(a cura di) Omerita Ranalli e Sara Modigliani, Noi de borgata. Le canzoni di Armandino Liberti, Nota, 2025, pp. 112, euro 30,00, Libro con 1 Cd

“I Giorni Cantati” è stata una preziosa rivista di “culture popolari e culture di massa” del Circolo Gianni Bosio, edita dapprima in forma di bollettino ciclostilato e successivamente come periodico cartaceo di più corposa consistenza, assumendo vari formati tra gli anni Settanta e la metà degli anni Novanta. Oggi prosegue la sua esistenza come una collana editoriale dello stesso Circolo, diretta da Enrico Grammaroli, antropologo e storico orale, curatore dell’Archivio Franco Coggiola dello stesso Bosio. La più recente uscita, che apre la nuova serie pubblicata dall’editore Nota, è un cd-libro curato da Omerita Ranalli e Sara Modigliani. La prima è demo-etno-antropologa e, tra le altre attività di studio e ricerca, responsabile dell’Archivio Coggiola; la seconda è una ben nota musicista, cantante e didatta del canto popolare. Il volume raccoglie il repertorio di Armandino Liberti, cantautore proletario romano originario di Pietralata (sorprendentemente, sono pochissime le note biografiche riportate nel lavoro), semisconosciuto ai più, la cui esperienza di vita politica e artistica si dispiega attraverso l’analisi di interviste, fonti d’archivio e, naturalmente, della prassi esecutiva del suo canzoniere romano, affidato a una schiera di musicisti di punta della capitale. Quelle di Armandino sono canzoni di protesta e di lotta, che assommano rabbia, ironia e coscienza politica, evidenziando un notevole pensiero poetico e una spiccata disposizione musicale, a dispetto dell’assenza di una formazione artistica formale. Liberti diceva di sé stesso: “Tutto quello che so me l’ha insegnato la strada”, insegnamenti che si riflettono in canzoni che raccontano storie di ingiustizia e di emarginazione, pure di sconfitte ma non certo di rassegnazione. Comunista della sezione Trionfale, Liberti compose “Noi de borgata”, assurto a titolo del lavoro, in risposta all’oleografica, nostalgica e consolatrice “Semo gente de borgata”, canzone di Franco Califano e Marco Piacente, portata al successo dalla coppia de I Vianella. Come scrive Alessandro Portelli, sempre luminoso nel mettere in chiaro i rapporti tra ricerche sui repertori folk e culture politiche, nel saggio “La borgata allora s’arisana”, le canzoni di Liberti, “conformi alla maniera di pensare e di sentire del mondo popolare perché a quel mondo apparteneva […] e in tutte le sue canzoni si sforzava sia di rendergli omaggio, sia di cambiarlo", cantate con una voce pasolinianamente «sbrozzolosa», bassa e rauca, sono "rimaste sconosciute al pubblico: da qui la necessità di questa pubblicazione”. Prefato da Grammaroli, il volume (corredato da un’interessante sezione iconografica) contiene l’intervento introduttivo di Ranalli (“Noi de borgata. Le canzoni di Armandino Liberti”); l’intervista allo stesso Liberti del dicembre 1972 curata da Portelli (“Tutto quello che so me l’ha insegnato la strada”) il quale è anche autore del già citato contributo “La borgata allora s’arisana”, Marco Marcotulli (“I casi della vita”), fotografo, autore e curatore dell’apparato iconografico insieme ai responsabili del Fondo Rodrigo Pais (altro autore delle significative immagini che non sono mero sfondo ma contributo all’affresco sociale e politico dell’epoca) della cui catalogazione e valorizzazione è responsabile Glenda Furini (“Il fondo Rodrigo Pais della Biblioteca Universitaria di Bologna”); la riflessione sul dialetto romanesco contemporaneo di Armandino proposta da Marcello Teodonio (“Er posto suo sta là cascasse er monno. Il romanesco di Armandino Liberti”); il contributo congiunto dei giovani studiosi Flaminia Campodonico, Demetra Cuomo e Cristiano Modica (“Nato pe’ perdee”) che hanno lavorato come tirocinanti al fondo Liberti, contenuto nell’Archivio Franco Coggiola del Bosio. Avvicinandosi al percorso musicale, Matteo Portelli, musicista, compositore e fonico, ne “Il suono di un racconto collettivo” tratteggia le procedure con cui artisti di diversa cifra musicale hanno interpretato le canzoni di Liberti. Parliamo di Montelupo, BandaJorona, Piero Brega, Sara Modigliani, Simone Saccucci, Ludovica Valori, Ardecore, Piero Brega, Gianni Bozzo, Matteo Portelli e Tangram. Sono riportati i testi dei brani contenuti nel cd (quindici più un sedicesimo, la title track del volume, nella versione originale di Liberti), mentre un’appendice include le liriche di nove canzoni d’archivio non raccolte nel dischetto. La tracklist, ascoltabile su supporto Cd o tramite codice QR, è un racconto corale centrato sulla romanità, per dialetto, umore e ironia, ma ciascun artista media e filtra la parola cantata di Armandino secondo la propria sensibilità estetica. Così si passa dall’uso discreto dell’elettronica in “Omicidio bianco” e in “Il servo e il padrone” di Gianni Bozzo & Matteo Portelli al vestito danzante di “E vajece cor liscio” ed “Er Magnaccia” di Montelupo, dalle venature electro-pop portate da BandaJorona (“Cerco er suicidio”, “Er dispettoso”, “La strage di Brescia” e “La Piazza”) e dagli Ardecore (“L’emarginato”) all’intensa credibilità canora di Piero Brega, altra voce “gravelly”, come si direbbe nel mondo anglosassone (“Racconto di una notte”), dal classicismo folk di Sara Modigliani (“Noi de borgata” e “Mo’ la machina ce l’ho”) alla splendida, espressiva e versatile ugola di Ludovica Valori (“Conflitto”), contornata da piano e fiati; dalla performance su basi percussive del cantastorie Simone Saccucci (“Sogno”) alla kora e all’oud, testimonianza di nuovi ascolti, orizzonti e immaginari che fanno da preludio nell’interpretazione dei giovani Tangram (i fratelli Lisa e Daniel Damascelli in “Verso la fine dell’ora e pranzo al cantiere”). Si finisce con la versione dello stesso Liberti di “Noi de borgata”, che chiude un album entrato nella cinquina finalista delle Targhe Tenco 2025, nella sezione a progetto; un lavoro che avrebbe sicuramente meritato di salire più in alto. Ma, chissà, forse poco conciliante per tempi di “canzone senza aggettivi” e per tempi cupissimi come quelli che stiamo attraversando. Come osserva ancora Portelli: “Se la canzone romana non finisce con Armandino Liberti, almeno faccia tappa da lui e trovi altra forza nell’ascoltarlo”, nell’ascoltare una voce che non “cerca di piacere”, urticante come lo sono altri timbri ruvidi come quelli di Tom Waits e Bob Dylan, che “non canta tanto pe’ canta e pe’ fa’ la vita meno amara, ma canta per dirci qualcosa e per dare voce a tutte le amarezze generate da una società che sfrutta ed emargina lui e quelli come lui”. 


Ciro De Rosa

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