L’invito ad un auspicato equilibrato rapporto tra uomo e natura arriva da questo disco che già nel titolo “Tales of Earth and Sun” racconta come la Terra e il Sole siano alla base della simbiosi tra tutti gli esseri viventi a partire dall’uomo e siano necessari al regno animale così come a quello vegetale. Lo scopo dichiarato della Rastak, una rinomata band iraniana di musica folk contemporanea formata nel 1997, in questo lavoro è infatti è quello di trascendere ogni sorte di confini, da quelli antropici, a quelli culturali, geo-storici. Il paradigma proposto è di tipo transgenerazionale, aprendo a un pubblico variegato e globale ma a patto di non allontanarsi dalla tradizione musicale delle terre che hanno ispirato le sei tracce presentate. Quella di colmare un gap esistente nella ricezione musicale, connettere tradizione e innovazione della musica iraniana e arrivare a persone di diverse età e quindi gusti musicali, sembra essere la mission del gruppo. Per questo non stupirà trovare strumenti tradizionalmente acustici riproposti elettricamente (ad esempio, l’oud elettrico). Il viaggio musicale si svolge questa volta all’interno del Paese stesso, o a limite ai suoi confini, raccontando una storia diversa in ogni traccia. La ripetizione di una breve parola in tutti i titoli, tranne l’ultimo, ci fornisce una chiave di ascolto facendoli diventare onomatopea timbrica e ripetizione ciclica del ritmo. La band è formata da Siroos Sepehri (direttore artistico e tar), Behzad Moradi (voce e percussioni), Farzad Moradi (voce, tanbour e setar), Dina Doosti (kamancheh), Akbar Esmaeilipour (oud basso elettrico), Majid Poosti (percussioni e voce), Sahar Rashidi (qanun).
Il viaggio comincia in una delle 14 isole della provincia iraniana dell’Hormozgan con “Havar Havar” che ci propone un maqam solare. Con il tipico stile responsoriale tra solista e coro a piccoli riff, i suoni chiari e cristallini del tar e degli altri strumenti, gli assoli delle percussioni e gli interventi delle voci tradizionali ci conducono in un clima musicale isolano. Ci spostiamo poi a nord con “Dora Dora” che ha un andamento allegro e scolpito come un bronzo del Lorestan, la provincia iraniana di ambientazione ai confini con l’Iraq, un brano che sembra descrivere l’ordinata orografia del luogo. Spostandoci nel Kurdistan ascoltiamo tutta la resilienza di questo travagliato stato in “Aman Hey Aman” già a partire dal primo accordo e poi dall’entrata struggente e singhiozzante della voce maschile principale e da quella femminile del coro. A metà del brano si cambia maqam con l’incalzare veloce delle percussioni e degli strumenti seguito dalle voci in modo antifonale e ripetitivo. Andiamo in Afganistan Con “Zim Zim” è un canto d’amore dal carattere movimentato e energetico in cui il testo a metro trocaico segue dall’inizio alla fine le piccole cellule della sezione ritmica e si crea un sound insieme antico e moderno grazie anche al groove del basso elettrico e dalle percussioni. “Halo Halo” è quasi un grido espresso con pacatezza, interiorità ed eleganza, un anelito di libertà e indipendenza per una regione di confine come Balochistan molto contesa per il suo antico valore. Ultima tappa del viaggio è “Azadi”, la città di Kermanshah situata nell’altopiano dell’omonima provincia. Un inno alla terra contrassegnato dalla forte presenza del ritmo percussivo, una terra però dove l’aria è rarefatta e il sole è più vicino. Un brano che si apre a sonorità e modi di cantare molto moderni contemporaneamente a quelli arcaici. Davvero un bel disco da ascoltare con empatia e riflessione.
Francesco Stumpo
Tags:
Medio Oriente