Martin Carthy – Transform Me Then Into a Fish (Hem Hem, 2025)

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Patriarca del folk revival inglese, personalità nobile e imprescindibile, fonte inesauribile divenuto egli stesso un ‘albero di canto’, a 84 anni Martin Carthy pubblica un album, candidato ai Mercury Music Price, che si impone come uno dei lavori più importanti dell’anno. Esce a sessant’anni dal suo primo, omonimo disco, che ha tracciato la via del folk non solo nella sua terra e che fu allora condiviso con il mirabile folletto del fiddle (e del mandolino) Dave Swarbrick, solo in seguito accreditato come cotitolare del disc, e compagno di tante future avventure discografiche e concertistiche. Lo skiffle aveva schiuso le menti svolgendo un ruolo cruciale nella rinascita del folk britannico, Davey Graham avevo aperto la strada a nuove accordature e tecniche chitarristiche di tipo modale, ma la vita di Martin Carthy era cambiata quando, a 17 anni, aveva visto al Ballads & Blues Club di Londra Sam Lerner, all’epoca ottantenne, depositario vivente della canzone tradizionale inglese, nume tutelare insieme ad altri cantori e cantrici a cui rivolgersi per scavare nel canzoniere popolare britannico. In un certo senso Martin Carthy creò il legame tra la ballata tradizionale e il trovatore con la chitarra. Aveva solo 24 anni quando registrò quel disco. Aveva già cantato molte di quelle canzoni per anni, ma era ancora all’inizio del suo rapporto con esse. Quelle canzoni che videro la luce nel vinile del 1965 sono diventate dei classici, rimesse in circolo con voce inconfondibile da Carthy e dalla sua chitarra che reimmaginava la tradizione con l’uso di diverse accordature aperte. “Sessant’anni dopo, alcune sono andate e tornate dal suo repertorio, ma molte altre occupano ancora la sua mente. Quando siamo stati in tour insieme nel 2023, mi raccontò che spesso gli vengono in mente mentre si addormenta, e sono lì ad aspettarlo quando si sveglia. La sua comprensione di esse è ovviamente cambiata: più profonda, più sfumata. Non sarebbe interessante, si è chiesto, portarle di nuovo in studio e
vedere cosa si può fare oggi?”
, scrive Jon Wilks nelle note che accompagnano “Transform Me Then Into A Fish", titolo derivante da un verso della canzone “Ye Mariners All”, che è nella tracklist, nella quale il protagonista chiede, una volta morto e sepolto, di essere trasformato in un pesce per poter nuotare in una brocca di birra. Il disco è quasi un ritorno a quel seminale lavoro, del quale sono rivistati otto brani su quattordici: sette sono tradizionali, uno è opera di Ewan Mc Coll e Peggy Seeger. Ad accompagnare il maestro indiscusso sono al violino sua figlia Eliza Carthy, ormai star affermata del firmamento nu folk, e Sheema Muckerjee al sitar, incontrata tanti anni fa nel fantastico progetto “Imagined Village”. La copertina con la sedia vuota richiama una famosa foto casalinga ad Hull - scatto di John Harrison – che ritrae Martin e sua moglie Norma Waterson, cantante immensa che non è più; l’album è stato registrato in pochi giorni alla fine dell’inverno del 2025 da Ben Seal a Robin Hood’s Bay e prodotto dallo stesso Seal e co-prodotto da Eliza Carthy. La voce non è più quella di un tempo, ma conserva un fascino unico, si fa più intima, riflessiva e meno potente; se è vero che traspare talvolta qualche incertezza sul porgere qualche nota sul registro più alto, è il caso necessariamente di sorvolare, perché – diamine – lui è Martin Carthy! Il programma è aperto dalla magnifica, struggente “The Trees They Do Grow High”, di cui Carthy rammenta: “L’ho imparata quando ero ancora a scuola. Non è cambiata molto — è come l’ho imparata.” Tornarci per questa registrazione è stato un atto di memoria e intuizione: “Non la cantavo da anni. Ho dovuto solo riavvolgere il nastro nella mia testa e decidere come farla. Non la urlo più come una volta — è più misurata, e spero più lirica”

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