Áššu – Luohteniegut (Nordic Notes, 2025)

Come molti autori e autrici di origine Sámi, la finnica Ulla Pirttijärvi partecipa al fenomeno letterario e musicale che concorre non solo a riannodare i fili della memoria di un popolo transfrontaliero (il territorio Sápmi comprende aree di Svezia, Norvegia, Finlandia e della penisola di Kola in Russia), ma anche a ridefinirne i linguaggi espressivi nella contemporaneità. Il canto joik, uno dei pilastri della tradizione orale sámi, torna oggi a essere una forma vitale di autorappresentazione grazie a interpreti come Pirttijärvi, già nota per la sua militanza musicale nel trio Angelin Tytöt e, dal 2014, per il progetto Solju, fondato con la figlia Hildá Länsman. Nel 2019 nasce Áššu, trio con cui Ulla firma l’esordio discografico eponimo. Il nome significa “brace”, evocando simbolicamente una memoria che continua a vivere sotto la superficie, pronta a riaccendersi. Il gruppo è completato dal polistrumentista Olav Torget, che contribuisce con chitarre, n’goni e sound design elettronico, e dal percussionista Kenneth Ekornes. In “Luohteniegut”, secondo lavoro in studio, si aggiunge la musicista norvegese Hildegunn Øiseth, che con il suo corno di capra appare in cinque brani. Il titolo dell’album, che si traduce come “Sogni Joik”, rivela già il cuore pulsante dell’opera: molti dei canti sono giunti a Ulla sotto forma di sogni. Si tratta di joik dedicati agli animali, agli elementi naturali, ad amici e parenti, in un continuum onirico-realistico che riflette l’interconnessione profonda tra gli esseri viventi e il paesaggio. Ad Angeli, villaggio del nord della Finlandia dove Pirttijärvi. è cresciuta, l’allevamento delle renne è una pratica centrale e la natura è interlocutrice e presenza costante. “Gli joik non sono canzoni su qualcosa. Lo joik è il soggetto stesso”, spiega l’artista. La presenza di una lince o di un orso in un sogno o in un joik è reale. Un tratto che rimanda al retaggio della cultura sciamanica: non si canta su qualcosa, ma quel qualcosa stesso, in modo che sia presente. L’apertura è affidata a “Gouldu” (Vento freddo), un’introduzione sospesa e suggestiva che prepara il terreno per uno dei brani più emblematici del disco, “Luoddaearru” (Il crocicchio). L’incisività del canto è contrappuntato dai fiati e da un potente elemento ritmico; gradualmente si affacciano le influenze strumentali subsahariane: il fatto è che Torget ha trascorso parecchio tempo in Mali e Senegal, assorbendo stili locali che trasferisce nel suono artico. Più delicato il successivo “Uvdel Ovllá Jovnna Ursula” (Lo joik di Ursula). Con l’ingresso della chitarra elettrica, l’elemento desert blues si affaccia con più evidenza nell’incalzante “Albbas” (Lince). La rarefazione poetica di “Eahketroađđi” (Tramonto) esplora registri quasi ambient, con chitarre minimali e accenni di corno che amplificano l’eco del paesaggio. Il successivo “Májjo Jovn ́ Hilmma Keijo Luohti” è un ritratto del fratello di Ulla, allevatore di renne, a cui il brano è dedicato. In “Buoidda” (Ermellino), il trio sorprende con un’incursione in territori latin jazz, dimostrando l’ampiezza del proprio vocabolario sonoro. “Niegut” (Sogni)si regge su strutture minimali: voce, ngoni e percussioni. “La forza dell’orso” (“Guovžža Fámut”) è un altro motivo energico: potrebbe essere altrimenti visto di quale animale si parla? Segue “Manin?” (Perché?) con la chitarra elettrica quasi prog e l’elettronica a costruire la tensione che incornicia l’ampiezza della voce di Ulla. Più fluido e sognante, nella prima parte di “Mearra Juoiggaha” – che si traduce all’incirca con “Il mare mi fa joikare” – il canto si attesta sul registro alto, per poi raggiungere una piena estensione, sempre sostenuto dall’iterazione di corde che sembrano “ascoltare il mondo”. Il trio si accommiata con l’ultimo incontro in natura, quello con il salmone (“Luossa”), un joik che racchiude l’intero spirito dell’album e che affonda nella memoria personale: quella del giorno in cui Ulla, incinta della figlia, pescò un salmone e fu sopraffatta da un senso di gioia profonda. “Luohteniegut” restituisce lo joik come forma espressiva non solo identitaria, ma anche estetica, profondamente interconnessa con i temi della memoria, dell’ambiente e della spiritualità. Un lavoro imprescindibile che mostra una tradizione in trasformazione, che non smarrisce il rapporto con il passato. 


Ciro De Rosa

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