Artisti Vari – A Tribute To The King Of Zydeco (Valcour Records, 2025)

Zydeco è un termine che gli appassionati di musica americana probabilmente conoscono molto bene; quel che invece forse non tutti sanno è che questa musica regionale, in quanto caratteristica della Louisiana e in particolare della popolazione creola, non è soltanto un genere nato dall’incontro fra il blues e la musica cajun perché in realtà, come per altri suoni provenienti da quell’area, dentro ci si possono trovare anche soul, funk e rhythm’n’blues (e, nel caso di esponenti più giovani e contemporanei, persino rap e dance). Clifton Chenier è da sempre considerato il re di questa musica, e oltre ad aver vinto un Grammy Award nel 1983 è stato apertamente citato da molti artisti nelle proprie canzoni e specialmente da Paul Simon, come “The King of the Bayou”, in “That Was Your Mother”, inclusa nel suo capolavoro “Graceland”, dove l’accompagnamento era fornito da un’altra figura fondamentale della musica della Louisiana quale Rockin’ Dopsie (il “Principe incoronato dello zydeco”, come recita il titolo di un suo disco) e i suoi Twisters. L’unico e solo re dello zydeco (o zodico, come pure si poteva trovare scritto un tempo) proveniva da una famiglia musicale in cui si parlava anche la lingua francofona della Louisiana e la sua carriera ha preso il via al principio degli anni ‘50; la sua prima incisione è del 1954 quando, all’età di 29 anni ottenne il suo primo contratto discografico decidendo così di lasciare il suo lavoro in una raffineria del Texas. Certo non si può certo dire che abbia inventato lo zydeco – le cui origini si ritiene risalgano alla fine degli anni ‘20 del Novecento, e in particolare alle prime registrazioni di Alphonse “Boi Sec” Ardoin – ma è assolutamente indubbio che sia stato Clifton Chenier a codificare questa musica nelle sue forme più urbane e contemporanee, abbandonando il limitato Cajun accordeon (di solito un organetto diatonico con una sola fila per il canto e due bassi) in favore della più versatile fisarmonica, e riuscendo a portare la sua musica anche ben al di là dei suoi confini naturali: nel 1955 infatti “Eh, Tite Fille” – versione in lingua francofona di “Hey Little Girl”, una composizione del Prof. Longhair, – ebbe una certa risonanza a livello nazionale permettendo all’artista di esibirsi anche nel resto degli Stati Uniti e di registrare un consistente numero di album per importanti etichette come Specialty, Chess, Arhoolie, Verve e Alligator. Il fisarmonicista e cantante è scomparso nel 1987, all’età di soli 62 anni per complicazioni dovute al diabete, e il testimone è passato, oltre che nelle mani di suo figlio C.J. Chenier (a sua volta un valido fisarmonicista), in quelli del già citato Rockin’ Dopsie, dei figli di quest’ultimo (Rockin’ Dopsie Jr. e Dwayne Dopsie), Buckwheat Zydeco e diversi altre figure che hanno tenuto e continuano a tenere alta la bandiera dello zydeco. In occasione del centesimo anniversario della nascita di Clifton Chenier, una manciata di grandi nomi della musica “Americana” si sono ritrovati per omaggiarlo realizzando uno dei migliori tributi che si potesse desiderare, e forse non solo in tempi recenti. L’iniziativa è partita da Joel Savoy, figlio di Marc e Ann Savoy, due istituzioni della musica Cajun, anch’egli musicista con la band di famiglia e i Red Stick Ramblers, nonché boss della Valcour Records, con l’assistenza in sede di produzione di Steve Berlin (dei Los Lobos). L’apertura del disco è impressionante perché si deve nientemeno che ai Rolling Stones alle prese con una fiammeggiante versione di “Zydeco Sont Pas Salés”, il brano che ha dato il nome a tutto il genere musicale e deriva da “les haricosts sont pas salés”, un detto tipico della popolazione creola della Louisiana che significa “fagioli dolci e niente sale”, un riferimento alle difficoltà della povertà rurale; questa canzone è diventato una delle più popolari nel vasto repertorio di Chenier e la band britannica ha saputo affrontarla con la giusta determinazione e coinvolgimento, grazie anche al contributo di Steve Riley la cui fisarmonica per l’occasione instaura qui un brillante dialogo con l’armonica di Mick Jagger. La fisarmonica del resto è la principale protagonista dell’intero album, di volta in volta nelle mani di vari virtuosi come Geno Delafose, Roddie Romero, Keith Frank e Anthony Dopsie che sono fra quanti hanno contribuito alla raccolta in cui hanno suonato, distribuiti qua e là, e vanno ricordati in quanto non figurano fra i titolari delle 14 tracce, anche Augie Meyers, Sonny Landreth, Molly Tuttle e l’ottantenne Tommy McLaine (uno dei principali esponenti dello swamp pop). Data l’altissima qualità generale dell’operazione, ritengo sia superfluo menzionare ogni singolo episodio di “A Tribute To The King Of Zydeco” perché tutti gli artisti coinvolti hanno svolto più che egregiamente il proprio compito, entrando alla perfezione nel contesto, compresi quelli più distanti idealmente e/o teoricamente dalla musica creola, come Charley Crockett, Steve Earle, John Hiatt, Lucinda Williams, una dei pochi protagonisti nativi della Louisiana, e Shannon McNally che è l’unica a cantare esclusivamente in creolo nella stupenda “Tout Le Temps En Temps”. La lingua francofona con cui è cresciuto (e spesso ha cantato) Clifton Chenier infatti è scarsamente rappresentata qui: la si ritrova infatti parzialmente in “You Used to Call Me”(John Hiatt) e non inganni un titolo come “Hey Tite Fille”, che Taj Mahal, uno che nel corso della sua lunga e onorata carriera ha attraversato tutta la storia della musica afroamericana, canta però in inglese ma facendo, come sempre, un ottimo lavoro. Fra gli altri nomi che si sono trovati particolarmente a proprio agio c’è inoltre, a mio parere, la sempre brava Marcia Ball (“I May Be Wrong”) la quale, d’altronde, pur essendo texana di nascita, vive da anni in Louisiana di ne cui ha saputo far propri gli aromi musicali esprimendoli non di rado nella sua musica. Un altro texano, il chitarrista Jimmie Vaughan è responsabile, inevitabilmente direi, di uno degli episodi più marcatamente blues, “My Soul”, mentre Jon Cleary, il “gentlemen” inglese di New Orleans è l’interprete di uno degli episodi più prossimi al soul, “I’m on the Wonder” (ma pure in questi due casi la fisarmonica è assai presente). Non manca nemmeno una presenza ispanica grazie a Ruben Ramos di Los Texmaniacs con una “Ai Ai” molto in odore di musica Tex-Mex, e David Hidalgo che tratta “Hot Rod” esattamente come ci si sarebbe aspettato dai Los Lobos. La chiusura del tributo è infine stata affidata proprio a C.J Chenier che rivisita, a suo modo, Sam Cooke con l’intensa e accorata “I’m Coming Home” ove spicca il lavoro della chitarra slide del sempre fenomenale Sonny Landreth. È il giusto sigillo a un’opera che ad alcuni farà scoprire lo zydeco ma che, al di là del considerevole valore artistico, va presa in considerazione perché tutti i proventi derivanti dalle vendite sono destinati al Clifton Chenier Memorial Scholarship Fund, istituito dalla Valcour Records presso l’università della Louisiana di Lafayette al fine di offrire sostegno economico agli studenti di musica tradizionale e fisarmonica. 


Massimo Ferro

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