Aveva intitolato uno dei suoi dischi, nel 1965, “Canzoni didascaliche”. Uno di quei “Dischi del Sole” che sembravano dei 45 giri extended play e invece erano dei 33 in piccolo formato. Che modestia, che fair play, che autoironia. Certo, le canzoni di Fausto Amodei erano anche didascaliche, anzi quello fu un approccio stupefacente allo strumento della canzone, che forse è rimasto esclusivo suo. Basti citare Il tarlo, che partendo da un’aria della “Carmen” di Bizet era, in forma di deliziosa favoletta, sempre col sorriso sulle labbra, “una perfetta divulgazione del ‘Capitale’ di Marx”, così scrisse Umberto Eco; con puntualizzazioni persino tecniche intorno al sistema economico. O altre centrate quasi maniacalmente sugli aspetti finanziari della società: “Ero un consumatore”, “Uomini e soldi”, “Ninna nanna del capitale”, “II prezzo del mondo”. Immaginate come si possano cantare allegramente – e lui ci riusciva – concetti come l'inflazione, l'aumento dei prezzi, il consumismo, le speculazioni, i meccanismi di formazione della ricchezza, le fughe di capitali all'estero, le frodi commerciali, l'uomo valutato «non per quello che sa fare ma per quello che possiede», la concezione del plus-valore come «maltolto».
Ma Fausto Amodei era anche ben altro. Era il contagio di un’indignazione popolare e l’inquietudine esistenziale, la satira esilarante e la puntigliosità del cesellare nei dettagli, da architetto, parole e melodie; e altro ancora. Quello che si dice un poeta. Se n’è andato a 91 anni, in un attimo, all’improvviso, ancora nella vitalità di un’esistenza certo placata ma ancora attiva e vigile.
Con la sua barbetta e l'aria perenne di uno gnomo della foresta, pignolo e sornione, la voce incerta e petulante, apparentemente freddo e imperturbabile, è stato il grillo parlante della nostra canzone, praticamente il primo cantautore “politico” italiano dell’era
moderna, essendo stato tra i fondatori a Torino di quel movimento Cantacronache, a fine anni ’50, che per la prima volta innestò la canzone in un filone tematico strettamente connesso a concrete situazioni sociali, civili e appunto politiche.
Quando i Cantacronache stampano il primo disco, addirittura un 78 giri che dire in edizione limitata è un eufemismo, diffuso con un altoparlante da un furgone durante la manifestazione della Cgil il 1° maggio 1958 a Torino, se una delle tre canzoni incise è “Dove vola l’avvoltoio” di Italo Calvino cantata in coro, le altre due sono interpretate proprio da Fausto: “La gelida manina o della coscienza politica”, che lui musica su testo di Guido De Maria, e “Viva la pace” di Michele Straniero e Sergio Liberovici. Il pacifismo fu un altro suo tema prediletto, si pensi anche al canto che contrassegnò la famosa prima marcia della pace Perugia-Assisi, il 24 settembre 1961, improvvisata sul momento da lui e Franco Fortini. Ma succede anche, inopinatamente, che fin dal ’59 una delle canzoni musicate da Amodei (su testo di Michele Straniero) raggiunge nientemeno che un’importante casa discografica e una sua promettente cantante, Ornella Vanoni, che tra le sue cosiddette “canzoni della mala” include, su uno dei primissimi dischi etichettati Ricordi, “La zolfara”, ispirata alla morte di 8 minatori in una solfatara siciliana.
Da lì in avanti le canzoni di Amodei “cantautore” a tutti gli effetti – testi e musiche – non si contano. Una di esse diviene uno dei rari esempi di “canzone d’autore” entrata nel patrimonio popolare orale dei nostri tempi, ed è naturalmente quel grande canto di rivolta che è “Per i morti di Reggio Emilia”, originato dai luttuosi tumulti del 1960 contro il governo Tambroni appoggiato dall’estrema destra, tumulti che a Reggio lasciano sulla piazza 5 manifestanti.
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