Lo scorso ottobre Noura Mint Seymali, musicista della Mauritania, Paese esteso dal Sahara all’Oceano Atlantico, cerniera tra il Maghreb e l’Africa subsahariana, ha ricevuto il WOMEX Artist Award a Tampere, celebrandolo con un magnifico concerto che ha chiuso l’edizione 2025 dell’Expo dei suoni globali. Un riconoscimento assegnato alla cantante e strumentista (suona l’ardine, sorta di piccola arpa-liuto riservata alle donne) per il suo ruolo di iggawin – la casta ereditaria dei musicisti professionisti in Mauritania, fondamentali per la conservazione e la diffusione della tradizione musicale maura – e di traghettatrice della memoria della comunità nella contemporaneità. Come è noto, suo padre, Seymali Ould Ahmed Vall, è stato un autorevole studioso e compositore, e la sua matrigna, Dimi Mint Abba, è stata un’iconica e celebrata cantante, apprezzata a livello mondiale nel circuito world music, di cui Noura da giovane è stata corista. Dice Seymali che “i griot sono lignaggi molto rispettati nella nostra cultura e rappresentano una fonte di coesione sociale e storia che perdura. Siamo ancora un tipo di specchio per la società, poiché riflettiamo su persone, legami sociali e storia. Sono ancora i griot a celebrare artisticamente matrimoni e cerimonie tradizionali. E sono ancora i griot a rappresentare la cultura come ambasciatori artistici”. Quasi in contemporanea con il premio attribuitole dagli organizzatori del WOMEX, Noura Mint Seymali ha licenziato “Yenbett”, il suo terzo lavoro per Glitterbeat, uscito a nove anni di distanza dal precedente “Arbina”, a sua volta séguito dell’esordio internazionale “Tzenni” (2014). “Yenbett” – che in arabo hassaniya significa “cresce” – riflette la tensione tra la pratica tradizionale della componente maura di origine berbero-araba e la sperimentazione che ingloba linguaggi popular globali. Il lavoro è stato registrato principalmente in casa nella capitale, Nouakchott, ed è prodotto da Miley Coltun, bassista della band del nigerino tuareg Mdou Moctar (che aggiunge il suo basso in “Hagala Geyeul”) e da Matthew Tinari, batterista americano di
nascita ma ormai senegalese d’adozione. Oltre a quest’ultimo, centrali nella formazione sono naturalmente il marito di Seymali, il leggendario Jeich Ould Chighaly (chitarra e tidinit), e l’altro strumentista mauritano Ousmane Touré (basso); presenti alcuni ospiti a voci (El Abghari Chighaly in “Tassirit” e “Ch’tib”), cori (Ayniyana Chighaly), ardine (Ayniyana Chighaly), tidinit (Jeich Ould Badu), basso (Miley Coltun) e tamburo t’beul (Mohamed Moudi Ahmed).
Dotata di una tessitura vocale straordinaria per potenza e limpidezza, Noura Mint Seymali si accompagna all’ardine, suonato virtuosamente, a cui sono affidate le enunciazioni melodiche, e trova nel chitarrismo fuzz di Jeich Ould Chighaly, nella struttura vocale call&response e nella decisa sezione ritmica il marchio inequivocabile del suo sound. Il nuovo lavoro comprende quindici tracce, di cui sette sono brevi intimi interludi (oscillanti tra pochi secondi e i due minuti), creati in occasione di sessioni notturne, che si intrecciano alle “canzoni” del programma. I tratti tradizionali iterativi si fondono a meraviglia con le pressanti ritmiche, con gli accordi psych-rock e le connotazioni perfino hard della chitarra, inglobando anche gli stilemi del canone che è stato definito “desert blues”.
