Giuliano d’Angiolini – Giovani cantori delle valli piacentine (Nota, 2025)

Esemplare per rigore nella ricerca, qualità della scrittura e proposta musicale, questo cd-book, curato dall’etnomusicologo Giuliano d’Angiolini e pubblicato dall’editore Nota (nella confezione è indicato l’anno 2022, ma il lavoro è uscito ufficialmente nel gennaio 2025), raccoglie registrazioni – realizzate nel luglio 2021 – di quattro ensemble provenienti dall’area geografica delle cosiddette “Quattro Province” (Genova, Alessandria, Pavia e Piacenza). Di questo territorio interregionale, caratterizzato da un’omogeneità culturale — in particolare sul piano musicale — si indaga, nello specifico, la porzione corrispondente all’Appennino piacentino. Qui il canto polifonico è una tradizione ancora vitale, che trova i suoi contesti elettivi nei bar, nelle osterie, nelle abitazioni private, nelle manifestazioni musicali istituzionali così come nelle celebrazioni rituali e festive. A caratterizzare queste pratiche canore, animate da forte socialità e gioia condivisa, è la presenza di numerosi cantori, spesso molto giovani. Questo appare, dunque, il punto di forza della documentazione, dal momento che sono stati selezionati quattro ensemble, due dei quali — I Cantori di Marsaglia e il Coro di Farini — hanno grande credito vantando una lunga storia performativa, pur tra avvicendamenti e rinnovamenti sopraggiunti a partire dagli anni Novanta. Per di più, i secondi sono stati oggetto di un saggio monografico a cura dello stesso d’Angiolini (“Canti tradizionali della Val Nure. Il Coro di Farini”, Nota 2018). Accanto a queste due formazioni consolidate, sono presentati due gruppi costituitisi pochi anni fa: Coro Val Curiasca e Coro di Mareto. Sotto il profilo dell’organico, si tratta di cori composti da sole voci maschili, con due solisti e un numero variabile ma consistente di bassi che — diversamente da quanto accade nello stile del trallalero di area ligure — cantano anch’essi parti del testo. Il “primo” è il solista con registro acuto, mentre il “secondo” canta su una tessitura più grave: è quest’ultimo, per lo più, a introdurre il canto. Le due voci soliste procedono per terze parallele, anche se gli abbellimenti introdotti spesso alterano questo modello armonico-contrappuntistico dominante nel canto dell’Italia settentrionale. In questo assetto polivocale, le parti dei bassi rivelano un carattere dinamico e l’impiego di soluzioni melodiche che testimoniano un’innovazione interna alla prassi orale tradizionale. Su questi aspetti — struttura del canto, elementi fonici ed espressivi — d’Angiolini disquisisce con competenza e accuratezza, senza mai smarrire la forza comunicativa (davvero un peccato che manchino una traduzione in inglese e una distribuzione all’estero per questi prodotti: sono pratiche di canto poco conosciute, che meriterebbero maggiore visibilità internazionale). Riguardo ai repertori, la maggior parte dei canti sono eseguiti con una certa lentezza (è definito “canto fermo”, in analogia con il lessico dei vini): si va dal canto narrativo (le ballate), elemento più arcaico, a componimenti lirici, fino a canzoni allegre e “mosse” dal ritmo quasi ballabile di più recente origine (a partire dall’Ottocento). Per tutti i brani del programma — quindici tracce in totale — sono presenti nella trattazione brevi commenti introduttivi e sono proposti i testi. Nelle prime sei tracce sono protagonisti i Cantori di Marsaglia, che aprono con “Il finestrello”, seguita da un classico delle Quattro Province: “La vien dal ciel”, una canzone lirica a tema amoroso, eseguita con un notevole impasto vocale. Colpisce la quasi ballabile “Ho girato tutta l’Italia” (di cui esiste anche una versione a tempo di polka per piffero e fisarmonica), mentre i brani successivi sono due canzoni “moderne”: “La mezzanotte l’è già suonata” e “Dormi piccina, dormi”. Il Coro di Farini apre invece la sua partecipazione con la ballata “La vidovella”, cantata davvero con maestria, impreziosita da interessanti forme di ornamentazione, e prosegue con altre sette tracce tra ballate e canzoni. Si segnala una intensa e magnifica interpretazione del “secondo” Ettore Guglieri di “Trentasei mesi” (riconducibile al tema del canto narrativo “La sposa morta” della raccolta di Costantino Nigra). Non meno di impatto la voce del “primo” Stefano Guglieri in “Sa gh’eran tri bei giovani” e “O mamma fammi il ciuffo”. Nelle modalità esecutive del Coro di Farini spiccano innesti armonici, scale e abbellimenti, a dimostrazione della capacità di innovare all’interno della grammatica tradizionale appresa (“Il castellino”, “Stamattina mi son svegliata”). Le successive due performance, sempre caratterizzate da grande fervore interpretativo, espressione della vitalità di questo cantare condiviso, portano sulla scena il Coro Val Curiasca, che propone la canzone lirica “Son tornata dalla Francia”, e il Coro di Mareto alle prese con la romanza “Il mese di aprile”. Nelle loro esecuzioni aderiscono ai tratti stilistici distintivi del canto polifonico locale. Tuttavia, essendo cori formati da giovanissimi, è lecito attendersi – come auspica il curatore – un significativo affinamento stilistico e, chissà, qualche guizzo vocale in più e ulteriori aperture al cambiamento. In definitiva, una bella immersione nell’anima popolare canterina delle valli piacentine. 


Ciro De Rosa

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