Superando dubbi e perplessità, Dori Ghezzi ha di recente scritto pagine dense di poesia, in un cui famiglia, incontri, eventi musicali, persone amiche, emozioni (e molto altro) si amalgamano, rendendo luminoso il ricordo di Fabrizio, a quasi venti anni dalla prematura scomparsa. Inizialmente tra loro due solo incroci sporadici, poi l’incontro casuale in uno studio di registrazione a Milano. Un caffè, sguardi intensi, alcune parole, l’ascolto dell’allora inedito “Valzer per un amore”. Infine, lo scambio dei numeri di telefono, un ritrovo con alcuni conoscenti e subito si sprigiona la passione “… che ci avrebbe rapiti. Definitivamente e per sempre, non facendoci più perdere”. Nel ricordo di Dori affiorano significativi dati biografici, tra cui i primi anni di vita passati da Fabrizio a Revignano d’Asti, dove imparerà ad apprezzare e ad amare la natura. Inoltre, il rapporto conflittuale con il padre Giuseppe, la diversità caratteriale con Mauro, brillante fratello maggiore, e l’amore filiale verso Luisa, la madre. Proseguendo, leggiamo di alcuni eventi imbarazzanti giovanili compiuti dal cantautore genovese, che “… era curioso e innamorato di tutto, deciso a trovare ossigeno al di fuori dei salotti buoni genovesi”. Il padre era benestante. Proprietario di diverse scuole private, ricoprì cariche pubbliche e operò come alto dirigente dell’Eridania. Mauro si affermò negli studi e professionalmente. In casa De André, tre uomini di carattere e una donna, Luisa, anch’essa determinata, “trait d’union” nella comunicazione familiare. Prima di condividere uno stesso tetto, tra Dori e Fabrizio vi furono alcuni incontri riservati, poi la convivenza presso quello che chiamavano il “… Residence Ghezzi, un appartamento a Milano dove vivevamo tutti insieme, con i miei genitori e la famiglia di Fiore (sorella di Dori)”. Un’idea di casa aperta, nel rispetto reciproco. Un’idea di vita che troverà applicazione anche nel casale dell’Agnata, vicino a Tempio Pausania, dove decideranno di andare a vivere: “Quando con Fabrizio ci siamo trasferiti, a metà degli anni Settanta, ci piaceva molto il divario immediato tra la città che avevamo vissuto fino a quel momento e questo paradiso isolato che avevamo scelto”. L’idea fu di realizzare un’azienda agricola e pastorale, nella quale investirono molti risparmi. Giuseppe regalò loro il primo toro. In alcune pagine, Dori scrive dell’amore viscerale che il cantautore genovese aveva per la campagna e, in generale, per la natura, luogo ideale nel quale ritrovare se stessi e “l’autentica dimensione umana”, ma anche luogo dove sviluppare la propria vena artistica senza vincoli. Proverbiale era la “lentezza” con la quale De André si rapportava alla professione, tanto da indurlo a evidenziare che “… la realtà che raccontiamo va trasformata in qualcosa di esteticamente valido. Oltre che utile. Sarà magari per questo motivo che ho una media temporale di composizione quasi geologica”. Dori scrive anche della propria evoluzione artistica e di una vita vissuta sempre all’insegna del “Let it be”. Quando era bambina, nella loro casa di Lentate sul Seveso, abitava uno zio che suonava la chitarra.
