Kadialy Kouyate – Toña (ARC Music, 2025)

“Nii meh ibo dula lon, iteh itah dula lonna”
in lingua mandinka significa “Se non sai da dove vieni, non saprai dove stai andando". Il proverbio posto in epigrafe nella presentazione di “Toña” (Verità) racchiude l’essenza di questo nono album del suonatore di kora – l’arpa-liuto montata su una zucca –, cantante e autore nativo di Kolda, nel sud del Senegal, residente nel Regno Unito. Già docente all’Università Cheikh Anta Diop di Dakar, ora insegna alla SOAS di Londra. Registrato a Londra, “Toña è come il diario delle mie sedute di terapia. Ogni canzone rappresenta il risultato della mia verità su un certo argomento — l'educazione culturale, le tradizioni locali, la migrazione, così come temi più personali come l’amore e la nostalgia di casa”, spiega il musicista. “Kana Cumbo” (Non piangere), motivo che apre il programma, è una ninna nanna “che parla al bambino interiore che vive in ognuno di noi”. Introdotto dal pizzicato del contrabbasso, il brano si sviluppa con l’incrocio tra la profondità dello strumento suonato da Davide Mantovani e il suono cristallino e avvolgente della kora che accompagna il canto di Kadialy. Magnifico intarsio e dialogo tra corde (kora, chitarra e contrabbasso) con insistenti passaggi improvvisativi in “Kibaroh” (Notizie), che mette al centro il ruolo sociale dei griot (casta a cui appartiene anche Kouyate), mentre fiducia e responsabilità sono i temi di “Karafoh” (Affidarsi a qualcuno), esaltato dalla fisarmonica di Josh Middleton. Il brano esprime la riconoscenza nei confronti di mentori, come lo zio di Kouyate, che ha ispirato il suo percorso educativo. Si avverte il profilo pedagogico e l’attitudine narrativa dell’artista, che riesce a condurre l’ascoltatore nel proprio mondo culturale. Gli arrangiamenti sono minimali, mai eccessivi per dare spazio alla centralità dell’arpa-liuto e della voce di Kouyate. Il suo stile molto personale, per la conformazione delle sue dita, integra diverse tecniche esecutive ed improvvisative derivate da collaborazioni artistiche ed esperienze con pratiche di tradizioni orali. Con lui, oltre al contrabbasso e al basso di Mantovani (anche ingegnere del suono) e al mantice di Middleton, suonano Manadou Sarr (calabash, djembe e sabar), Abdoulaye Samb (chitarra), Al MacSween (tastiere, in due tracce) e Mina Mikhael Salama (oud in due tracce). Se “Kana Dah” (La fuga) si rivolge alla memoria della criminosa la tratta degli schiavi (nel 2015 Kadily ha preso parte al remake della famigerata serie “Radici” in qualità di musicista, consulente culturale e trainer per il dialetto), il primo singolo dell’album, la vivace e orecchiabile “Kanou Foro Ka Di” (Il vero amore è bello), racconta di gioie e affetti. Diversamente, nella successiva “Famo Keta” (È da un po’ di tempo), ingioiellata ancora dalla fisarmonica. la riflessione si rivolge al vissuto migratorio, prevale un sentimento di nostalgia per la lontananza da casa e l’assenza della vicinanza alle persone care. Invece, “Musolu Barata” (Le donne sono lavoratrici instancabili) rende omaggio alle lavoratrici del Senegal, ieri come oggi. Così, “Jambo Dongo” (La danza delle foglie) ricorda le danze tradizionali di celebrazione delle manifestazioni importanti della cultura mandinka, come le cerimonie di iniziazione, che lo stesso Kadialy ha vissuto da bambino. Le emozioni mutano ancora in “Hameh Julo” (Canto dell’ambizione), il cui testo racconta il misto di tragicità, forza e speranza della migrazione attraverso l’Atlantico, tra passaggi più meditati e frasi la cui vivacità simboleggia i sogni di chi cerca un futuro migliore. Ad arricchire le timbriche, qui entra l’oud, i cui ricami si ritrovano anche nel trionfante brano conclusivo, “Ça Ira” (Tutto andrà bene), in cui è racchiuso l’incoraggiamento per chi sta attraversando momenti difficili: “Questa canzone racconta una storia familiare a molti di noi ed è un invito a fare il passo successivo. In un certo senso, chiude il cerchio, riportandoci al messaggio di ‘Kana Cumbo’: continuare a credere nell’amore e a condividerlo con il mondo”


Ciro De Rosa

Posta un commento

Nuova Vecchia