
Negli anni, la “world music” è passata dall’essere una categoria affermata a un’etichetta spesso contestata, anche da chi ne è stato protagonista. Da operatore culturale di lunga esperienza, come leggi questa evoluzione?
La prospettiva non è certo legata a un termine, a un nome, ma a una voglia di continuare a sapere che senza le culture degli altri non potremmo nemmeno più amare la nostra. Le differenze, anzi “la bellezza delle differenze” è la prospettiva. Una bellezza che dobbiamo tutelare ma anche imparare a diffondere non solo con la musica ma con l’arte, con la multidisciplinarietà. Creare connessioni, rete, come si sta già facendo in Italia con la Rete italiana della World Music, di cui sono tra i soci fondatori, per sviluppare progetti comuni, coproduzioni, scambi e favorire la circolarità di artisti. La novità rispetto al passato è sostanzialmente questa, che oggi a livello mondiale si ha la possibilità di collaborare e far circolare le idee per creare opportunità di lavoro ed essere parte attiva del tempo presente.
La distanza io la misuro con le emozioni. Il mio primo WOMEX è stato nel 2000 a Berlino.
Non conoscevo quasi nessuno personalmente dei miei colleghi e book agent italiani, ma le loro voci si, le conoscevo e le ricordavo molto bene perchè allora ci si telefonava principalmente. Fu divertente identificare tutti seguendo le loro voci e sapendo esattamente chi erano. Questo mondo purtroppo è finto. Come è finita in parte la necessità di andare alle fiere, ma non la passione di andarci, per scoprire cose che non avresti mai avuto la possibilità di incrociare. Non è centrale nella programmazione del mio festival partecipare alle fiere ma è un aspetto del mio lavoro a cui non rinuncio. Come direttore sono molto scrupoloso e come regista e musicista altrettanto, ho bisogno di vedere oltre che di ascoltare, di sentire ciò che quell’artista dal vivo mi dà. Credo però che le molte fiere e showcase festival, stiano appiattendo più che aiutando il mercato della musica world, hanno diminuito in molti professionisti l’interesse nell’ascoltare concerti e nuove proposte alimentando invece l’interesse al viaggio, al turismo offerto dagli organizzatori.
Con una onestà intellettuale, con una proposta artistica che parla all’animo delle persone, con la qualità e la generosità, con la disponibilità la gentilezza dello staff. Ethnos ha creato una comunità di spettatori che segue il percorso itinerante del festival di città in città, si fida del programma, sa che trova cosa sempre nuove ed interessanti cose da “Ethnos“, ci dicono entusiasti. Il nostro pubblico sa che dietro la mia ricerca e selezione di artisti c’è tanto lavoro, si aspettano proposte di artisti che arrivano da ogni parte del mondo e che magari non hanno mai suonato a Napoli. I grandi nomi per fortuna non sono più un obbligo del programma, anzi, a me ed al pubblico interessa un’offerta particolare e ricercata ed è quello che ci si aspetta soprattutto in un settore come la world music in cui la storia che è dietro gli artisti a volte dolorosa, il paese da cui provengono, è molto determinante per la loro musica. Devo dire grazie anche alla Regione Campania e poi al comune di San Giorgio a Cremano, che da sempre ci garantiscono finanziamenti che hanno dato continuità al festival ed hanno aiutato il percorso di fidelizzazione del pubblico Vanno poi citati il Ministero della Cultura dal 2022, e tutti gli altri comuni partner come Portici, Ercolano, Torre del Greco, Castellammare di Stabia, Napoli, Boscotrecase che sostengono Ethnos.
Si avverte la necessità di coinvolgere le nuovissime generazioni, ma anche la fascia dei 20-35enni, nei festival dedicati alle musiche non mainstream. Che fare?
Fare formazione ed informazione innanzitutto. Iniziare dalle scuole, passando per le università. È un percorso lungo ma necessario. Il festival ogni anno si rivolge alle scuole con la sezione” Ethnos per le Scuole”, con un programma di laboratori, workshop, conferenze e concerti nelle scuole per gli studenti e con gli studenti. Bisogna avvicinarli piano piano, offrendo loro biglietti gratuiti o comunque a prezzo ridotto (i nostri prezzi comunque già sono molto popolari, tra 5 e 10 euro a serata). Organizzare anche contest musicali con le band giovanili magari invitandoli a interpretare brani di autori ed interpreti di diverse nazionalità.
Quali saranno i luoghi del Festival 2025?
Il festival fa tappa in otto comuni: Napoli, San Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano, Torre del Greco, Castellammare di Stabia, Boscotrecase e Boscoreale. I luoghi sono come sempre luoghi storici come le Ville Vesuviane, la reggia di Portici, le antiche Terme di Stabia, il Museo del Parco Nazionale del Vesuvio, chiese del centro storico etc. … Non amo i concerti da piazza, da sempre. Il festival ha avuto la caratteristica di essere una carovana di musica itinerante che ha invaso luoghi per farli riaprire, spazi non convenzionali come il Cimitero delle Fontanelle a Napoli dove si tenne il concerto della palestinese Kamilya Joubran, Il Parco dei Quartieri Spagnoli riaperto con il concerto di Ryūichi Sakamoto. Prevale nella scelta dei luoghi la mia visione di regista nel dare agli spazi una vita ed una vitalità differente, immagino da subito quale artista possa trovare la sua giusta collocazione in quel luogo. A volte è proprio dopo un sopralluogo in un sito storico che si sviluppa l’idea, l’origine della mia creazione con la musica che nasce dal luogo.
