Gaëlle Bagot & Juan Manuel Nieto – Jardin d’ailleurs (MusiqueLive, 2025)

Il clarinetto è lo strumento ad ancia semplice eletto da Mozart e da Gershwin, cosi come dalla musica popolare nomade, balcanica e klezmer. Lo troviamo principe con tutte le sue estensioni, dal basso al clarinetto piccolo in Mi bemolle, in questo lavoro intitolato “Jardin d’ailleurs” nelle mani della clarinettista e cantante francese Gaëlle Bagot, in duo e perfettamente in simbiosi con il pianista ecuadoriano Juan Manuel Nieto. Su tre brani, due artisti ospiti si uniscono al duo: il violoncellista sperimentatore Simon Lannoy e l’esploratore vocale e beatboxer Oxyjinn, i quali non sono ancillari ma hanno modo e spazio per esprimere al massimo le loro qualità tecniche e musicali. Il clarinetto è uno strumento a intonazione fissa ma è traspositore, perciò, nell’incontrare uno strumento temperato come il pianoforte e uno non temperato come il violoncello, intesse un sound davvero particolare per una musica borderline tra vari stili come il folk, il jazz, la salsa, la musica ecuadoriana, la canzone francese, la musica popolare brasiliana, le tradizioni argentine e ancora musica “celtica”, balcanica, malesiana e altro ancora. Bisogna dire anche che nella letteratura classica, da Beethoven, a Brahms, a Nino Rota e però un organico ben collaudato. Ad aprire l’album è “Agüita”, un brano vocale-strumentale a due voci basato su un ciclo ritmico 4+5+2, che presenta modulazioni modali. Da notare alla fine la citazione alla fina di uno dei temi della "Rapsodia in blu”, brano cardine di ogni clarinettista. A seguire “Jeux d’ondes” in cui i giochi d’onde sono evocati da veloci poliritmie alternate a sinuose melodie del clarinetto piccolo in Mi bemolle, dalla voce e dagli accompagnamenti del pianoforte, a volte suonato a blocchi di accordi, altre con melodie nel registro acuto ricordando certe sonorità di Debussy. La terza traccia “D’ailleurs” crea un’affascinante e sognante atmosfera che porta verso un altrove che accarezza le orecchie e che poi spinge con un movimento cromatico verso un altrove sempre più lontano. Segue “I Don’t Wanna Work”, song dalle intenzionali sonorità pop con un hook corale molto accattivante con il violoncello, a volte pizzicato a mo’ di basso, altre con effetto chitarra elettrica e che poi si apre ad assolo suonato con l’arco seguito dall’improvvisazione del clarinetto. In “Ouvre les yeux” troviamo un’ambientazione decisamente sudamericana con tipici interventi corali e solistici in stile carioca che ricordano le origini afro-americane, da notare l’uso percussivo del clarinetto. Si resta nella stessa area geografica con “Cordillera” che comincia con un ostinato in tre del pianoforte, sostenuto da suoni lunghi del clarinetto basso e sovrastato da un’eterea melodia della voce. Ad un certo punto il ritmo diventa binario e veloce per poi ritornare ternario per dare agio a un’interessante improvvisazione del pianoforte e del clarinetto e del con il violoncello in funzione di walking bass. “Le mono loco” ha un inizio dissonante e molto intrigante, seguito da un groove poliritmico tra il jazzistico e il tribale e arricchito da una voce solista con un ostinato corale polifonico. Segue “Du temps”, brano dal sapore da chanson francese, con un’intro a ritmo libero del clarinetto in Si bemolle nel registro acuto di grande effetto. Successivamente l’aerofono presenta il suo bel felpato registro medio basso con un puntillinato accompagnamento pianistico che fa da sfondo ritmico alla suadente voce. A chiudere il programma è “Regalo” in cui si passa ad un’atmosfera serena e sognante, un brano in maggiore nel paradigma pop dal giro armonico tipico di molte canzoni brasiliane, il ritmo slow cambia improvvisamente diventando un ciclo ripetitivo arricchito dal kayamb e dai cori che gli conferiscono un sapore etnico. Si tratta di lavoro molto ispirato in cui l’espressività incontra la creatività e l’improvvisazione, un viaggio immaginifico ed eclettico tra tradizione e innovazione, tra vecchio e nuovo mondo continuamente in osmosi e che comunica ottimismo vitale e calore. 


Francesco Stumpo

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