Nel 1966, quando aveva ventidue anni, la convinse a fare un provino radiofonico. Lo vinse e qualche tempo dopo incise il primo 45 giri. Da qui, una serie di concerti anche internazionali (“… ogni sera ci si esibiva in una località diversa”), fino all’incontro con Wess, musicista raffinato. Il duo ebbe successo, riuscendo a vendere un numero considerevole di dischi. Nel 1975, vinsero “Canzonissima”. È lo stesso anno in cui si consolidò il rapporto con Fabrizio. Giornali un po’ bigotti dell’epoca scrissero della loro “liaison” nel modo “più trito degli stereotipi” anche quando si venne a sapere che Dori era in dolce attesa. La figlia, Luisa Vittoria, Luvi, nacque nel 1977, a Tempio Pausania. Nell’agro dell’Agnata, isolato dai contesti urbani e immerso in decine di ettari di boschi incontaminati, il 27 agosto del 1979, i cantanti vennero rapiti. La notizia riempì le pagine di giornali e rotocalchi. “Uno scherzo lugubre” - pensò inizialmente Fabrizio - che purtroppo si protrasse per circa quattro mesi, con le giornate trascorse prevalentemente incappucciati, in condizioni disagiate. Nella disavventura, annota Dori con lirismo, la consapevolezza di essere “vivi insieme … la sensazione inconfessabile, vicino a Fabrizio, di avere tutto quello di cui avevo bisogno. Avevo lui…ovunque lui fosse, là era l’Eden”. Con i carcerieri un rapporto spesso contrastato, poi la liberazione avvenuta a dicembre, qualche giorno prima di Natale. Nei confronti di chi ci aveva tenuto in prigionia “non avevamo rancore … potendoci fare del male non l’avevano fatto … Noi eravamo cantanti - prosegue Dori - che erano stati rapiti: e che alla fine del rapimento avevano deciso di uscire da un episodio - terribile, lacerante: ma sempre un episodio della loro vita ritornando alla loro vita”. Nello scorrere del racconto autobiografico, Dori approfondisce qua e là il rapporto con una serie di persone amiche, come Fernanda Pivano, Paolo Villaggio, Cesare Zavattini, Lucio Battisti, Marco Ferreri, Patti Smith, Vasco Rossi, Sergio Cusani, Luigi Tenco. Inoltre, evidenzia alcune particolarità del carattere di Fabrizio “pigro per natura ma che poteva rimanere sveglio a lavorare su quello che gli interessava per venti ore di seguito senza sentire il peso della fatica…”. Fabrizio bevitore, fumatore, innamorato, curioso, bello, colto, benestante, intelligente, poeta, cantautore ribelle, refrattario alle convenzioni, amante del gioco delle carte, dell’astrologia e della natura, libertario, attento a solidarizzare con i più deboli, a suo modo anarchico, ma sempre determinato anche durante i mesi della malattia incurabile.
Consapevole del proprio destino, ha scritto: “Il cancro qui lo esorcizzano e poi lo seppelliscono. Sarei rimasto volentieri”. Con poesia venata di malinconia e con l’attenzione rivolta al presente e al futuro, Dori rievoca i mesi del calvario ospedaliero, assistiti dai medici dell’Istituto dei Tumori di Milano, in una stanza dove era stato apposto il cartello “letto rotto”, per evitare intrusi e garantire riservatezza: “Quando Fabrizio se n’è andato, alle due e un quarto dell’11 gennaio 1999, s’è portato con sé tutto quello che non sarebbe stato più, con tutti i momenti che avevamo trascorso insieme… Ci hai preparato costringendoci a consegnare alla morte una goccia di splendore; epperò, con tutta la nostra conoscenza, con tutte le prove che abbiamo superato per accettare il fatto di essere soltanto e per fortuna esseri umani, comunque ci hai spiazzato fino all’ultimo. Sappiamo tutte le tue canzoni a memoria e ci hai fatto, comunque, trovare impreparati”. “Lui, Io, Noi” (Einaudi, 2018) è l’opera dalla quale abbiamo principalmente ricavato le informazioni sopra riportate, riferite soprattutto alla dinamica storia d’amore e artistica tra Dori e Fabrizio. È stata scritta con sentimento in collaborazione con Francesca Serafini e Giordano Meacci, sceneggiatori di “Principe libero”, film televisivo dedicato alla vita di De André. Il testo è ricco di erudite citazioni. In generale, la bibliografia di De André è estesa. In suo onore è attiva, a Milano, una “Fondazione” la quale, sotto l’egida di Dori e Luvi, persegue l’obiettivo di continuare a valorizzare a vari livelli l’operato del cantautore genovese. Intensa è la collaborazione della “Fondazione” con l’Università di Siena e con altri Centri di cultura. Di seguito, a favore del lettore, abbiamo ritenuto utile riportare cronologicamente alcuni cenni biografici e ricordare le principali opere discografiche e letterarie di Fabrizio De André.
Appunti biografici
Nato a Pegli nel 1940, ha passato la prima infanzia nella “Cascina dell’Orto” di Revignano d’Asti, tornando a vivere nella capitale ligure alla fine della seconda guerra mondiale. A quattordici anni ha iniziato a studiare la chitarra con Alex Giraldo, poco dopo entrando a far parte del gruppo “The Crazy Cowboy and Sheriff One”. Durante gli studi liceali, ha iniziato ad approfondire la conoscenza della musica jazz e dei cantautori francesi, in particolare di Georges Brassens (determinante anche per formazione artistica di Nanni Svampa). A venti anni, la sua prima composizione: “La ballata del Miche’” (in collaborazione con Clelia Petracchi); l’anno successivo incide il primo 45 giri, “Nuvole barocche”. Parallelamente s’iscrive a Giurisprudenza. Nel 1962, si sposa con Enrica Rignon. A dicembre, nasce il figlio Cristiano, cantante e musicista. Tra le canzoni del periodo, “La guerra di Piero” e “La canzone di Marinella”; successivamente, “Il fannullone” e “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”, in collaborazione con l’amico Paolo Villaggio. Per la “Karim”, pubblica il primo LP, “Tutto Fabrizio De André”. Nel 1967, scrive “Preghiera in gennaio”, dedicata a Luigi Tenco. Con l’interpretazione di Mina de “La canzone di Marinella”, il cantautore genovese inizia ad avere successo nazionale, grazie anche a collaborazioni con il poeta Riccardo Mannerini e il compositore Gian Piero Reverberi, con cui realizzerà “La buona novella” (1971), disco prodotto da Roberto Dané.
