Lo sguardo di Ethnos Festival: trent’anni di passioni ed emozioni tra i suoni del mondo. Conversazione con il direttore artistico, Gigi Di Luca

Ci sono festival che generano conoscenza, favoriscono il confronto interculturale e, al contempo, offrono un profondo piacere estetico. È il sentiero che il Festival Ethnos percorre senza incertezze da trent’anni, sin dalla sua nascita, proprio alla metà degli anni Novanta. Ci sono traguardi culturali – che sono anche sociali ed economici, è bene sottolinearlo – che meritano di essere raccontati. Quello di Ethnos è un percorso continuativo, un fatto tutt’altro che scontato nella realtà del Sud. Una rassegna che, anno dopo anno, ha presentato – con un raggio d’azione sonoro vastissimo – voci e strumentisti tra i più importanti al mondo. Figure di spicco delle tradizioni musicali, sia d’arte che popolari, dell’Asia Occidentale, del subcontinente indiano, dell’Estremo Oriente, delle molte Afriche, dell’America Latina, dell’Europa (da Nord a Sud, da Est a Ovest), dell’Italia e della sponda sud del Mediterraneo. Artisti affermati, ma anche nomi meno noti, di grande valore culturale. Passarli in rassegna tutti è impossibile, ma una visita al sito del Festival permette di scorrere immagini indimenticabili che restituiscono il senso profondo di questa manifestazione. Un altro punto di forza di Ethnos è sempre stato la sua formula itinerante, capace di ripensare i luoghi stessi della musica. Il Festival ha saputo valorizzare spazi culturali dell’area vesuviana e della città di Napoli, spesso aperti al pubblico proprio in occasione dei concerti e delle attività in programma. È una rassegna che si è sempre distinta per l’apertura a collaborazioni inedite e a progetti site-specific, capaci di esaltare il legame tra musica e territorio. Una storia in controtendenza – non l’unica in Campania – ma certamente lontana da narrazioni effimere o conformiste, e mai elitaria. Un luogo di mediazione tra memoria e futuro, tra
linguaggi di tradizione e contemporaneità, nella musica ma anche in altre forme artistiche. Pr di più, con uno sguardo “politico”, attento ai fenomeni migratori e all’incontro tra culture musicali che, da sempre, dialogano tra loro. Ideatore e direttore artistico del Festival è Gigi Di Luca, regista teatrale e operatore culturale attivo su molti fronti. In questa conversazione, ripercorriamo insieme la storia e il vissuto di Ethnos, e presentiamo la XXX edizione: un ricco cartellone di appuntamenti musicali e non solo, in programma dal 6 settembre al 3 ottobre.

Direttore, come ebbe inizio Ethnos trent’anni fa? 
Sentivo, come musicista, che si era dedicato per anni alla musica popolare, l’esigenza ritornare alle origini. La forza trainante del folk revival era terminata da un po’ di anni e la scena world internazionale avanzava. Si creavano naturali contaminazioni e incontri e guardandomi intorno mi sembrò importante portare il mondo ai piedi del Vesuvio. Portarlo soprattutto in quei luoghi come le ville vesuviane, la reggia di Portici, i siti archeologici che emanavano storie e bellezza in modo che, il classico incontrasse e si fondesse con il contemporaneo. Ethnos ha avuto sin dall’inizio una visione precisa, quella di recuperare la
memoria della cultura popolare vesuviana e farla incontrare con le tradizioni e le musiche del mondo. È stato una congiunzione di territorio oltre il campanilismo locale, perché la sua formula e articolazione è stata pensata in forma itinerante.

In trent’anni sono cambiate le politiche culturali, il modo di ascoltare musica e anche i gusti del pubblico. In che modo Ethnos si è adattato – o ha reagito – a questi mutamenti?
In trent’anni cambia il modo di vivere, di ascoltare la musica, di fruirne ma non cambia per fortuna il rapporto che l’uomo ha con le emozioni, con la necessità di viverle. Con la dimensione umana di ritrovare le proprie radici e la sua collocazione in una società multiculturale. Ethnos ha superato i cambiamenti non cambiando niente, rimanendo fedele alla linea, alla sua visione politica e poetica; non ha mai ceduto alle mode né le ha rincorso, anzi si è allontanato con forza creando una sua identità riconosciuta e riconoscibile e che oggi lo attesta come uno dei più importanti e longevi festival di musiche del mondo in Italia. Se da una parte la velocità con cui tutto si consuma e si divora, soprattutto nelle grandi città come Napoli, portava continui mutamenti, dall’altra parte emergeva il bisogno di ritrovare le tradizioni, la lentezza della vita nel rispetto del creato e del diverso. Mentre la tecnologia ti fa arrivare ovunque con un clic, un like, e la cultura usa e getta prendeva il sopravvento, diventava sempre più impellente restare fermi e creare opportunità di approfondimento, di esperienze, di incontri, conoscenze e ri-conoscenze. Ethnos è questo ed è stato questo. Un progetto più che un Festival.

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