Roberto Leydi, emblema e caposcuola dell’etnomusicologia italiana

Cenni agli scritti e alle opere
Nato a Ivrea il 21 febbraio del 1928, Roberto Leydi presto si trasferì a Milano, iniziando a lavorare come giornalista e critico per l’ “Avanti” e per il “Festival di Musica Contemporanea” (di Venezia). 
Foto di Ferdinando Scianna
Come autore in RAI, nell’ambito delle attività dello “Studio di Fonologia Musicale” di Milano, collaborò con Luciano Berio (anche in “Mimusique”, 1953) e Bruno Maderna per l’opera sperimentale di musica elettronica e concreta titolata “Ritratto di Città” (1954). In un’intervista del 2002, ebbe modo di ricordare come iniziò ad avvicinarsi alla musica popolare italiana, a seguito della pubblicazione (scritta con Tullio Kezich) di “Ascoltami mister Bilbo” (1954), una raccolta di canti americani di protesta. Nel 1953, Leydi pubblicò un ampio saggio sulle origini popolari della musica afro-americana, inserito nell’ “Enciclopedia del jazz”, edita dalle “Messaggerie Musicali”, con contributi di Giancarlo Testoni, Arrigo Polillo e Giuseppe Barazzetta. Scrisse diversi articoli per la rivista “Jazz Hot” e curò le edizioni italiane delle opere “Il jazz”, di Iain Lang e “La vita appassionata di Gershwin”, di René Chalupt. Nel 1961, scrisse una biografia di Sarah Vaughan.  Come giornalista, dal 1957 al 1972, collaborò stabilmente con l’“Europeo”, spesso lavorando in coppia con Ferdinando Scianna, fotografo siciliano, il quale ha condensato numerosi ricordi professionali e di studio in una pubblicazione titolata “In viaggio con Roberto Leydi”, edita nel 2015. Negli anni Cinquanta, Leydi iniziò ad approfondire la conoscenza e la diffusione del canto sociale in Italia e, in seguito, quello della musica popolare in generale.  Importante fu l’incontro con Gianni Bosio (di origini mantovane, fondatore, nel 1949, della rivista “Mondo Operaio”) e con altri studiosi, tra cui, Alberto Maria Cirese (fondatore della Rivista “La Lapa”, specializzata in studi storico-letterari e di cultura popolare). Fondamentale l’incontro con la cantante folk Sandra Mantovani, sposata nel 1953, con la quale Leydi condurrà numerose campagne di ricerca nel nord dell’Italia, i cui esiti verranno riportati in diverse pubblicazioni editoriali e discografiche, tra cui il “Dizionario della musica popolare europea” (1970) e “I canti popolari italiani” (1973, 120 testi e musiche, con la collaborazione di Cristina Pederiva). Negli anni Sessanta, la collaborazione artistica dei coniugi si rese concreta anche in diversi spettacoli teatrali e musicali di successo, di cui si riferirà in seguito. Leydi si dimostrò ricercatore instancabile, operando ad ampio raggio, consapevole del proprio ruolo primario di studioso a livello nazionale e internazionale. Come esperto di musica popolare, si contraddistinse subito per doti culturali e per capacità organizzative e di mediazione con le istituzioni pubbliche e private. Costantemente proteso ad approfondire i diversi argomenti presi in esame, si preoccupò di trovare il modo per diffondere adeguatamente gli esiti delle ricerche a un vasto pubblico, fornendo corretta informazione. 
