È un tratto peculiare dell’Oriente l’estetica della natura che, da sempre, si riflette nella vita di tutti i giorni così come nelle varie declinazioni artistiche: la poesia e la letteratura, la pittura, l’architettura, il cinema, la danza e naturalmente la musica. In seguito alle attuali problematiche ambientali ed emergenze climatiche, in gran parte dovute ad elementi produttivi e bellici, la risposta è oggi quella di superare sempre di più l’antropocentrismo e il puro dato estetico del naturale, investendo su nuovi paradigmi come quello ecologico ed etico. Se in Oriente la sensibilità verso la geosfera e biosfera è presente da millenni, in Occidente ha trovato le basi negli anni Sessanta-Settanta, specialmente dopo la proposta marcusiana di una ‘ecologia rivoluzionaria’, fino ad arrivare a parlare oggi di “ecosofia sonora” ed “ecomusicologia”, in cui la dimensione estetica ed ecologica si incontrano proprio sul suono. Si aggiunge anche la dimensione etica grazie al compositore Albert Mayr per il quale un suono, se ben ascoltato, può anche cambiare la vita di una persona.
Su queste premesse presentiamo una nuova proposta discografica di Park Jiha che arriva dalla Corea e che già nel titolo “All Living Things”, promette una visione sonora della nostra casa comune. A giudicare già dalla foto di copertina, si intuisce che la natura è vista (e sentita) soprattutto dalla parte degli esseri viventi non antropici e in cui l’uomo non è che un vivente tra i viventi e non l’essere supremo. In questo lavoro utilizza una sperimentazione che comprende suoni naturali ed elettronici insieme ad una serie di strumenti coreani: il piri, fiato ad ancia doppia, la cetra yanggeum e l’organo a bocca saenghwang, al flauto, al glockenspiel, alle campane, e alla sua voce, il tutto nella prospettiva del moderno sound design. Quest’ultima espressione ossimorica unisce vista e udito ma naturalmente, trattandosi di un’opera solo da ascoltare, l’attenzione è tutta focalizzata sul secondo senso, lasciando il terreno ad un “acustinario”, piuttosto che ad un immaginario, che nasce cioè all’ombra degli spazi vuoti lasciati dalla musica. Già la prima traccia, “First Buds”, ci conduce in un universo sonoro dove il sound, rappresentato dai suoni acustici, si misura con l’ultraterreno, evocato invece dai misteriosi elettronici. La traccia successiva, “Grounding”, continua questo incantesimo con un’atmosfera decisamente minimalista, una delle corde caratteristiche dell’artista. “Bloom” presenta una seducente melodia del saenghwang, enfatizzata dall’elettronica in un crescendo luminoso. “A Story of Little Birds”, programmaticamente evoca il mondo degli uccellini ancora nel nido, che con le loro tipiche biofonie si muovono timidamente su una spola armonica su cui sono incastrati delicati suoni acustici, naturali ed elettronici. “Growth Ring” si svolge su un interplay tra il saenghwang e il piri, impegnati verso una matura costruzione formale. “Blown Leaves” racconta la vita segreta delle foglie che in un paesaggio sonoro Hifi ci consegnano un suono straordinario anche nel momento che si staccano dal ramo e cadono per terra. “Breathe Again” si svolge su un marcato tempo binario che poi è quello del respiro, con i suoni lunghi che simbolizzano l’aria che circola dentro e fuori di noi. “Eternal Path” al contrario non presenta accenti ritmici ma una pulsazione continua che va verso l’eternità, è un brano molto toccante emotivamente, dal carattere barocco che sembra ricordare lo stile veneziano di un Marcello o di un Albinoni. L'ultima traccia del disco, "Water Moon" con il suo glockenspiel, strumento dal registro avuto e dal timbro cristallino dolcemente suonato, che rimanda direttamente all’ingenuità dell’infanzia alludendo ad un eterno ritorno e rimandandoci al riascolto dalla prima traccia.
Il lavoro è quasi un “concept”, ed è strutturato come un album di formazione dell’artista che comunica una sua idea del ciclo della vita, dalla nascita alla morte, per questo motivo ogni brano ci lascia desiderio di continuare l’ascolto fino alla fine ed a ricominciare. “È un ciclo che esprime la speranza e la bella incertezza che ho cercato di portare nella musica”, ella dice. Una meditazione, quindi, sul senso dell’essere al mondo ottenuta attraverso una sincresi intima e personale di generi musicali, restituiti con gratitudine, semplicità, positività, emozione, meraviglia per l’esistenza. In questo sta la carica dirompente e alternativa di questo album che ci invita ad una responsabilità e coscienza rispetto a ciò che di naturale c’è all’interno e all’esterno dell’uomo e della donna moderna e che rischia inesorabilmente di scomparire.
Francesco Stumpo
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