Prassi dunque estetiche, inscindibili da un’estensione etica. Per quanto in questi margini alpini del mondo non sempre sia evidente una consapevolezza storica e politica, si tratta indubbiamente di terreni fertili e vitali in cui è possibile sperimentare ancora società e condivisione, ontologicamente, e riapprendere, potenzialmente, queste pratiche. Anche in questo, forse, c’è speranza. Ancora con Blacking, riveliamo che “[...] le forze della cultura e della socialità saranno espresse sotto forma di suono umanamente organizzato, perché la principale funzione della musica nella società e nella cultura è di promuovere un’umanità armoniosamente organizzata, innalzando il livello di coscienza degli uomini”. La rassegna Viuleta promuove queste dinamiche e questa realtà culturale, una tradizione musicale specifica che si esplica in modalità del tutto simili sia nella forma del canto sia nella forma della musica strumentale. La rassegna inoltre esplora la relazione profonda fra gesto musicale, territorio e comunità. Sabato 8 e domenica 9 novembre è andata in scena “Viuleta-soun”, la sezione dedicata alla musica strumentale. La domenica in concomitanza e collaborazione con la storica Fiera di san Martino, figura tradizionalmente legata al mondo contadino nonché patrono di Viù. Un'edizione che ha voluto dare spazio alla realtà, poco conosciuta e studiata, dei consort strumentali di ottoni e legni. Gruppi strumentali per lo più di trombe, tromboni, flicorni, tube, con clarinetti, a volte saxofoni, e a volte fisarmonica. Possono inoltre partecipare altri strumenti ma la peculiarità sta nell’esecuzione, nella copertura accordale delle varie voci, come per il canto, e nella sezione tipica delle formule ritmico armoniche, la parte in genere considerata con funzione di accompagnamento ma che rivela una struttura arcaica trasmessa nel tempo in
un continuum storico. Formazioni musicali poco studiate e sulle quali ancora permane notevole confusione, in particolare con la semplicistica associazione alla dimensione bandistica. Per quanto gli intrecci con la banda siano ovvi, si tratta di due tradizioni storiche distinte e in qualche modo parallele e oppositive: una militare, connessa al potere, e nel caso alla guerra, il suono delle istituzioni; l'altra civile, di tradizione per lo più orale, dedita alla festa, al ballo e al rito. Sono stati invitati gruppi spontanei appartenenti all'areale di questa tradizione: Valli di Lanzo, Valle di Susa, Canavese, per un totale di un centinaio tra musicisti e musiciste. Questa parte di rassegna apre letteralmente le danze il sabato sera con la partecipazione di un “quintët” canavesano della Valchiusella (differenti nomi locali riflettono le varianti dialettali). Si tratta di analoghe formazioni strumentali come quelle delle Valli di Lanzo che rappresentano la musica tradizionale del Canavese. Formazioni documentate da Amerigo Vigliermo che nel suo studio definisce questa cultura musicale il blues delle Alpi occidentali (letteralmente parla di “blues della Gente Canavesana” ma evidentemente si può estendere ai territori limitrofi). La domenica una vera esplosione di suoni a festa, una potente polifonia ritmica, un concerto-ballo diffuso per le piazze e per le vie del paese tra bancarelle della fiera, turisti, villeggianti (in queste valli ci sono ancora i villeggianti) e locali. Lanciano la festa il gruppo di canto spontaneo dei bambini di Viù, guidati da Marzia Rey, che regalano stupore con alcuni canti in lingua minoritaria e nazionale in polifonia. A seguire, per tutto il pomeriggio di un autunno che si fa estate di San Martino, la musica strumentale. Come per la rassegna di canto, ogni formazione musicale ha una propria postazione fissa dotata di tavoli, sedie, bevande e un cartello che ne indica la provenienza in quanto per il pubblico è ha disposizione una mappa
per orientarsi nelle vie e nei suoni. I gruppi ospiti, oltre i locali di Viù, provengono da Cantoira, Ceres, Mezzenile, Ala di Stura (con lo storico gruppo di tradizioni popolari Folk Alvayes), in rappresentanza di tutte le Valli di Lanzo, inoltre un gruppo misto proveniente da Lanzo e Val Ceronda e uno dalla Val di Susa. Ospite anche una formazione di tipo diverso ma sempre polifonica, appartenente più alla dimensione del revival che a un continuum storico, il trio valsusino di musette francesi, Lous Sönaire.
Tra il pubblico, a sorpresa, anche alcuni esponenti di un’analoga tradizione musicale, quella conosciuta come “Bandella” o “Fugheta”. Provengono dal comasco, dalla Valle d'Intelvi, e sono la musica dell'antico carnevale di Schignano, immortalata dalle fotografie di Ferdinando Scianna.
Scende la sera, scende il buio del novembre alpino, inizia la fila di luci delle macchine che rientrano a valle, verso la città. I gruppi, spontaneamente, si uniscono tra loro, alcuni continuano a suonare in strada altri nei bar, nei ristoranti. Si uniscono canti, la musica si fa sempre più intensa, c'è fragore eppure c'è pace. La festa è fiorita.