Fu un eccellente “conversatore dotto e trascinante” (così lo definì Umberto Eco), capace di operare su più fronti, utilizzando la comunicazione secondo differenti livelli. Il tomo “La Musica dei Primitivi” (1961, completamento di ricerche iniziate alcuni anni prima) è opera basilare per comprendere la sua evoluzione di etnomusicologo, per scrivere la quale dovette confrontarsi retrospettivamente con i più rigorosi studi di musicologia comparata riferiti alle musiche extra europee, utili per affrontare con disciplina le numerose tematiche tipiche dell’etnologia musicale. Alla fine degli anni Sessanta, iniziò a collaborare con la “RSI- Radio della Svizzera italiana”, sia per la televisione (Enciclopedia TV, D’altri canti, A suon di Banda, etc.) sia per la “Rete Due”, come ad esempio nella serie di trasmissioni monografiche titolate “Canzoni sopra il rigo”. Di tali collaborazioni (che proseguirono anche negli ultimi anni vita), si può trovare traccia nei film “Roberto Leydi - un ricordo” (con la regia di Renzo Rota, TSI, 2003) e “Roberto Leydi. L’altra musica” (con la regia di Aurelio Citelli, Provincia di Milano, 2004).  Nel settore discografico, Roberto Leydi fu tra i promotori delle Edizioni “Bella Ciao”, con i “Dischi del Sole”, molti dei quali direttamente collegati alle attività dell’Istituto di ricerca “Ernesto de Martino”. Inoltre, si distinse come Direttore dell’etichetta “Albatros” (Edizioni Armando Sciascia), nella quale furono pubblicati oltre duecento lavori etnomusicali corredati di fogli informativi, con sezioni dedicate alla musica popolare americana, alla musica etnica internazionale, alle ricerche etnomusicologiche universitarie e, naturalmente, alla musica popolare italiana ed europea. Negli anni Settanta, superando non poche difficoltà burocratiche, a Milano, Leydi diede vita all’ “Ufficio per la cultura popolare della Regione Lombardia”, promuovendo la ricerca e l’attività didattica, successivamente concentrata presso il “Laboratorio di Animazione Teatrale e Spettacolo Popolare”, all’interno della “Scuola di Arte Drammatica, Piccolo Teatro” di Milano. Di tale Accademia divenne direttore, dal 1977 al 1986. A livello regionale curò numerose pubblicazioni testuali e discografiche interdisciplinari dedicate alla cultura tradizionale, poi confluite nella serie denominata “Mondo popolare in Lombardia”. Dal 1972, operò come docente di etnomusicologia, presso il DAMS di Bologna, prima come incaricato, successivamente come ordinario. Tale posizione accademica gli permise di coordinare numerose attività di ricerca verosimilmente in tutte le regioni italiane. In questo contesto, vanno ricordati anche i ruoli istituzionali ricoperti come direttore del “Dipartimento di Musica e Spettacolo”, coordinatore del “Dottorato di Ricerca in Musicologia” (1982) e presidente dell’ “Associazione dei docenti universitari italiani di musica” (1993). 
Foto di Ferdinando Scianna dal volume "In viaggio
con Roberto Leydi" (SquiLibri, 2015)
Suoi principali collaboratori universitari furono Febo Guizzi e Tullia Magrini, il primo considerato massimo esperto di etno-organologia in Italia, la seconda particolarmente attenta a promuovere interdisciplinarmente l’antropologia musicale e ad approfondire gli stilemi della musica greca, in particolare quella cretese.  Oltre ad aver curato importanti mostre sugli strumenti musicali tradizionali, Leydi e Guizzi portarono a termine rilevanti ricerche sullo sviluppo della zampogna in Europa e sugli strumenti della musica popolare in Sicilia. Tra i collaboratori esterni al DAMS, merita particolare menzione Pietro Sassu, esperto di musica sarda e, in particolare, di polifonia paraliturgica popolare.  Fino al 2002, Leydi collaborò con l’Università svolgendo attività di formazione anche presso la “Scuola Superiore di Studi Umanistici” dell’Università di Bologna, diretta da Umberto Eco.

“Il Nuovo Canzoniere Italiano” (1962-1965)
Nel 1962, a Milano, Gianni Bosio e Roberto Leydi costituirono il “Nuovo Canzoniere Italiano” (NCI), centro di ricerca dal quale uscirà, per diatribe interne, nel 1966, anno in cui venne fondato (sempre a Milano) l’ “Istituto Ernesto De Martino”. Durante il 1962, nel NCI confluirono i componenti dei “Cantacronache” di Torino facenti capo a Sergio Liberovici. A luglio, edito dalle Edizioni “Avanti”, venne pubblicato il primo fascicolo dell’ NCI, a cura di Leydi e Liberovici. Sin dalla prima pubblicazione, il NCI si propose a livello nazionale quale punto di riferimento per un’obiettiva e moderna ricerca a favore della cultura popolare. In parallelo all’attività professionale e di ricerca musicale, Roberto Leydi operò sul versante teatrale, curando spettacoli tra cui il noto “Milanin Milanon” che, nel 1962, riscosse subito successo in termini di pubblico e di critica. Lo spettacolo venne presentato al “Teatro Gerolamo” di Milano, con la regia di Filippo Crivelli. Interpreti dello spettacolo furono Sandra Mantovani, Tino Carraro e Milly, Anna Nogara ed Enzo Jannacci. 
