Si è conclusa nella notte di sabato 29 con l’esibizione di Kionel Kizaba la quarta edizione di Napoli, il professional meet-up e festival organizzato da Italian World Beat e Audioimage, promosso e finanziato dal Comune di Napoli e dal Ministero della Cultura, nonché parte integrante di UPBEAT – The European Showcase Platform for World Music, anche quest’anno sotto la direzione artistica di Enzo Avitabile. Il “Villaggio Futuro” (“Future Village”, l’album uscito nell’aprile 2025 per Disques Nuits d’Afrique / Believe) del cantante e percussionista congolese-quebecchese Kizaba si riempie di una traiettoria sonora trasversale afro-futurista che ingloba ritmi congolesi, house e sperimentazione elettronica, finendo per “possedere” il pubblico che si lancia nel ballo.
Napoli World ha ospitato quasi una cinquantina tra direttori artistici di importanti festival mondiali, produttori, managers, agenzie di booking e giornalisti convenuti per showcase e contorno di workshop, conferenze di presentazione e speed meeting, tutto dentro la città di Napoli, dove artisti e operatori si mescolano con naturalezza al pubblico.
Una manifestazione diffusa ospitate a Palazzo Cavalcanti, al Conservatorio S. Pietro a Majella, all’Auditorium 900, all’Auditorium Porta del Parco a Bagnoli e nella Sala Vasari della Chiesa di S. Anna dei Lombardi.
Gli incontri hanno visto Mar Rubiralta intervenire sullo sviluppo artistico professionale, Davide Mastropaolo condurre un laboratorio sulle “Opportunità di internazionalizzazione per artisti italiani della scena World Music”. E poi i panel “Voices from Southwest Asia and North Africa”, presentazione del
progetto NEST-Music Incubator, con Samer Jaradat (Ramallah, Palestina) e “Transglobal World Music Chart – 10 Years Celebration” con Juan Antonio Vàzquez e Araceli Tzigane dalla Spagna. Per Fabio Scopino (di Italian World Beat) “l'obiettivo è creare un evento annuale considerato come punto di riferimento dagli operatori internazionali, dove avere un momento di scambio, di interrelazione, dove poter sviluppare e creare progetti, partnership, dove incontrare e conoscere nuovi progetti che, diversamente, non avrebbero la possibilità di essere conosciuti”. Per Ferdinando Tozzi, delegato per l'industria musicale e l’audiovisivo del Comune di Napoli, la città rafforza il suo ruolo di “di capitale culturale, creativa e aperta al dialogo globale con una manifestazione che abbraccia in pieno i valori e la visione internazionale di Napoli Città della Musica”.
Tre giornate iniziate giovedì nella sala Scarlatti del Conservatorio S. Pietro a Majella con l’intro live del direttore artistico Avitabile e il primo showcase del duo occitano Lindàl (violino, organetto ed elettronica), musicalmente compresso dal contesto formale – la loro è musica da ballo – e dall’equilibrio dei suoni. A seguire, l’inedito progetto che fa incontrare Marsiglia e Napoli sulle corde dei mandolini di Nov’Mandolin marsigliesi e Mélis Mandolin (Napoli) con “Sore” (Sorelle in napoletano), opera contemporanea, splendido esito di una residenza e collaborazione tra i due quintetti a plettro guidati rispettivamente da Vincent Beer-Demander e Salvatore
Della Vecchia, con esecuzione di pagine dei due succitati strumentisti, di Laurent Fantauzzi, musicista italiano che nel 1922 aprì al Conservatorio marsigliese la prima classe di mandolino al mondo, e naturalmente del grande compositore, strumentista e liutaio napoletano Raffaele Calace. Nella stessa serata, l’Auditorium 900 (lo storico studio di registrazione della Phonotype Records) ha ospitato altri due showcase italiani. Il primo è stato quello di Ylenia Cuzzolino (voce, chitarra battente e tamburello) accompagnata dal chitarrista Francesco Martucci. Giovane ma dal tratto vocale importante ed energico, Cuzzolino si muove ai confini tra canzone e richiami a ritmiche ed espressioni tradizionali, dalla danza alla devozione religiosa della sua Calabria. Con una produzione contemporanea, un’immersione più profonda nelle figurazioni ritmiche e nella vocalità tradizionale calabra e, magari svincolata dall’impronta bennatiana che fa capolino in qualche testo, potrebbe imporsi come artefice femminile di un patrimonio popolare che di grande profondità e spessore musicale. Chissà, potrebbe diventare perfino una La Niña calabrese? Il secondo ha visto protagonista Christian Di Fiore è il maestro scapolese di zampogna molisana cromatica e organetto, con alle spalle generazioni familiari di suonatori, in un organico dall’assetto jazz-cameristico dalla spaziosa coralità timbrica che fissa l’idea fondante di un progetto concepito per mettere al centro l’evoluzione armonica della zampogna, in grado di eseguire elaborati passaggi cromatici e numerosi accordi, che diventa strumento in dialogo con pagine di ispirazione
classicheggiante o di natura improvvisativa di stampo jazzistico, senza dimenticare le aperture danzanti che richiamano ora il mondo tradizionale molisano ora umori irlandesi, altra terra eletta di aerofoni a sacco.
Sempre il venue del centro storico ha accolto venerdì 28, nel pomeriggio, la vocalità dall’ampia estensione della senegalese del Casamance Mariaa Siga, chitarra e voce per un set intimo il cui lirismo intriso del retaggio linguistico e sonoro del suo Paese si fonde con sfumature folk-blues- reggae. Lieta sorpresa anche il duo catalano Magalì Sarè (voce, percussioni, flauti e idiofoni) e Manel Fortià (contrabbasso): eclettismo e sorprese timbriche, superamento di confini stilistici, riconfigurazione di ritmi e canzoni dal mondo iberoamericano (“Re-tornar” è il loro album del 2023 per Segell Microscopi da cercare assolutamente) e gioiosità in un connubio tra il canto delicato di Sarè e il contrabbasso di ispirazione jazz ma non solo di Fortià.