Nello stesso anno incide “Non al denaro non all’amore né al cielo”, prendendo spunto dall’Antologia di “Spoon River”, tradotta in italiano da Fernanda Pivano, la quale in vario modo valorizzerà l’opera artistica di Fabrizio. Del 1973 è “Storia di un impiegato”, realizzato in collaborazione con Nicola Piovani e Giuseppe Bentivoglio. Nel 1974, De André conosce Dori Ghezzi; pubblica il long playing “Canzoni” e collabora con Francesco De Gregori all’album “Volume 8”. Nel 1975, da un’amica, acquistano la tenuta denominata l’“Agnata” (situata vicino a Tempio Pausania), caratterizzata da un casale ottocentesco, immerso in un’incontaminata foresta di querce. A Novembre, nasce la figlia Luisa Vittoria. Alla fine degli anni Settanta, sono da evidenziare l’album “Rimini” e un tour di concerti con la Premiata Forneria Marconi, dal quale verranno realizzati due LP.
Come in precedenza evidenziato, nell’agosto del 1979, Fabrizio e Dori vengono rapiti e liberati il 20 dicembre. L’attività artistica riprende subito. Fondano l’etichetta discografica FADO, per la quale inciderà anche il Gruppo in cui all’epoca suonava Cristiano De André. Nel 1980, il disco “Una storia sbagliata”, realizzato in collaborazione con Massimo Bubola. L’album più di rilievo degli anni Ottanta è verosimilmente “Crêuza de mä”, al quale parteciparono numerosi musicisti, tra cui Mauro Pagani, con il quale collaborerà anche per il cd “Le Nuvole” (1990). Agli inizi degli anni Novanta, De André inizia una prima tournée teatrale; dal 1993 al 1996, lavorerà al (pluripremiato) cd “Anime salve”, scritto con Ivano Fossati, prodotto (e arrangiato) da Piero Milesi, nel quale apportarono il contributo numerosi musicisti tra cui Vladimir Denissenkov. Nello stesso anno, viene pubblicato il romanzo “Un destino ridicolo”, scritto con Alessandro Gennari. Nel 1997, una tournée che riscuote enorme successo, alla quale partecipano anche i figli, Cristiano e Luvi. Tra le incisioni di quell’anno, è da evidenziare il duetto con Mina nell’interpretazione de “La canzone di Marinella”. Nel 1998, il ricovero in ospedale, a Milano.
“Fabrizio è qui con noi, quotidianamente, ogni volta che ne parliamo”
A quasi vent’anni dal decesso, abbiamo voluto ricordarlo, prendendo spunto da quanto rievocato con amore e passione da Dori Ghezzi, determinata nel dimostrare l’unitarietà delle loro vite terrene anche “negli anni in cui per forza di cose erano rimasti separati”. Una storia scritta con poesia, la quale trascende i dettagli tecnici riferiti al successo in ambito discografico; dettagli che i lettori potranno facilmente approfondire nella ricca biografia dedicata all’autore genovese. Di certo, Fabrizio (Faber, Bicio, Bi, come lo chiamavano in famiglia e gli amici) è stato uno dei massimi interpreti della cosiddetta “Scuola” genovese e della canzone italiana, ambito nel quale si è sempre distinto sapendo trattare con raffinatezza, humanitas e stile temi delicati, quali guerra, religione, prostituzione, vita, morte, dolore. Fuori dagli schemi convenzionali, nel turbinio degli anni della contestazione e dell’“esistenzialismo”, si seppe ben differenziare, divenendo “il” cantautore degli emarginati e degli sconfitti.
