Festival Itinerante e Concertone de La Notte della Taranta, XXVIII Edizione, Melpignano (Le), 1 - 29 agosto 2025

“Se lu Salentu è moda/sta moda ni cunsuma /squagghiamu tutto moi e dopo niente resta chiui”.
In Mazzate Pesanti gli Aramiré di Roberto Raheli avevano previsto tutto: il rischio di un consumo rapido e massificante di un movimento che, dagli anni Novanta in poi, aveva rappresentato per il Salento una rinascita culturale e musicale senza precedenti. Non serviva, come si dice a Napoli, “la zingara” per predire l’evoluzione – o meglio l’involuzione – de La Notte della Taranta, oggi ormai ben lontana dall’esperimento coraggioso e dirompente che fu agli inizi. È vero: sin dalla prima edizione non sono mancate le polemiche, a partire dall’approccio alla tradizione dei maestri concertatori. Ma è altrettanto vero che, da sempre, è mancata una direzione chiara verso cui tendere: evento collettivo legato alla tradizione popolare? Grande festival di world music dal respiro internazionale? Prodotto televisivo nazional-popolare? Strumento di promozione territoriale? Ognuno degli osservatori (critici) ha la propria idea su cosa questo festival dovrebbe essere e, di conseguenza, nutre aspettative che inevitabilmente restano deluse. Certo fa sorridere, e non poco, sentire dal palco di Melpignano che “La Notte della Taranta è il più importante festival di musica popolare al mondo”: un’ambizione che appare fuori luogo, soprattutto alla luce delle scelte artistiche degli ultimi anni, sempre più discutibili e mortificanti per la storia del festival, tali da determinarne un 
significativo cambiamento. Il bilancio, in ogni caso, non è solo negativo. Evitato il rischio del “tarantrash”, è evidente che il dialogo con l’universo mainstream non può reggere a lungo senza un ripensamento serio. Gli interrogativi da porsi sono tanti a partire da se valga la pena o meno sacrificare la ricerca e il dialogo con le musiche del mondo sull’altare della visibilità televisiva. Una risposta ci arriva dalla acuta analisi di Maurizio Agamennone, storico primo direttore artistico de la Notte della Taranta: "Il Concertone non è solo un evento: è una Grande Festa stagionale, un vero cerimoniale laico che nessuno vuole perdere. Questa festa si regge su due esperienze fondamentali. La prima è quella che chiamo “coscienza del luogo”: quella spianata vicino al convento, con tutte le memorie di quando qui il rito greco fu sostituito da quello latino, in questo paese, in questa microregione che è il Salento e, ancora di più, in questa piccola isola linguistica che chiamiamo Grecìa salentina. La seconda è la “coscienza di comunità”, che si declina in due modi: da una parte la comunità interna, i nativi, i salentini, che si sentono a casa soprattutto durante la prova generale – solo l’altro ieri erano 60.000 persone! – e dall’altra la comunità estesa: tutti gli altri che arrivano da fuori, salentini curiosi, visitatori, ospiti, musicologi, compositori – ieri c’era persino Giorgio Battistelli! – antropologi, musicisti, cantanti, danzatori, persone curiose, appassionate o
semplicemente entusiaste. Ormai funziona così: qualunque cosa succeda sul palco, l’importante è che l’orchestra non si fermi, che i brani siano sempre in “forte” o “fortissimo”, che si alternino canzoni con un ritmo sostenuto… e il pubblico può essere felice, almeno una volta all’anno, o almeno soddisfatto. Se chi partecipa vuole questo, allora l’evento ha pienamente senso. Ovviamente, innovazione, sperimentazione, ricerca e originalità nell'invenzione musicale vanno cercate, costruite e, direi, anche collocate in un altro contesto”
. Negli ultimi anni, il Concertone ha mostrato senza più maschere ciò che ormai è diventato: un gigantesco show televisivo, in cui la tradizione popolare è ridotta a sfondo sfocato. L’evento che negli anni Novanta nacque come laboratorio comunitario e culturale, come spazio di ricerca e di confronto tra tradizione e innovazione, è stato progressivamente svuotato e ricomposto secondo le logiche televisive. La diretta Rai, se da un lato ha dato visibilità internazionale all’evento, dall’altro ha imposto tempi, linguaggi e perfino una grammatica estetica che ne hanno inevitabilmente determinato una mutazione genetica. Gli ospiti internazionali della scena della world music – quelli che un tempo portavano a Melpignano le voci del Mediterraneo, dei Balcani, dell’Africa e dell’Asia – hanno lasciato il posto a nomi del pop e del mainstream italiano, facendo venir meno uno dei cardini del festival. Il risultato è un