Al venerdì e al sabato sera ci si è trasferiti nell’Auditorium Porta del Parco di Bagnoli, all’interno dell’area ex ILVA: una sala da circa 300 posti, ancora un po’ cattedrale nel deserto nel ex-quartiere operaio in attesa di bonifica e trasformazione mai avvenuta che per ora sembra adombrare i rischi dell’assalto speculativo). Qui, come spesso accade inevitabilmente si susseguono conferme, sorprese e qualche delusione. Adotta un portamento vocale e una combinazione strumentale classici Fiorenza Calogero che ha presentato nel suo “Vico Viviani”, la forza contemporanea del drammaturgo e poeta suo conterraneo. Altro artista italiano salito sul palco, e ben noto
al pubblico, è Mimmo Epifani, suonatore per “imposizione di famiglia”, fine mandolinista della scuola della barberia pugliese che assomma tecnica strumentale, improvvisazione e allegra esuberanza con un ensemble le cui orchestrazioni sono guidate da Sasà Flauto. Una gioia sonora straripante alla quale non ha resistito Avitabile, salito sul palco a duettare con il maestro di San Vito dei Normanni. Prima sono saliti sul palco i giovanissimi coreani TTGS, nel cui sound si fondono l’antico (il genere narrativo pansori e le percussioni tradizionali) e il contemporaneo (i suoni campionati di cordofoni e fiati tradizionali e di chitarre elettriche), mostrano una teatralità un po’ acerba e occhieggiano decisamente – e troppo – il K-pop. Per farsi prendere dall’arab-rock del palestinese Ahmed Eid non è necessario essere professionisti, anche se un senso di déjà-vu si avverte nella proposta che riversa l’urgenza di esporre questioni personali quanto quelle del suo popolo in lotta. Dal canto suo, non difetta di charme la chanteuse camerunese-francese Valérie Ékoumè con la sua band rock-danzante mascherata da elefanti riempie di ritmo e di vocalità deliziosa e versatile la sala (da notare che un problema serio sono stati i volumi troppo alti), con concessioni all’intrattenimento (una evitabile cover di “Volare”). Anche qui il direttore artistico non ha potuto fare a meno di entrare in scena ncopp ‘o groove.
Dopo tutto l’ombra di Manu Dibango della Soul Makossa aleggia tanto su Valérie quanto su Enzo. Buone notizie da Capo Verde con la voce morbida Yacine Rosa, anch’ella però di estrazione nelle leggerezze pop con cui ammanta le espressioni isolane.
L’italo francese viaggiatore dei suoni Sandro Joyeux porta con sé un bagaglio sonoro che si riempie di Africa e di spinte in levare, toccando il desert blues e i ritmi e le lingue dell’Africa subsahariana che ha praticato. Ancora tra Marocco e Francia si radica il progetto di Adil Smaali Elements of Baraka offre movenze da ballo e trance, spingendosi con agilità tra analogico e digitale, tra squarci ritmici gnawa e digressioni della tromba che si intrecciano con campioni e sonorità elettroniche (anche se i suoni martellanti della cassa in quattro e l’orizzonte club si affacciano con troppa frequenza nella sua cifra musicale). Della forza del congolese-canadese Kizaba si è già detto.
Uno sguardo d’insieme sulla kermesse solleva una domanda: una selezione degli showcase ampliata oltre la call e affidata a una commissione potrebbe offrire una visione più ampia, superando la predominanza della “spinta ritmica” che ha caratterizzato questa edizione? Qualche considerazione va fatta anche sulla mattinata di speed-meeting ospitata nella magnifica Sala Vasari che ha lasciato a bocca aperta tutti gli operatori, italiani e stranieri. Il dato positivo è che sono stati non pochi i musicisti napoletani che hanno avuto modo di incontrare direttori artistici e booking agents. Eppure, molti di più ce ne saremmo attesi, sia dall’area campana che dalle regioni almeno limitrofe. Questo per dire che forse non c’è ancora piena consapevolezza della caratura di Napoli World, l’unico meet-up in Italia che oggi permette di interagire con un numero così elevato di autorevoli operatori internazionali. Auspichiamo che il network creato da Italian World Beat / Music Connect Italy continui a
crescere e a svilupparsi, consolidando il ruolo di Napoli World come hub culturale non solo italiano ma transnazionale: una manifestazione strategica che l’industria musicale internazionale – Italia compresa – dovrebbe riconoscere come imprescindibile. Vorremmo pure che gli organizzatori ampliassero ulteriormente lo sguardo, costruendo ponti e collaborazioni che rispecchino il ruolo naturale di Napoli come snodo tra Europa continentale e Mediterraneo, dalle regioni scandinave e baltiche fino all’Anatolia. Solo un’attenzione autentica alla diversità potrà intercettare festival e progetti musicali capaci di portare nuove voci, di generare incontri, visioni e nuove mappe culturali.
In ogni caso, al di là delle possibili future aperture – sempre legate a finanziamenti e budget adeguati – non possiamo che registrare con soddisfazione, condividendolo, un dato evidente, già sottolineato da diversi operatori internazionali: “Napoli World” si conferma tra gli appuntamenti dedicati ai professionisti delle musiche non mainstream più rilevanti del continente.
Ciro De Rosa
Foto e video di Salvatore Esposito
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