Foto di Ferdinando Scianna dal volume "In viaggio
con Roberto Leydi" (SquiLibri, 2015)
Nel gennaio del 1963, uscì il nuovo numero della rivista, nel quale Leydi divenne curatore unico. Nel settembre dello stesso anno, si rese necessaria una nuova pubblicazione della rivista nella quale, a fianco di Leydi, collaborarono attivamente Fausto Amodei e Michele Straniero. Di questo periodo, si evidenziano contributi relativi a “La canzone popolare, il mercato della musica e i giovani” e al rapporto folklore-contemporaneità, riferendosi ai concerti eseguiti da Sandra Mantovani, Michele Straniero e Fausto Amodei in Italia e all’estero. L’anno 1964 fu particolarmente intenso per il NCI. In aprile venne pubblicato il quarto numero della rivista, con l’apertura dedicata alla presentazione della rassegna “L’altra Italia” curata da Roberto Leydi. Inoltre, venne documentata l’intensa attività del “Nuovo Canzoniere Italiano” riferita a spettacoli pubblici nonché a edizioni testuali (vol.1 dei “Canti sociali italiani” scritto da Roberto Leydi) e discografiche (de “I Dischi del Sole”). Lo spettacolo “Bella Ciao” venne presentato, a giugno, al “Festival dei Due Mondi” di Spoleto, diretto da Giancarlo Menotti. Curato da Roberto Leydi, con la regia Filippo Crivelli e i testi di Franco Fortini, lo spettacolo prevedeva un programma tutto di canzoni popolari italiane. Le accese diatribe nei media decretano la fortuna dello spettacolo anche negli anni a venire, con centinaia di repliche e circa centomila copie di dischi venduti, grazie anche al supporto influente del produttore Giovanni (Nanni) Ricordi (1932-2012). La quinta pubblicazione della rivista de “Il Nuovo Canzoniere Italiano” (per le “Edizioni del Gallo”) uscì nel febbraio 1965, sempre a cura di Roberto Leydi, in collaborazione con Amodei, Bermani, Della Mea e Straniero. Tra le numerose attività del periodo, lo  spettacolo “Pietà l’è morta.
La resistenza nelle canzoni” (verosimilmente in quegli anni lo spettacolo prediletto dagli esecutori del NCI), curato da Leydi, Crivelli e da Pirelli, presentato in anteprima al Teatro Regio di Parma (il 21 aprile del 1964). Un articolo a firma di Bosio e Leydi titolato “Discussione aperta” pose in risalto un consuntivo dell’attività del Gruppo, accennando anche ai fatti accaduti a Spoleto. Nel settembre del 1965, fu pubblicato il sesto numero della Rivista, l’ultimo curato da Roberto Leydi. In apertura, con il consueto impegno, scrisse un breve saggio su “Nuova canzone e rapporto città-campagna oggi”, prospettando la necessità di un allargamento della ricerca folclorico-musicale anche verso quella che definì la nuova canzone, che si stava sviluppando soprattutto nei centri urbani. 

