Nato a Dakar ma cresciuto in provincia di Varese, Lorenzo Bertocchini è una di quelle figure che sembrano appartenere a un’altra epoca: instancabile viaggiatore, folksinger per vocazione, grafico e fotografo per sensibilità, musicista “on the road” da quasi quarant’anni. Chitarra, armonica, ukulele: strumenti che lo accompagnano da quando, a fine anni Ottanta, iniziò a esibirsi ovunque potesse trovare un microfono e due orecchie pronte ad ascoltarlo. La sua musica, sospesa tra folk-rock, country, rockabilly e blues, mostra da sempre il rispetto devoto verso i suoi numi tutelari: Bob Dylan, Bruce Springsteen, Tom Waits e quel vasto mondo americano che lo ha sedotto sin da ragazzo. Nel 1992, insieme al pianista Roberto Masciocchi, ha gettato le basi di un progetto che sarebbe diventato centrale nella sua storia: dapprima Getaway, poi Pirates e infine Apple Pirates, la band con cui ha calcato palchi in Italia, Europa e Stati Uniti e con cui ha debuttato nel 1998 con “Greatest Hits”. Parallelamente, Bertocchini si è dedicato al proprio percorso come solista aperto nel 2004 con “Whatever Happens Next…”, album sorprendente dal quale traspariva la sua capacità narrativa e l’abilità nel tessere raffinate melode. Da allora sono arrivati un live acustico registrato a New York (“Live at The Sidewalk Café”), il brillante ritorno con gli Apple Pirates (“Uncertain, Texas”), l’omaggio a Springsteen (“Hearts of Stone”) e soprattutto “Bootcut Shadow” del 2013, uno dei suoi lavori più maturi e significativi. Nonostante la qualità costante della sua produzione, mancava da anni un disco capace di restituire in modo pieno il suo universo artistico, quella miscela di sincerità e ironia, di introspezione e leggerezza che rappresenta la sua cifra più personale. “Happy Island” arriva proprio a colmare quel vuoto. Registrato al Ready Made Studio di Luca Marino (basso, vibrafono, tastiere, chitarre, programmazioni) a Samarate e masterizzato da Stefano Lucato, “Happy Island” è un mosaico vivo, aperto: tredici brani originali, tre cover e una ghost track, arricchiti da una vera comunità di musicisti amici che, sparsi tra Europa e Stati Uniti, hanno risposto alla chiamata di Bertocchini inviando parti, idee, presenze. Oltre a Luca Marino, ad accompagnare Lorenzo Bertocchini (voce, acustica e armonica) troviamo Giorgio Caserini (elettrica e cori), Austin Parker (batteria, percussioni e cori), Marco Negrelli (piano e organo), a cui si aggiungono tanti ospiti: Elliott Murphy (banjo e voce), Dan Bern (voci, armonica e cori), Elizabeth Lee (voci, cori e percussioni), Cliff Eberhardt (dobro), Andrea Zonca (percussioni e cajon), James Dalton (mandolino), Lach (voi e piano e piano elettrico), Connie Morricone-O’Toole (cori e percussioni), Scarlet Rivera (violino), Rick the Barber (alle forbici!) e le voci di Adriana Nelson, Alessandra Bertoni, Allegra Rousseau e Lauren-Joy Manus. Il cuore di “Happy Island” batte fin dall’avvio con “All the Other Nights of the Week” che brilla per la sua tessitura folk con la voce, la chitarra e l’armonica di Lorenzo Bertocchini che si intrecciano con il mandolino di James Dalton, quasi a delineare fin da subito la bussola emotiva del disco. Lo stesso mandolino — insieme alla batteria rigorosa ma leggera di Austin Parker — torna a colorare di luce i toni teneri della successiva “I Think I’m Gonna Kiss You” una canzone d’amore, impreziosita da un coro di Elizabeth Lee che aggiunge un’eleganza cinematografica. La vena ironica e affettuosa riemerge poi nella solare “More Messy Than Me” in cui spicca la presenza di Elliott Murphy, alla voce e al banjo e trascina il pezzo in un piccolo teatro di quotidiane imperfezioni. Dal repertorio di Elliott Murphy arriva “Lo and Behold” da “Rainy Season” rilette in versione elettroacustica che imprime al brano un registro più intimo e rispettoso. La title track è un perfetto punto d’incontro tra radici americane e sensibilità melodica italiana: un roots rock morbido e accogliente che sembra davvero disegnare un luogo mentale dove ritrovare respiro. Tra i momenti più rilassati spicca la dolcezza country di “I Wrote You a Song”, amplificata dai cori di Lauren-Joy Manus, mentre il piglio “oldies but goldies” di “Hi and Bye” vede la presenza di Dan Bern alla voce e all’armonica e spicca per la sua vivace struttura in cui la chitarra elettrica di Giorgio Caserini sprizza pura energia. La componente più rock’n’roll e immediata emerge in un brano elettrico e diretto, dove domina la spensieratezza, mentre un’atmosfera più sospesa ritorna in “You Like, I Like”, valorizzata da un lavoro percussivo discreto e sensibile di Connie Morricone-O’Toole. Affrontare un classico come “Fly Me to the Moon” è impresa delicata, e Bertocchini sceglie la via migliore: toglie il superfluo, asciuga, porta lo standard nel proprio habitat folk con un leggero tocco jazzy, senza tradirne l’essenza. C’è poi spazio per brani più morbidi e cantautorali, come “Maureen”, dove la scrittura si fa semplice e romantica, e per piccole incursioni narrative come “Rick the Barber”, un divertissement irresistibile in cui Lach dialoga al piano elettrico mentre il leggendario “Rick the Barber” contribuisce… con un paio di forbici, trasformando la traccia in una scenetta musicale degna del miglior storytelling di quartiere. Il disco tocca uno dei suoi vertici emotivi con “Zoe”, in cui brilla il violino inconfondibile di Scarlet Rivera innalza la melodia a un registro struggente, mentre l’armonica di Bertocchini sembra rispondere come in un dialogo confidenziale. L’altra rilettura, “It’s All Over” di Willie Nile, è interpretata con una passione che sfiora la commozione, sostenuta da una band in grande forma — Parker, Marino, Caserini, Negrelli — e dai cori di Adriana Nelson. Il mood si ribalta subito dopo nell’esplosivo “Dance”, uno swing’n’roll indemoniato che vede Dan Bern tornare all’armonica, Elizabeth Lee ai cori e Marco Negrelli a spingere forte sul piano: un vero invito al movimento, alla leggerezza. L’ironia torna nella progressiva “Snoring”, dove il “ronfare” di Allegra Rousseau diventa un loop ritmico inatteso e giocoso, accompagnato dal dobro di Cliff Eberhardt, mentre la ghost track finale, “Ssshhhhh”, chiude il viaggio con un sorriso sussurrato. “Happy Island” è un vero e proprio arcipelago emotivo: un luogo narrativo dove convivono ironia e malinconia, romanticismo e vitalità, radici e sguardo aperto. È uno dei lavori più maturi e completi della carriera di Lorenzo Bertocchini, capace di riportarlo al centro di quell’immaginario folk-rock che da sempre abita con naturalezza — da varesino con il cuore che pulsa oltreoceano. Un disco che fa bene, che mette di buon umore, che invita a fermarsi, ascoltare, sorridere. Un’isola felice su cui vale davvero la pena approdare. lorenzobertocchini.bandcamp.com/album/happy-island
Salvatore Esposito