Il termine “soun”, nella lingua di minoranza francoprovenzale locale, significa appunto "suono", vibrazione viva, collettiva, che attraversa i corpi e lo spazio. La cantante, performer e formatrice romana Patrizia Rotonda è stata invece chiamata a tenere il laboratorio semi residenziale dal 21 al 23 novembre e a lei, nei giorni immediatamente successivi, abbiamo chiesto un resoconto della sua esperienza.
Flavio Giacchero
A La Viuleta
A Viù, ospite della Viuleta Festival, sono stata invitata per una residenza artistica legata al territorio e associata all’ideazione di un laboratorio con restituzione pubblica. Questo mi ha permesso di conoscere da vicino lo straordinario lavoro di un gruppo di canto spontaneo locale, costituito da voci miste, e di poter studiare ed approfondire alcuni brani del loro repertorio originario ancora inesplorato.
Le loro voci, potenti e bellissime nelle loro peculiarità individuali, rimangono sempre ben distinguibili e creano un’energia sonora unica e organica, con un suono in massa spessa denso e ricco, sia per gli uomini che per le donne. Mostrano un’abilità e una competenza straordinarie nello scambiarsi le voci, riuscendo sempre a coprire tutto lo spettro armonico e a giocare con le tonalità, cambiandole senza soluzione di continuità quando si accorgono che non sono adatte a tutti.
Inoltre, ciò che conquista e fa riflettere è di trovarsi alla presenza di trasmettitori viventi di memoria incarnata; conoscono centinaia di brani e testi di un repertorio costituito da canti narrativi, canti d’amore e di scherno, ballate, ma anche da giochi e improvvisazioni ispirate alle “curente” e ad altri moduli musicali.
Ma probabilmente, la cosa più straordinaria e decisamente non comune è stata l’opportunità di tenere un laboratorio che accogliesse sia i cantori del territorio che allievi e professionisti del settore inerente ai “cori urbani”. Tradizione e riproposta a confronto, o meglio, in ascolto.
Anche io, a Roma, mi prendo cura di un gruppo vocale nel laboratorio di “Vocalità nella musica di tradizione” presso la Scuola Popolare di Musica di Testaccio. Da diversi anni, spingo verso un altro modo di trasmettere ed insegnare, prendendo ad esempio proprio il lavoro del canto spontaneo e le sue modalità, piuttosto che le regole esecutive classiche, che sono sempre più diffuse e rilevanti, spesso inconsapevolmente, nel panorama dei “cori popolari”. Dal mio punto di vista, queste regole non rispettano, e soprattutto non restituiscono, le innumerevoli potenzialità e identità del canto di tradizione.
E non solo, il sistema del canto spontaneo offre un potente metodo pedagogico che sviluppa l’orecchio e l’indipendenza musicale, oltre a rappresentare una fonte creativa inesauribile, basata sulla conoscenza della cultura popolare. Questa conoscenza è una condizione inscindibile per chi studia questi canti e sostiene la riproposta dei repertori a livello scenico e concertistico.
La musica e i canti della tradizione orale sono, per loro natura, in continua trasformazione e nessuno può fermare questa tendenza. Tuttavia, è possibile patrimonializzare i processi, le forme musicali e salvaguardare l’estetica e la prassi esecutiva.
Questi, insieme ad alcuni aspetti tecnici sulle vocalità del canto di tradizione e l’ascolto attivo sono stati i temi del laboratorio.
In conclusione, secondo diverse testimonianze di alcuni partecipanti dei “cori urbani” è stato interessante se non addirittura illuminante, ma troppo impegnativo, secondo altri, abituati alle sezioni vocali, al direttore di coro o alle partiture (che comunque ho consegnato alla fine del lavoro, ma solo per mostrare su carta quanti particolari non siamo in grado di percepire se non con un ascolto attivo e profondo).
Allo stesso tempo, credo possa essere stato molto stimolante per i cantori, che forse non avevano coscienza di avere così tante abilità, e a cui va riconosciuto il grande valore del loro canto, così “spontaneo” ma ricco di forza e competenza.
Torno a casa ancora ricca di suoni ed emozioni per questa esperienza così intensa, con l’obiettivo di lavorare anche sull’improvvisazione, per far riprendere vita e vigore a molti canti che si ha l’abitudine di imparare e “fissare”.
Da sempre, l’improvvisazione, in tutti i generi musicali, è stata di grande importanza sia per comporre che per variare i brani, ma anche per acquisire un proprio stile.
La Viuleta, in soli sei anni, ha avuto un impatto significativo nel panorama culturale locale. Essere riusciti ad attrarre migliaia di spettatori è un chiaro segno che offrire beni di consumo di lunga durata come cultura, arte, ricerca e nuove collaborazioni tra musicisti, dimostra che la valorizzazione del territorio e delle tradizioni siano necessità umane ancora fondamentali che contribuiscono a creare un senso di appartenenza e identità.
Patrizia Rotonda
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