Un quadro composito e cosmopolita
Da quanto sin qui succintamente scritto, emerge la complessa attività culturale svolta da Roberto Leydi, ma almeno una fugace menzione meritano numerose altre pubblicazioni (cui dovrebbe essere riservata trattazione specifica), tra le quali “Eroi e fuorilegge nella ballata americana”, (1958); “Musica popolare e musica primitiva” (Torino, 1960); “Camillo Benso conte di Cavour” (Milano, 1961); “Il melodramma italiano: un documentario critico, sull'avventura italiana del più borghese spettacolo del mondo: ascesa e caduta dell'opera in musica da Bellini a Menotti” (Milano, 1961); “Canti sociali italiani” (Ed. Avanti, Milano, 1963); “Osservazioni sui canti d’argomento religioso non liturgici” (scritto con Annabella Rossi, Milano 1965); “Gli inni e le preghiere cantate dalla Fratellanza giurisdavidica, Lazzarettisti, del Monte Amiata” (Milano, 1966); “Il Folk music revival”, (a cura di, 1972); “Le trasformazioni socio-economiche e la cultura tradizionale in Lombardia” (a cura di, «Quaderni di documentazione regionale», n. 5-6, Milano, 1972); “Quattro strumenti popolari italiani: organetto, launeddas, piffero, violino” (Como, 1976);
“La musica popolare a Creta”, (Milano, 1983); “Musica e strumenti popolari in Europa” (TCI, 1985), “L’altra musica. Etnomusicologia” (1991), “Gelindo ritorna. Il Natale in Piemonte” (2002, con nota di Umberto Eco). Nel 1973, scrisse il saggio “La canzone popolare”, per la “Storia d’Italia dell’Einaudi” e, nel 1980, la voce  “Italy folk music” per il “New Grove's dictionary of music and musicians”, e  Italy, in “Ethnomusicology: Historical and Regional Studies”, (1993). Negli anni Novanta, diresse la collana “Alia Musica”, della LIM (Libreria Musicale Italiana, di Lucca), della  quale ricordiamo la “Guida alla musica popolare in Italia” (1996) e “Gli strumenti musicali e l'etnografia italiana 1881-1911” (in collaborazione con  Febo Guizzi, 1996); “Tanti fatti succedono al mondo. Fogli volanti nell’ “Italia settentrionale dell’Otto e del Novecento” (con Paolo Vinati, Brescia 2001). Scrisse diversi contributi per “Culture musicali: quaderni di etnomusicologia” (semestrale della “Società Italiana di Etnomusicologia”). Dal 1979 al 1982, operò nel Comitato di Redazione della rivista “Laboratorio Musica”, diretta da Luigi Nono. Curò, inoltre, la sezione “Musica popolare” di varie edizioni dell’ “Autunno Musicale” di Como.  Nel settore radiofonico e televisivo, oltre alle collaborazioni con la “Televisione della Svizzera Italiana”, vanno ricordate le consulenze e le interviste per la RAI nonché la collaborazione con il regista Renato Morelli, per la produzione di trasmissioni sulla musica popolare presso la sede di Trento. Determinanti i suoi contributi e il coordinamento degli studi per la valorizzazione dei canti religiosi di tradizione orale e degli strumenti musicali tradizionali (“Strumenti musicali e tradizioni popolari in Italia”, sempre in collaborazione  con Febo Guizzi, 1985). Importanti contributi scrisse riguardo a “Musica e musiche della tradizione alpina” (Atti del convegno di Studi sul tema “Cultura popolare dell'arco alpino”, 1985), e a “Musiche nella Svizzera Italiana” (1987). Curò anche la raccolta “Canté bergera: la ballata piemontese dal repertorio di Teresa Viarengo” (1995). Per “Electa”, curò la pubblicazione dell’opera “Canti e musiche popolari italiane” (1990), inoltre condusse ricerche e scrisse saggi sulla conoscenza e la diffusione tra i ceti popolari delle melodie del teatro d’opera anche in riferimento ai mezzi di riproduzione meccanica (1988). Sempre nel 1988 partecipò, insieme a Pietro Sassu, al secondo “Colloquio di Pedagogia della Musica”, i cui esiti furono riportati in un “Quaderno di Musica applicata”, dal titolo “L’educazione musicale tra accademismo scolastico e culture popolari”.
Foto di Ferdinando Scianna dal volume "In viaggio
con Roberto Leydi" (SquiLibri, 2015)
Una particolare attenzione dedicò al Teatro di “Animazione popolare” (1958, con Renata Mezzanotte Leydi; a Milano, nel 1980, fu curatore di un’importante mostra a Palazzo Reale dedicata a burattini, marionette e pupi), ai cantastorie (1978 e 1981) e al circo (si veda, del 2002, la presentazione alle attività di ricerca nella quale si cimentarono soprattutto Sandra Mantovani e Alessandra Litta Modignani). Non risulta sia stata ancora scritta una “Raccolta” sistematica degli articoli giornalistici e delle presentazioni a opere di altri autori.

