Seckou Keita – Homeland (Chapter 1) (Hudson Records, 2024)

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“Homeland” si annuncia come il primo capitolo di un progetto di più ampia prospettiva che segna il gradito ritorno in gran stile del suonatore di kora, cantante e compositore Seckou Keita, senegalese del Casamance residente in Gran Bretagna dal 1999 quando arrivò all’età di ventun anni. Un artista più volte incontrato su queste pagine, sia da solista (“22 Strings”, 2025) sia in fruttuosi sodalizi, da quello con il pianista cubano Omar Sosa (“Transparent Water”, 2017, e “Suba”, 2021) a quello con l’arpista gallese Catrin Finch (“Clychau Dibon”, 2013, e “SOAR”, 2018) e, ancora, con l’AKA Trio, insieme al chitarrista italiano Antonio Forcione e al percussionista brasiliano Adriano Adewale (“Joy”, 2019). Non meno significativo il progetto “African Rhapsodies” (Claves Records, 2023), opera per kora e orchestra arrangiata dal compositore e bassista italiano Davide Mantovani, registrata con la BBC Concert Orchestra diretta da Mark Heron, oltre al coinvolgimento nel progetto new trad “Spell Songs”. Il fatto è che, nel giro di poco più di due decenni, Keita è diventato uno degli artisti più famosi del panorama musicale multiculturale d’Oltremanica. L’Università di Nottingham gli ha conferito un dottorato onorario proprio per la sua tecnica sullo strumento. “Grazie alla kora sono qui […] Assegnarmi questo titolo significa riconoscere l’insegnamento dei miei nonni e della mia famiglia. Quindi per me la kora racchiude tutto questo”, chiosa Keita in un’intervista a “KLOF Mag”. In supporto fisico “Homeland” si presenta in formato CD digipack deluxe di 44 pagine con splendidi scatti ispirati al lavoro (quelli della vita di strada sono di Taylor Kitoko) oppure è disponibile su LP, in edizione limitata “crushed orange”, contenente il libretto patinato. Registrazione e mixaggio sono stati realizzati tra Senegal, Regno
Unito, Belgio e Germania. Con libero e mutevole pensiero, nelle dodici tracce Keita attraversa con fluidità generi e lingue (mandika, wolof, inglese e francese), mescolando stilemi tradizionali per kora, ritmi urbani, afro-pop, inserti hip-hop e spoken word. L’idea di Keita di realizzare delle collaborazioni panafricane è iniziata nel 2017 ed è culminata con il singolo “Homeland”, prodotto tre anni dopo con il cantante connazionale Baaba Maal. Poi, durante il Covid, spiega Keita: “Ho iniziato a sedermi e farmi molte domande: dov’è casa per me? La mia casa adottiva nel Regno Unito, la mia casa in Senegal o i luoghi in cui ho viaggiato? Dov’è casa per me? Non ho una risposta per tutti, ma l'unico modo in cui posso esprimermi è attraverso la musica”. Da queste considerazioni ha avuto impulso questa nuova avventura musicale, in collaborazione con l’affermato produttore Moussa Ngom, già accanto a Youssou N’Dour, con l’obiettivo di realizzare un crossover acustico ed elettronico. Il musicista e co-produttore (in regia ci sono anche lo stesso Keita e Tom Colvin) riesce nell’intento di conferire omogeneità e calore al suono d’insieme, ma è la kora il cardine intorno al quale ruotano strumenti e voci dei musicisti. Al cuore dell’album ci sono il senso di appartenenza, l’identità e le relazioni con il Paese natale e quello di adozione. Keita sottolinea come la narrazione sia una parte essenziale della tradizione griot che si è formata nel corso dei secoli ed come essa sia parte integrante della sua vita e della sua cultura: “siamo
soprattutto i custodi delle storie e della storia”
, chiosa. Così il programma si apre (“Bienvenue”) e si chiude (“Kibaro”) con il recitativo di Abdoulaye Sidibé, figura di spicco della cultura mandinka, che, da maestro di cerimonia, illustra l’opera accompagnato dal suono della kora. Un coro apre “Home Sweet Home”, squisita chanson di fattura acustica su cui si innestano le voci dei rapper senegalesi Daara J Family; il brano alterna un testo cantato in un mix di wolof, mandinka, inglese e francese, commento dell’esperienza diasporica. Il ritmo si fa più incisivo nelle tracce successive: “Ni Mala Beugué” è animata dal groove mbalax, la più morbida “Chaque Jour”, in cui entra la vocalist maliana Bah Kouyaté, ha un respiro afro-pop. La tracklist prosegue con “Reflections”, episodio intimista centrato sullo spoken word della poetessa e performer britannica Zena Edwards, la quale interpreta il suo scritto interrogandosi proprio sul senso di appartenenza (“Sempre in transito, in movimento, verso una patria”), con la voce che intreccia la costruzione melodica della kora e l’effetto sonoro di un treno in movimento. Keita mette in mostra anche la sua vocalità limpida in “Bodoula”, dal caldo incedere pop, e in “Bé Té Sona”, irresistibile brano di stampo mbalax. Lo spoken word ritorna in “Deportation Blues”, un altro affondo incisivo, eseguito con profonda emotività dall’autrice, la poetessa britannica Hannah Lowe, il cui sguardo critico analizza il processo di disumanizzazione alla base delle azioni di deportazione. Un’analisi che è anche
riflesso dello scandalo Windrush e delle sue conseguenze, come la detenzione ingiusta, la negazione dei diritti legali, le minacce e, in alcuni casi, la vera deportazione di cittadini del Commonwealth di lungo termine. Il pianoforte di Moussa Ngom fa da controparte alla kora, alla chitarra di Moustapha Gaye e alla voce nella splendida “Nay Rafet”, segnata pure da un contagioso elemento percussivo. Invece, elettronica e kora impongono il loro passo leggiadro nella canzone d’amore “Yérébé Yérébé”. Deliziosa e gioiosa nel suo sviluppo è l’undicesima traccia, “Wakili”, dal suadente coro nel finale. Il parlato di “Kibaro” chiude questo album emozionante, riportandoci in Senegal: la voce di Sidibé dispensa saggezza, tra accordi di kora pizzicata nello stile antico dei griot e il fascinoso suono del mare. Il viaggio continua: attendiamo la seconda parte.  


Ciro De Rosa

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