In questa trentesima edizione, quali sono i sentieri musicali che il Festival percorrerà? Ci sono artisti già noti che ritornano, ma anche molte novità in programma: cosa ti aspetti da questa edizione? C’è un live che ti sta particolarmente a cuore?
I sentieri del mondo ma di un mondo interiore, con artisti che si fanno ascoltare e ci aiutano ad ascoltarci. Da anni Ethnos si dedica a porre l’attenzione sulla peculiarità degli artisti, sulla loro capacità di entrare in una comunicazione a volte mistica a volte empatica con la loro musica ed il pubblico. Lo abbiamo detto, Ethnos non è un festival di intrattenimento ma di approfondimento ed è normale che la ricerca nel programma vada in questa direzione. Gruppi come Ensemble Chakâm, Rusan Filitzek, Mari Kalkun, Ernest Reijseger & Cuncordu e Tenore de Orosei, Caamaño & Ameixeiras, ma anche altri. E poi ci sarà un ritorno alle origini per Ethnos che ripercorre il suo sentiero per tornare alla radice ospitando il gruppo Ndima con canti e danze dei pigmei Aka del Congo, a cui è affidato sia un workshop di canto polifonico che una conferenza. Certo non mancheranno anche due concerti molto attesi di ritmo travolgente come quello degli ungheresi Söndörgő e dei ghanesi Santrofi. E ancora I sentieri del Sud Italia con gruppi che provengono da tutte le regioni del Sud
Altri eventi collaterali della manifestazione per il trentennale?
Itinerari, panel tematici, workshop, cinema. La prima parte del festival prevede una serie di attività soprattutto dei workshop molto interessanti di danza afro hip hop con la performer danzatrice Tishou Aminata Kane sia a San Giorgio a Cremano che alla cavea di piazza Garibaldi e poi una mini rassegna di cinema curata da Mario Di Luca che sarà dedicata ai temi scottanti e sociali che coinvolgono i paesi del
mondo, avremo un’anteprima italiana con il film “Soundtrack to a Coup d’Etat”. Ci saranno poi panel tematici come quello sul canto a Tenore, quello con Valerio Corzani, che racconterà storie musicali corredate da immagini: “Corzani Airlines” è il titolo del suo incontro al Festival Ethnos, ed è pure il nome della sua rubrica che cura per “Blogfoolk Magazine”. Per i trent’anni anni ci regaliamo anche un opening festoso, con una performance di body art a cura di Weronique art, la presenza sonora di San Gennaro Bar, una carrellata di foto a cura di Pino Miraglia ed un talk con me che racconto al pubblico i tre decenni di Ethnos tra suoni, visioni e culture. In dicembre invece, presenteremo il volume celebrativo del trentennale anni con contributi scritti di artisti, scrittori, docenti universitari, ricercatori e il pubblico di Ethnos.
Nel frattempo, cresce anche il contest Ethnos Generazioni. Cosa vuole rappresentare questo Premio? In cosa si distingue da iniziative analoghe come il Premio Andrea Parodi in Sardegna o il Premio Alberto Cesa legato a Folkest in Friuli, anch’essi collocati nell’orizzonte della world music?
Non saprei dire in cosa si differenzia, ma in cosa si caratterizza sì. Un’alta qualità dei candidati sin dalla
sua prima edizione. Sia gli under 35 o no, tutti hanno voglia di esibirsi al festival. Quest’anno abbiamo ricevuto circa 170 domande di cui almeno 50 meritano un’attenzione particolare. Ethnos Generazioni è diventato una opportunità, una vetrina importante per chi si candida. La caratteristica è che la selezione è molto rigida escludendo ciò che è fuori tema, anche le proposte cantautorali o pop ecc. questo rende il premio ambito ancora di più perché esclusivo. Diamo poi al vincitore la possibilità di organizzare un tour con i fondi di Nuovo Imaie e di suonare in altri festival come Folkest gemellato con noi. Si sviluppa cosi la circolarità e si dà opportunità agli artisti. Luisa Briguglio vincitrice dell’edizione 2024 ha suonato a Folkest, si è fatta apprezzare ed ora è in finale al Parodi e cosi via.
C’è un filo rosso che ha attraversato tutto il cammino di Ethnos, dal 1995 fino a oggi?
Certo un filo della passione, dell’amore per il Sud le tematiche sociali al fianco di artisti che hanno fatto della loro arte una resistenza in vita. Per celebrare i trent’anni ho racchiuso in cinque temi ciò che è stato ed ha rappresentato Ethnos; Resistenza, Diversità, Territorio, Comunità, Generazioni. Forse il filo o i cinque fili sono questi. Il festival dopo trent’anni non ha perso la sua visione di essere a favore dei deboli, per l’integrazione culturale, per la pace. La lotta al razzismo è sempre una priorità come quella alle ingiustizie ai soprusi e per la diversità culturale. Cambia l’anno dal 1995 al 2025 ma la missione di Ethnon e del mio teatro è sempre la stessa: elevare a linguaggio universale il dolore, il dramma sociale, la poesia che si ritrova nella povertà. Il suono, il gesto, la parola sapranno ancora tracciare il percorso da seguire.
Ciro De Rosa
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