Nata nel 1976, Yasmine Hamdan è cresciuta tra la guerra civile libanese e le migrazioni tra i Paesi del Golfo e la Grecia. Figlia di una famiglia di intellettuali progressisti, nei suoi ascolti giovanili si fondono la canzone araba – dall’amata conterranea Fairuz all’egiziana Oum Kalthoum – il classicismo europeo e il pop-rock anglo-americano. Divenuta musicista, a metà degli anni Novanta accende la scena indie-elettronica e trip-hop libanese con il duo Soap Kills. A Parigi, dove risiede dal 2005, prosegue con collaborazioni di prestigio: nel 2009 nasce il sodalizio con il produttore Mirwais Ahmadzai per il progetto Y.A.S. e l'album “Arabology”; per il cinema, invece, recita e canta in “Only Lovers Left Alive” di Jim Jarmusch. Esordisce da solista con “Ya Nass” (Ehi gente) per Crammed Discs (2012) e incide, cinque anni dopo, “Al Jamilat” (Le belle), sempre per l’etichetta belga. Il 2025 segna il ritorno con “I Remember I Forget”, ancora su etichetta Crammed, prodotto da Marc Collin, leader dei Nouvelle Vague, che aveva già curato il suo debutto. Volendo sintetizzare il disco in una riga, parleremmo di un raffinato pop arabo di impronta elettronica, ma faremmo torto alla profondità d’anima e alla ricerca sonora di Hamdan. È un lavoro concepito tra Parigi e la sua Beirut: una riflessione sull’esilio e la memoria, un disco personale, politico e fortemente poetico di un’artista multilingue che attinge tanto al mondo panarabo quanto ai suoni globali. Così spiega Yasmine:“Per questo disco avevo bisogno di radicarmi in un luogo specifico: il Libano. Il legame con la mia terra e la sua storia recente ha costituito la base della scrittura. Tuttavia, nel processo creativo, questo luogo è
diventato un simbolo, una metafora e una catarsi per ciò che accade a livello globale. Nonostante il dolore nel testimoniare il destino della mia terra natale, i sentimenti sono stati superati da un senso di tenerezza e speranza. Beirut è stata generosa con me”.
Hamdan fa riferimento alla devastante esplosione nel porto di Beirut del 2020, al collasso economico del Paese, senza tacere dell’aggressione militare israeliana che ha colpito la capitale libanese negli ultimi due anni.
La sconvolgente esplosione (sentita fino a Cipro) è evocata in “Hon”, primo dei dieci brani scritti da Hamdan in prevalenza in collaborazione con Collin, è il singolo che si avvale anche delle parole del poeta palestinese Anas Alaili. Un’inquieta tessitura di tastiere ed elettronica (Marc Collin), chitarra (Cédric Le Roux) e oud (Hareth Mhedi) trasmette il profondo senso di trauma e angoscia di chi come Yasmine, da lontano, guardava sul suo telefono le terribili notizie che arrivavano dalla sua terra: “Cos’altro resta da dire / Una terra minuscola / Con una ferita aperta / Alcune persone restano / E altre svaniscono / Nuvole nel soggiorno / L’oscurità seduta accanto a me / Il mio corpo trema e la TV è accesa / È finita / Cos’altro resta da dire / Una terra minuscola/ Con una ferita aperta”. Se il brano nasce pensando al Libano, l’ascolto porta inevitabilmente a riflettere anche sul massacro genocidario a Gaza. Il secondo brano, “Shmaali” è la rivisitazione con marcata dose di elettronica che riproduce il suono degli aerofoni tradizionali, di un canto popolare palestinese. Con Hamdan è la sorella Tina ai cori nella canzone. È intonato un “tarweeda”, stile eseguito tradizionalmente dalle donne per dare voce a gioie ma anche rimostranze. Utilizzato principalmente durante le cerimonie nuziali e altri eventi significativi comunitari, ma pure per cantare espressioni in codice trasmettendo messaggi ai detenuti sotto le mura delle carceri nel periodo ottomano e poi durante il mandato britannico. Il video che accompagna il brano, opera del cineasta palestinese Kamal Aljafari,
utilizza materiali d’archivio, che erano stati sequestrati dall’esercito israeliano nel 1982 presso il Palestine Research Center di Beirut. Per decenni sono rimasti inaccessibili. Aljafari ha avuto accesso e li ha riassemblati per restituirli al suo popolo la propria memoria visiva. Canzone d’amore di tono retrò è “Shadia”, dai lineamenti doo-wop e modi in levare, fluttuante tra volumi di synth, mentre Yasmine canta: “Abbiamo detto tutto, habibi/ Il mondo è a pezzi / L'idea mi logora/ I buoni sono morti/ Quanto sa essere crudele la vita/ Cosa mi sta succedendo? / Non ne sono sicura / Sono confusa/ Andiamo a dormire, ti va? / E a letto, stringimi a te”. La voce limpida di Yasmine splende in “The Beautiful Losers”, scritta con il siriano Omar Harb. La title-track ingloba elementi desert blues su gonfie e martellanti tastiere, synth e programmazione elettronica (Marc Collin e Công Minh Pham e Cesar “Cubenx” Urbina), percussioni e chitarra (Sanou & Hischam) ed archi arabi diretti da Khalil Jerro e il canto amaro, straniato e straniante di Hamdan: “Ricordo per dimenticare/ È marcio dall’interno/ Ricordo per dimenticare/ Uccidere è normale/ Mentire è normale/ L’incompetenza, normale/ Rubare è normale/ La manipolazione è normale/ L'intimidazione è normale/ Normale/ L’inquietudine è normale/ La paura è normale/ Normale / Ricordo per dimenticare/ Ricordo e dimentico”. L’universo dub e trip-hop delle origini si ripresenta in “Vows”, segnata dal flauto di Habib Meftah, ancora scandite da densa stratificazione elettronica sono “Abyss” e il tradizionale “Mor”, in cui l’arrangiamento (Marc Collin, Omar Harb e la stessa Yasmine) esalta i melismi canori ma anche il pathos. Potente si svela “Daya3” in cui entrano l’oud e i whistle di Oussama Abdelfattah adagiati sulle trame elettroniche; canta Yasmine: “Il mio amore è andato via da un po’/ Nessun segno/ Rispondimi /Ti dirò ciao per fare ammenda / Nessuno è al sicuro in amore / Nessuno viene risparmiato / Nessuno è al sicuro”. Epilogo con “Reminiscence” in cui il violoncello e l’arpa di cristallo di Julien Decoret, i droni di Omar Harb e le percussioni (Youssef Zayed & Nader Morcos) si assommano all’elettronica e alle tastiere in questa composizione ispirata ai modi del raga, mentre il timbro magnetico di Yasmine intona: “C’è nebbia, la mia mente è un caos / Cerco di scappare, il mio corpo ricorda / Mi chiedo se sia cambiato qualcosa / Uno sguardo a lui, il mio corpo ricorda”.
Sé stessa, gli affetti, la storia di un Paese, il suo passato e il suo futuro: in questo mosaico di suoni vibra l’umanità di Yasmine Hamdan.
Ciro De Rosa
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