Fernanda Pivano ha scritto che “è stato il più grande poeta che abbiamo mai avuto”. Affermò Fabrizio: “Io credo di essere sempre riuscito a fare meglio i testi che non le musiche”. Nei suoi primi album la parola ebbe il sopravvento sulla musica, riconoscendo il proprio debito verso Brassens, Dylan e Cohen. Tuttavia, sono innegabili i tratti di originalità nella poetica di De André, come pure il suo desiderio di raffinare, negli anni, la ricerca musicale, collaborando con musicisti e compositori di calibro. In Italia, “Crêuza de mä” rimane opera simbolo degli anni Ottanta, per certi versi anticipatrice di una dilagante tendenza “world”, che si nutre di contaminazioni tra la musica popolare e gli altri generi musicali. Con interesse osserviamo che le canzoni di Fabrizio, ormai da lungo tempo, sono inserite in antologie letterarie e analizzate a livello accademico, come avviene con regolarità, ad esempio, presso l’Università degli Studi di Siena, nel Corso di “Poetica e stilistica su storia e forme della canzone”. Sarebbe, però, assai limitativo confinare la vitalità di Fabrizio nei soli corsi accademici (proprio lui che a pochi esami dalla laurea non volle completare gli studi universitari). Nelle sue (circa) duecento composizioni, vi è un’infinità di frasi, rime e aforismi, che si contraddistinguono per attualità in termini d’idee e contenuti, poiché gli anni passano e mutano i contesti e le situazioni, ma alcuni meccanismi che sono a fondamento della vita rimangano punti fermi in termini di riflessione umana. De André con i suoi testi invitava al ragionamento, guardando al “piccolo”, ma scrivendo con spirito universale. E lo faceva con stile, da sognatore capace di far sognare, aiutato da una voce calda e inconfondibile, invitando a guardare oltre i muri, all’occorrenza abbattendoli, con incuranza del mainstream e del pensiero ufficiale. Certo, negli anni in cui operò, diversi cantautori si scagliarono contro il potere e il sistema. Era “à la page”. Tuttavia, secondo chi scrive l’opera di De André avrà lunga vita in ambito letterario, essendo un artista di spessore per molti versi atemporale, deceduto prematuramente, dopo aver lasciando nel solco della canzone italiana un segno indelebile, umano e artistico. Un solco nel quale scorrono tematiche riferite alla giustizia sociale, alla valorizzazione della vita e alla partecipazione del cambiamento, promuovendo ideali e sentimenti con l’ausilio di canzoni che sono realtà sognate, ma che per essere rese concrete hanno bisogno di gesti reali. Un solco tracciato con impegno alla costante ricerca di un mondo nel quale il canto e la musica potessero divenire mezzo di espressione, per dare spazio a chi non ha voce nella società o a coloro che vogliono far risaltare estremi stati d’animo come, ad esempio, la solitudine, nella consapevolezza che ci si può sentire isolati in mezzo a mille persone e felici in compagnia di se stessi.
Quello di Fabrizio era un canto capace di far riflettere sui valori, ben sapendo come questi, a seconda del periodo e della latitudine, possono diventare disvalori e viceversa. Nelle sue canzoni vi sono al centro persone e singole storie pregne di “spiritualità”, meritorie di essere cantate laicamente, compresa quella di Gesù, da lui ricordato come “il più grande rivoluzionario di tutti i tempi che … combatteva per una realtà integrale piena di perdono, diversamente da altri che combattevano e combattono per imporre il loro potere”. Il cantautore ha un ruolo nella società. Può aiutare a far riflettere, a riconoscere coloro che pensano con la propria testa e quanti preferiscono lasciare che siano gli altri a pensare. L’artista non può essere indifferente, è un anticorpo nella società, può stimolare la meditazione individuale e collettiva. Un po’ tutte le canzoni di Fabrizio erano parte di un “grande inno”, scritto a favore di una storia della pace, ancora tutta da scrivere, poiché quella insegnata nei libri è ancora prevalentemente intrisa di guerre e di violenza, magari usata nella società con accanimento contro chi ruba un pezzo di pane perché ha fame o chiede dignitosamente l’elemosina per sopravvivere. Le diseguaglianze e i disagi sociali spesso vengono strumentalizzati e convengono agli estorsori di consensi, consimili che ben sanno come sono facilmente orientabili gli esseri umani emarginati, senza lavoro, difese e risorse finanziarie. Quelli menzionati sono tutti temi cari a Fabrizio, il quale ha speso la propria esistenza donandosi, promuovendo nobili ideali, ricordandoci attraverso alcune sue scelte di vita il valore artistico del silenzio, della solitudine (che può portare a forme straordinarie di libertà) e della natura, poiché “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”. Dori Ghezzi ha evidenziato che “ogni giorno qualcuno mi riconosce e mi chiede di lui”. Leggere quanto da lei raccontato in “Lui, Io, Noi” potrà essere uno dei numerosi modi per affermare che, a circa vent’anni dalla sua dipartita, Fabrizio è tra noi ed è di tutti coloro che vorranno continuare ad apprezzare la sua arte e le sue canzoni, guardando in avanti e pensando pure ai possibili utilizzi nella formazione intellettuale delle giovani generazioni, nel segno di una libera cultura olistica sapientemente aperta al cambiamento.
Paolo Mercurio