alla grande cantante rumena Maria Tănase, morta nel 1963, che fece propri canti delle diverse regioni della Romania, canzoni che incarnano lo “spirito essenziale della poesia e della filosofia rumena”, racconta lo stesso Balanescu. Il violinista si avvale di cellule melodiche o ritmiche delle canzoni come fulcro compositivo; la voce campionata di Maria riempie la sala come elemento della struttura. L’impeccabile quartetto propone la suite “Maria T”, eseguendo “Mountain Call”, “Aria”, “Interlude”, “The Young Conscript and the Moon”, “Life and Death”, in cui episodi lirici, lamenti e danze si susseguono. Il concerto continua con la suite “Souletude” (“Theme and Allegro”, “Variation 3” e “Finale”) in origine in sei movimenti, una composizione sull’esilio che si presenta come un viaggio che dalle memorie d’infanzia diventa un cammino per il mondo: una trasformazione non solo fisica ma anche spirituale. Una sintesi perfetta di minimalismo e di armonie complesse dove si fondono il rigore della musica da camera con la vitalità ritmica della tradizione orale est europea, caratterizzandosi per una grande tensione “emotiva”: compositi profili melodici e ostinati ritmici, variazioni di stampo lirico che mettono in risalto la voce solista del violino sopra la costruzione armonica degli altri archi. Grande energia nel “Finale”, che chiude il ciclo ed è improntato a marcate dinamiche. La seconda parte della performance è imperniata sull’album “Luminiza” (1994): una suite che comprende “Link”, “Revolution”, “Still With Me”, “Luminitza”,
“Mother” e “East”. Qui la storia personale e la Storia con la S maiuscola dell’Europa Orientale si intersecano. Il linguaggio tradizionale romeno è stato assimilato per dare vita a uno stile personalissimo. Partiture scritte e improvvisazione mettono in evidenza lo strabiliante affiatamento dei quattro, capaci di attacchi precisissimi e di scambi per i quali basta un’occhiata. Un trionfo per un set di lunga durata (rispetto a quanto si vede ultimamente in giro) salutato da una standing ovation. La seconda location d’eccezione è stata la Sagrestia del Vasari della Chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, in origine Refettorio dei monaci olivetani che vollero fosse realizzato un affresco in stile michelangelesco per decorare le volte. Un luogo di enorme suggestione, cornice eccezionale per il “solo” del violoncellista Ernst Reijseger del 22 dicembre. Trionfo di ibridazione stilistica anche nella cifra dell’olandese che assomma tecnica classica eccelsa e improvvisazione. Sfilano “Garbato con Sordina”, “Friendly Ghost”, “Equi”, “Hard 2 Get” e “Morning Music”, in cui la sfida al ruolo tradizionale dello strumento è continua. Reijseger non difetta di un registro ironico e istrionico: usa l’archetto e il pizzicato, è abile nel proporre arpeggi e digressioni melodiche, ostinati ritmici, lunghi passaggi improvvisativi o ancora percuote la cassa armonica dello strumento che accarezza e maltratta. Imbraccia il violoncello come una chitarra, produce armonici, crea dei bordoni con i due shruti box azionati da una pedaliera, impiega oggetti per alterarne il
suono come mollette e pinze per capelli, interagisce peripateticamente con i riverberi della sala, che diventa parte della composizione. Insomma, ogni parte del suo strumento è usata per produrre un’ampia gamma sonora. Nel programma ascoltiamo “Moby’s Night Out”, “Longing for a Frozen Sky” e “Tunguska”, provenienti dalle colonne sonore dei film di Werner Herzog, e ancora la sperimentazione di “HYAMLCM” e “Tell Me Everything”, che racconta davvero tutto delle sue modalità stilistiche così libere e ineguagliabili. Il 27 dicembre il Festival ha offerto un incontro su “Le musiche della Musica”, con protagonisti Avitabile e il suo manager e produttore Aragosa, e un incontro con il Vescovo di Napoli, cardinale Domenico Battaglia, sui temi di pace, fede e giustizia sociale, preludio al concerto serale in un altro magnifico scenario, la Basilica di San Pietro Ad Aram, edificio religioso molto noto perché, secondo la tradizione, custodirebbe l'Ara Petri, ovvero l'altare su cui San Pietro pregò durante il suo passaggio napoletano. “Santa Rivoluzione” è il titolo del concerto acustico con Avitabile (canto, arpicella pentatonica a sei corde e saxello) con Gianluigi Di Fenza alla chitarra, Emidio Ausiello ai tamburi a cornice e Christian Di Fiore alla zampogna molisana. “Santa Rivoluzione” allude a una trasformazione sia spirituale che materiale, perché senza una “riforma personale, propria, difficilmente si riesce a cambiare il sociale”, chiosa Avitabile. “La parola, il suono, il gesto e la danza prendono forma in
questo nuovo progetto che racchiude elementi devozionali, canti di sentimento, suoni popolari e contaminazioni contemporanee”. Dopo un intro solista della zampogna di Di Fiore, l’organico acustico rivisita classici del repertorio di Avitabile, dalla preghiera laica “Don Salvatò” a “Tutt’egual song’ ‘e criature”, da “Figliule ca 'nce jate a la maronne” in cui il musicista dà corpo alla sua continua interazione con il pubblico, all’inedito “Napoli Città delle Musiche”, dal ricordo del duetto con David Crosby di “E ‘a Maronna accumparett' in Africa”, ispirato anche alla “Missa Luba”, a “Nuèna nuèna”, che unisce musicalmente Nord e Sud Italia e in cui la zampogna si prende ancora la scena, dall’omaggio al suo conterraneo di Marianella, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, a “Figliola ca guarde 'o mare”, nella cui parte armonica aleggia Pergolesi, dall’incontro tra napoletano e swahili nella corale “Mane e Mane” fino a “Salvamm 'o munno”, con il pubblico accalcato in prossimità dell’altare a ballare e osannare – come sempre accade nei suoi live – il compositore napoletano. Il sipario di “Sacro Sud” calerà il 6 gennaio, di nuovo nella Chiesa di Santa Maria di Donnaregina Nuova, quando i protagonisti saranno il pianista di origine iraniana Ramin Bahrami e il flautista taliano Massimo Mercelli.
Ciro De Rosa
Foto di Pietro Previti
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