prodotto lucido, confezionato per il prime time, ma lontano da quella dimensione sperimentale e comunitaria che aveva reso unica la Notte della Taranta. Ciò che appare davvero surreale è vedere come chi ha supinamente appoggiato certe discutibili scelte del recente passato, oggi si erga a difensore di una non meglio precisata “autenticità”, con tutti i rischiosi equivoci che questo termine porta con sé. Eppure, qualcosa si è salvato. O meglio: è in atto un tentativo di salvare il salvabile, anche se la strada è lunga. Il Festival Itinerante, ad esempio, è tornato a proporre contenuti di rilievo culturale, come nel caso dei Taranta Talk – non sempre a fuoco, ma comunque importanti – purtroppo penalizzati da una formula che spesso cala concerti da “ascolto” nell’atmosfera da sagra di paese, poco adatta a valorizzarli. Sarebbe stato meglio tornare al modello dell’indimenticato Luigi Chiriatti, che riservava location più raccolte per i progetti più intimi, evitando polemiche, strumentalizzazioni o scene poco edificanti come quella accaduta nella serata di apertura a Corigliano d’Otranto, durante il pregevole concerto “Il canto della frontiera” di Redi Hasa, Cesare dell’Anna, Ekland Hasa e Irene Lungo. Le tappe successive della ragnatela itinerante hanno comunque regalato momenti da ricordare. Il 5 agosto a Sogliano Cavour Sara Modigliani, insignita del Premio alla carriera dalla Fondazione La Notte della Taranta, ha presentato con I fogli volanti lo
spettacolo “Donna non dorme, donna non parla”. A seguire Dario Muci ha proposto il suo ultimo lavoro discografico Talassa. Nei giorni successivi è stata la danza a dominare: il 6 agosto a Cursi con “Ammài” di Roma Trad, Compagnia Teatro del Mediterraneo e Trillanti Trio, progetto vincitore del Bando Ernesto De Martino, e il 7 agosto a Galatina con “Tradimento e tradizione” di Fabrizio Nigro, cui è seguito il concerto dell’Orchestra Popolare. L’8 agosto a Nardò ha entusiasmato il pubblico il travolgente live del collettivo palestinese 47Soul, portabandiera dello shamstep che fonde hip-hop elettronico, dabke e reggae. Il 9 agosto a Cutrofiano Hiram Salsano, vincitrice nel 2023 del Premio Loano Giovani, ha presentato con Marcello De Carolis “Fronni d’alia”, un viaggio musicale tra tradizione, memoria e innovazione. Il 10 agosto il Festival si è spostato sul mare, a Sant’Andrea, marina di Melendugno, dove il pubblico ha accolto con entusiasmo il concerto di La Niña, preceduto dall’ensemble d’eccezione formato da Emanuela Gabrieli, Chora-Trad & Gambling Band. A San Cataldo, Antonio Castrignanò & Tarantasounds hanno proposto lo spettacolo “Scusati amici cari”, con la partecipazione di Don Rico, i Cantori di Carpino, Ziad Trabelsi, Redi Hasa, Eliseo Castrignanò, Ieni Dance e Tarantarte. Il 17 agosto a Zollino è stato il turno del Canzoniere Grecanico Salentino, che ha celebrato i cinquant’anni di attività con lo spettacolo “Il Mito”, arricchito dalla presenza sul palco di Rossella Pinto e Roberto Licci. La serata si è aperta con il terzo Taranta Talk, omaggio a Roberto De Simone dal titolo La Gatta
Cenerentola: la visione, il racconto, a cura di Paolo Prato e Renata Margherita Molinari, moderato da Sandro Cappelletto. Il 19 agosto a Castrignano sono stati protagonisti Bandadriatica con “Odissea Mediterranea” e i Mascarimirì + Ronda Elettrica, mentre il 20 agosto a Martano abbiamo assistito ai concerti di Rachele Andrioli con Leuca e degli Officina Zoè. La serata si è conclusa con la Banda di Aradeo che ha dedicato al pubblico il commovente ricordo di Donato Metallo, consigliere regionale promotore della legge sulle bande con “Senza fine, Serenata per Donato Metallo”. Tornando più direttamente al Concertone, ad aprire la serata del 24 agosto 2024 sono stati due progetti dedicati alla salvaguardia delle lingue minoritarie. Mentre il sole era ancora alto sul piazzale antistante l’ex convento degli Agostiniani sono saliti sul palco i giovanissimi Sveva Bolognone e Davide Riccio con le mamme Virginia Carosielli e Mariangela Genovese, di Celle San Vito, isola linguistica francoprovenzale del Sud Italia, accompagnati da Nico Berardi (fiati, chitarra e coordinamento), Roberto Gemma (fisarmonica) e dalla danzatrice Lucia Scarabino che hanno portato in scena il progetto “Lingue in Musica – Il francoprovenzale incontra la pizzica salentina”, realizzato dalla Fondazione la Notte della Tarante, nell’ambito della III Edizione di “Matria. Le lingue di ieri, di oggi e di domani”, a cura di Puglia Culture. 

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