Bretagna, Spirito Aperto

I Bretoni non si sentono granché francesi quanto piuttosto britannici mancati, più prossimi a Cardiff, Glasgow e Londra che a Parigi o Marsiglia. Bilingue, addirittura trilingue, con un idioma che si avvicina al gallese e al cornico, la Francia d’altronde, ha sempre storicamente e culturalmente ostacolato in tutti i modi la loro dimensione celtica. Glenmor era sferzante nel trattare l’argomento nelle prose come nelle canzoni, disgustato dall’idea che il massimo a cui l’Armorica moderna potesse ambire fosse diventare un attraente parco turistico francese. Se il Duca Arturo I Plantageneto di Bretagna non fosse stato ucciso a sedici anni d’età e gettato con una pietra in fondo alla Senna, l’odierno mondo anglofono sarebbe francofono. Nelle pagine dei libri la storia europea viene continuamente narrata attraverso le gesta dei grandi nomi di Napoleone o Churchill ma non sempre tutto è esattamente come sembra. Dei particolari pochi si interessano, Blaise Pascal scriveva “Se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, l’intera faccia della terra sarebbe cambiata”. Molti dei bretoni che oggigiorno parlano quotidianamente il francese, la notte sognano in celtico lungo la linea immaginaria che sfiora Saint-Brieuc, attraversa Pontivy e si tuffa nella penisola di Sarzeau. Hanno una visione federalista del territorio, più che di stati nazionalisti considerano che le popolazioni siano protette dal pezzo di terra che abitano (gli Inuit artici d’altronde non sono certo russi ma discendenti dei Thule così come i corsi sono molto più sardi che francesi). Il gallese è ramo delle lingue romanze sviluppatosi nell’antica Gallia, fu l’urbanizzazione a farlo arretrare, non così è avvenuto per il bretone che è riuscito a sopravvivere proprio grazie all’impossibilità di venire mescolato al francese. Sono poche le lingue che attualmente hanno mantenuto un consistente patrimonio lessicale celtico come quelle gallo-romaniche delle Alpi e dell'alta Francia. Qui in Italia quello friulano è per un abbondante 5% riconducibile al celtico. Fino alla metà del secolo scorso ovunque nell’Esagono, Parigi in testa, si sosteneva che la Bretagna fosse regione da canzonare, priva di poesia, di musica attraente, di espressione propria. Invece la penisola
armoricana si bilancia tra due grandi regioni linguistiche: nella parte occidentale (Bassa-Bretagna) il celtico “bretone”, in quella orientale (Alta-Bretagna) il romanico “gallo”. Anche la danza fin dal XI secolo era già entrata nei suoi villaggi come chiaramente testimoniato in un manoscritto figurato, fortunatamente ben conservato ma che molti in Francia hanno finto di ignorare. Se poi parliamo di musica, beh, in quei tempi lontanissimi, ovunque nelle piazze risuonavano i “tabors” e i “chalumiaux” che, nella loro semplicità, formavano già embrioni d'orchestrine ad accompagnare i primi danzatori-acrobati. Le grandi feste medievali-romane del secolo seguente saranno molto più ben documentate, tanto da riportare, per esempio, che quand’erano all’aperto venivano accompagnate da percussioni e strumenti dall’intensità sonora acuta, con frequenze alte come salmoè (antenato del clarinetto), ciaramelle, zufoli, cornamuse...All’interno delle sale dei castelli al contrario, a farla da padrone erano i cordofoni, soprattutto i liuti importati delle crociate. Anche attualmente in Bretagna nel suonare il famoso “binioù” si continua ad utilizzare la tecnica dell’antico “chalumeau” in cui il settimo degli otto fori risulta doppio e la scelta stilistica ovviamente tocca al musicista. Questi arcaici strumenti a fiato vanno a formare l’albero genealogico delle attuali bombarde bretoni, se ne ha notizia scritta da quando il poeta e politico Lefèvre de Resson nel 1376, segnalò come “novità” la comparsa di “grosse bombarde basse della famiglia delle ciaramelle”. Avvenne a Bruges nel 1468 durante le minacciose nozze di Carlo Il Temerario con Margherita d’York, sorella del Re d’Inghilterra Edoardo IV, quando si descrive come improvvisamente quattro menestrelli balzarono fuori da finestre suonando un motetto. Tre erano travestiti da capre con le loro “chalemies” e un quarto da caprone con una “trompette sacqueboute” (antenata rinascimentale del moderno trombone). 

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