La cultura è conquista
Il lascito culturale di Roberto Leydi è di straordinaria importanza per la cultura musicale e non solo. Per quanto riguarda Milano merita di essere annoverato tra i cittadini illustri che - con impegno, lavoro e testimonianza diretta -  contribuì a rendere grande la città e a farla conoscere nel mondo. Durante un “Convegno” degli anni Ottanta, evidenziò che “… la cultura è conquista”. Promosse tutte le sue conquiste con generosità e sensibilità paterna, donando all’umanità gli esiti della propria ricerca, che invita a dare valore alle realtà musicali locali, liberandosi da (nocivi) sentimentalismi, ragionando globalmente nel segno della passione e del rigore, del confronto culturale, della libertà di pensiero e della tolleranza tra i popoli. Nella ricerca, Roberto Leydi perseguì obiettivi di diffusione massiccia della cultura popolare a tutti gli strati sociali, secondo un modello di analisi e di studio sempre attuale e da rivalutare. L’estesa opera di ricerca e di diffusione sulla cultura popolare, non dovrebbe tuttavia far dimenticare lo spessore umano dello studioso. In merito, riteniamo significativi gli autorevoli commiati scritti da Giacomo Baroffio (15.2.2003), Luciano Berio (21.2.2003), Umberto Eco (6.3.2003) e le interviste rilasciate da Moni Ovadia e Febo Guizzi nel decennale della sua scomparsa, i quali hanno testimoniato il valore di un amico, maestro e cittadino del mondo.

Memoria maxima, guardando al futuro
Roberto Leydi apparteneva alla “Italian Great Generation”, comprendente cittadini nati nei primi decenni del secolo scorso i quali, dopo le atrocità della Guerra, si sono rimboccati le maniche e, lavorando senza risparmio, hanno ricostruito un’intera nazione portandola alle più alte vette. Erano cittadini di varia estrazione sociale che sapevano operare con sguardo d’insieme, con spirito costruttivo di socialità condivisa.  In anni recenti, sempre più viene rivolta attenzione alle culture tradizionali ormai proiettate in una dimensione globale.
Ed è (paradossalmente) proprio in tale dimensione che, a nostro avviso, negli anni a venire, le ricerche integrate etnomusicologiche condotte da Roberto Leydi verranno riscoperte e rivalutate, riuscendo ad acquisire una nuova luce, aprendo nuove prospettive di studio, di ricerca e di diffusione, con grande beneficio per quanti delle generazioni future avranno interesse a riscoprire le proprie radici culturali.  Data la mole di materiali di ricerca e di studio, ci siamo imposti di tralasciare i ricordi personali, a favore dei dati oggettivi. Così facendo abbiamo potuto dare poco risalto alla personalità di Leydi, che era uomo espansivo, spiritoso (e amante della sana tavola), il quale sapeva apprezzare, a differenti livelli, il valore profondo della “semplicità”. Abbiamo avuto l’onore di essere stati suoi allievi e, conoscendone l’opera complessiva, sappiamo che il percorso per valorizzare compiutamente quanto mise a disposizione dell’umanità sia ancora in buona parte da tracciare. Siamo sicuri che i suoi materiali di ricerca e di studio potranno essere di preziosa utilità per quanti vorranno inoltrarsi nei percorsi sconfinati dell’humanitas musicale, per provare a dare concrete risposte ai fini del superamento della crisi identitaria (umanistica), tipica delle moderne società, altamente tecnocratiche, caratterizzate dalla frammentazione e dalla specializzazione, nelle quali vi è sempre più la tendenza a mettere in secondo piano (se non addirittura ignorare) tutto ciò che è immateriale e non quantificabile finanziariamente. Per le ragioni espresse e per ragioni storiche, l’opera culturale di Roberto Leydi resterà “evergreen”, motivo che ci induce a pensare che di lui e del suo generoso contributo alla cultura molto si parlerà negli anni a venire e (certamente) non solo in ambiti musicali universitari. 

Paolo Mercurio

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