L’apertura setta subito il mood con due versioni di “Bidayett Lehjibb” (in cui si racconta di un anziano Medlish che flirta con una ragazza del clan La’leb): la prima imperniata sul compassato andamento solitario dell’ardine, la seconda “aumentata” da una chitarra elettrica effettata, sostenuta da una vigorosa sezione ritmica rockeggiante. “Guéreh” è il primo superlativo singolo del disco, in origine un canto a ballo nuziale reso popolare negli anni ’70 da Jeich Ould Abba, suonatore non vedente di tidinit della regione di Atar, nel nord-ovest della Mauritania. Nell’album, Seymali esegue la canzone
con Jeich Ould Chighaly alla chitarra e Jeich Ould Baddu al tidinit, lo strumento a corde affine allo ngoni maliano. La costruzione responsoriale, il battito di mani, il basso pulsante e i pattern di batteria creano una implacabile scansione ritmica, mentre le corde pizzicate procedono sinuose. Il video che accompagna il brano è nato in collaborazione con la comunità di Atar e cattura la gioia collettiva della danza, con l'intera città invitata a partecipare, creando una sorta di condivisione comunitaria con cui rivive il vecchio classico.
“Ho canzoni su un’ampia gamma di argomenti: canzoni d’amore, canti di lode, brani per ballare, canzoni narrative. Nella nostra tradizione, poesie provenienti da diverse fonti possono essere cucite insieme in un’esibizione. Parto da un nucleo mio: ci sono versi che scrivo, altri che cito o a cui faccio riferimento, come un musicista jazz potrebbe improvvisare su un altro brano della tradizione, ma il risultato è sempre una creazione nuova, e l’abilità con cui un cantante può sintetizzare la poesia in una sorta di mosaico musicale è davvero parte integrante dell’arte,” spiega Seymali nelle note che accompagnano la presentazione su Bandcamp. Dopo lo strumentale tutto corde e tamburo “Wezeun", c’è “Knou”, brano dall’attacco posato, ma la variazione di ritmo e l’ingresso della chitarra cambiano la fisionomia, che diventa pressante. “Mio marito Jeich è il vero rocker della casa. […] Da piccoli abbiamo ascoltato un po’ di musica rock occidentale e ne siamo stati influenzati allora e ora. Ma è importante anche notare che la chitarra mauritana rockeggia già di per sé, completamente a modo suo. È intrinsecamente connessa”, rivela ancora la musicista. “Moughadim Karr” è uno strumentale elettrico di sapore psichedelico, “Jraad” è un altro brano in cui si intrecciano voce e corde ondeggianti. Il canto imperioso di Seymali si erge in “Tassirit”, accorata riflessione rivolta al proprio cuore. Il successivo strumentale “El Vaïz (Seni Karr)” è un dialogo serrato tra chitarra e ardine. Sprigiona di nuovo energia ritmica la preghiera notturna “Ch’tib (Naha)”. Drumming potente, sfoggio di corde e percussioni sintetizzate vintage in “Hagala Geyeul”, dove Noura canta: “Ti prego, resta per il pomeriggio – per favore condividi quest'ora tranquilla con noi. /O tu, che assomigli a Dimi in grazia/ come una gazzella nella polvere dorata/ Il mio nuovo amato è un uomo gentile/ Con lui, è arrivata la gioia e la noia è fuggita”. Conclude in maniera efficace il lavoro l’intensità emotiva di “Lebleida”, altra composizione segnata dagli arpeggi delle corde tradizionali che collidono con il librarsi improvvisativo della chitarra elettrica e con la ritmica muscolare che assecondano lo scat e melismi della vocalist.
“Yenbett” Non si limita a giustapporre influenze, piuttosto ne espone una sintesi organica. Non è solo la testimonianza di un consapevole radicamento in una lunga storia musicale, che è personale e di popolo (essenzialmente quello mauro), ma è anche un capo d’opera emozionante che proietta uno sguardo sonoro contemporaneo. Non è casuale che nel mese di dicembre il disco sia ai vertici sia della Transglobal World Music Chart sia della World Music Charts Europe.
Ciro De Rosa
Foto di Cooper Inveen (2) e Malika Diagana (3)
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