Tutti sintonizzati su Radio Divanhana! Il nuovo album della band di Sarajevo si snoda come un programma radiofonico che attraversa la storia della sevdalinka,
la canzone urbana (chiamata più semplicemente sevdah), il canto che incarna passionalità, nostalgie e tristezze per pene d’amor perduto (il termina deriva dal turco e significa “melancolia”, motivo che ha spinto o spinge ancora molti a fare improprie analogie con il blues). Perché negli studi di Radio Sarajevo collocati nel cosiddetto Sivi Dom (La Casa Grigia), edificio di architettura brutalista, ai tempi della Federazione jugoslava sono state incise storiche interpretazioni di sevdah e si sono incontrati artisti ed è presente un archivio musicale di tutto rispetto. “Ci siamo lasciati ispirare molto da quelle registrazioni. Per questo abbiamo concepito Radio Sevdah come un piccolo programma radiofonico e dedichiamo l’album a questa istituzione unica”, afferma Neven Tunjić, leader della band nonché compositore, produttore, pianista e tastierista. In un’intervista raccolta da Simon Broughton per “Songlines” racconta: “Quando eravamo ragazzi, la radio era molto importante. E abbiamo voluto scrivere la nostra musica ispirandoci a quei tempi. Questo album è semplicemente la nostra visione di come potrebbe suonare oggi Radio Sarajevo”. Cosicché le nove tracce del lavoro, il sesto album in studio, contengono musiche, canti, inserti digressivi e jingle in un continuum tra passato e presente, dal canzoniere tradizionale a motivi originali che sono un tributo a poeti e compositori che hanno ispirato e ispirano i Divanhana. Al pathos delle voci che eseguono sevdah tradizionali si affiancano nuove espressioni innestate su stilemi pop, jazz, rap ed electro-folk.
Partono con il piede giusto con “Biglišu Slavuji” (Gli usignoli cantano), canzone manifesto del genere, dal temperamento intimistico e melanconico, esaltata dalla dolce e nitida espressività della nuova vocalist, Selma Droce (autrice della musica con Tunjić, che firma il testo). “#RadioSevdah” è il primo inserto registrato in “vecchio stile” con voci, un tripudio di cordofoni tamburica (Ivan Bobinac, Duško Topić e Siniša Durković, che sono anche gli autori), effetti ambientali e l’annuncio fatto dall’inglese DJ Ritu. Segue ‘Rijekama’ (Ai Fiumi), un’altra nuova composizione dall’andamento incisivo con violino (Larisa Lejla Droce), fisarmonica (Nedžad Mušović) e tromba (Rok Nemo Nemanić) in primo piano e la voce sinuosa di Selma a raccontare di un amore ostacolato dai fiumi della Bosnia: Una, Drina e Sava. In “Domovina” (Patria) è in risalto il contrabbasso del jazzista israeliano Adam Ben Ezra, uno degli ospiti del disco. Qui sono ripresi testo e musica di una canzone tradizionale che narra di un uccello che vola sopra il paesaggio montuoso della Bosnia-Erzegovina. Dopo un interludio narrativo affidato ancora a DJ Ritu sulla storia della sevdalinka arriva “Djevojka Je Zelen Bor Sadila” (La fanciulla ha piantato un pino verde), una sevdah dal ritmo lento e melodico cantato a cappella da Selma e da sua sorella Larisa Lejla. Da un classico a una nuova composizione di Tunijć, “Miri, Samo Miri, Kaloperu Mili” (O mia cara balsamita, diffondi la tua fragranza) dove il violino di Larisa, il saz di Azur Hajdrević, lo tzouras dell’ospite cipriota Antonis Antoniou e le percussioni di Irfan Tahirovic e il synth di Tunijć cuciono un’ambientazione che conduce verso l’Europa mediterranea sud-orientale e l’Anatolia. Tutto si tramuta in festa con l’inserto “Sevdahparty”, che è un prodromo di “Primitivo”, parodia del genere turbofolk. La tromba fa da apertura e da accompagnamento insieme a fisarmonica, violino, chitarra e contrabbasso alla voce accorata di Selma che duetta con il cantante sloveno Vlado Kreslin nel tradizionale di tempo ternario “Voljelo Se Dvoje Mladih” (Due giovani si sono amati). Un’altra nuova composizione, “Palo kamlipe” (all’incirca significa “Con amore”), è una canzone dal forte lirismo, composta da Droce/Tunijć in romaní, dedicata alla comunità Rom non riconosciuta come nazionalità in Bosnia-Erzegovina. Dopo un secondo interludio (sempre con voice over di DJ Ritu) si para “Sa Igmana Pogledat Je Lijepo” (Com’è bello guardare dall’Igman. Si tratta di una delle montagne nei dintorni di Sarajevo che ospitò le Olimpiadi invernali del 1984), con inserti campionati di un’esecuzione storica d’archivio dello stesso canto (è il leggendario Zekerijah Đezić), in cui si assommano sentimentalismo melismatico canoro che rimanda all’ispirazione dell’autore (il compositore e fisarmonicista serbo Jovica Petković), fraseggi di piano jazz, impro di fisa dell’ottimo Mušović e passaggi rappati. Chiude “Molitva” (Preghiera), sempre dalla penna di Neven Tunjić, in cui la voce di Selma è sola a intonare versi ispirati dal pensiero poetico di Ibn Arabi.
I Divanhana si immergono nel cuore della sevdalinka, abbracciandone l’essenza, raccordando passato e presente con emozionalità, stile e originalità.
Ciro De Rosa
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