatto una cosa strepitosa in Trentino, ad Arte Sella, in una zona colpita dalla tromba d’aria lo scorso ottobre, ospitando noi il Coro Valsella e Mario Brunello È stata un’esperienza meravigliosa, dove abbiamo riletto anche la tradizione alpina intervenendo pesantemente sull’armonia. Il Coro è autorevole, tra i più antichi della regione, rappresenta la memoria storica del canto alpino, il luogo è quello che è: è stato emozionante.
Ciro De Rosa
Gabriele Mirabassi/Cristina Renzetti/Roberto Taufic – Agreste (S'ard Music/Egea, 2019)

Salvatore Esposito