Catrin Finch/Seckou Keita – Soar (Bendigedig, 2018)

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Il falco pescatore è il simbolo scelto per il suo secondo album dalla coppia di arpisti, la gallese Catrin Finch (arpa da concerto), nativa di Llanon (1980) – una delle arpiste più in vista delle ultime generazioni con una carriera concertistica di arpista classica, una produzione discografica di grande rispetto, attività didattica e collaborazioni di ambito world – e Seckou Keita (kora), senegalese del Casamance, residente nel Regno Unito, imparentato, da parte di madre, con i Sissokho, una schiatta di prestigiosi strumentisti dell’arpa liuto dell’Africa occidentale. Keita vanta nutrite collaborazioni, tra cui la più recente è con il pianista cubano Omar Sosa, e ha all’attivo numerosi progetti e incisioni (qui ricordiamo il fantastico “22 strings”). La versatilità di Catrin e Seckou, due spiriti affini, era già stata dimostrata dal notevole “Clychau Dibon” (2013), album acclamato dalla critica nel Regno Unito e all’estero. A quel disco hanno fatto seguito diversi tour che hanno ancora di più affinato il sodalizio, ora di nuovo discograficamente attivo per questo lavoro ispirato alla migrazione del falco pescatore, il rapace marino, di recente nuovamente avvistato in Galles nel 2011 nella Dyfi Valley, a distanza di quattro secoli, quando la sua presenza era costante, ma era considerata infestante e quindi combattuta fino a portarlo di fatto all’estinzione nel territorio britannico. Maestoso, il falco pescatore si leva in volo (in inglese “soar” significa librarsi, levarsi in volo, per l’appunto) per compiere annualmente un viaggio di 3000 miglia dalle coste dell’Africa occidentale agli estuari della terra cimrica. 
Un viaggio che supera i confini messi in opera dall’uomo ma che diventa metafora della libertà di migrare, negata a molti esseri umani, delle plurisecolari relazioni tra UK e Africa occidentale, dovute alle relazioni economiche e alla nefasta tratta degli schiavi, che proprio al largo della costa del Senegal aveva una delle basi della rotta atlantica, e che forniva ai proprietari di origine gallese manodopera per le loro piantagioni delle Americhe. Di tanto in tanto, nei quarantaquattro minuti e cinquantaquattro secondi di “Soar” non è sempre agevole distinguere l’arpa dalla kora, considerati l’abilità dei due di incastrare i timbri dei loro cordofoni e l’eccellente lavoro fonico nella produzione di Jared Planas and Hywel Wigley. I brani sono tutti firmati da Finch e Keita, ad eccezione di estratti dalle “Variazioni Goldberg” bachiane, e un brano dal repertorio di Solo Cissokho, zio materno di Seckou. “Clarach” (dal nome del primo falco nato in Galles, che è ritornato nel Paese dopo aver trascorso l’inverno in Africa) è il magnifico tema d’apertura, caratterizzato dalle nitore delle note, dalle trame di rimando, dai crescendo e dal significativo passaggio minore maggiore. La successiva “Tèranga Bah” tradotta come “grande ospitalità”, unisce una parola wolof e una mandinka per mettere l’accento sulla ritualità dell’accoglienza senegalese, ed in tal senso invita alla reciprocità. Perfetta la combinazione tra le linee melodiche dell’arpa e le corde gravi della kora con Seckou che ci mette anche la sua voce. 
L’album continua con “Yama Ba”, in cui i due arrangiano la composizione del maestro Cissokho. Si giunge così a “Bach to Baïsso”, dove confluiscono due tradizioni classiche, quella bachiana e quella strumentale griot del Senegambia: un incontro sublime. Lo strumentale “1677”, dall’andamento vagamente blues, è un altro dei pezzi di forte suggestione, che ci porta con la memoria all’anno in cui i francesi impongono il loro dominio sull’isola di Gorée di fronte alla capitale senegalese Dakar, dove era situata la Maison des Esclaves (oggi un Museo), da cui sono passati generazioni di africani deportati oltremare nelle Americhe. La successiva “Listen to the Grass Grow”, scritta da Catrin, è una melodia delicata e sognante, costruita su pochi accordi. Diversamente, “Hinna-Djulo” (“corde dell’anima” in Mandinka) è un altro magnifico gioco di incastri di note. Di matrice popolare gallese, la conclusiva “Cofiwch Dryweryn” (“Ricorda Trywerin”) è ispirata alle tragiche vicende dell’inondazione della valle di Tryweryn nel 1965 per fornire acqua alla città inglese di Liverpool, che causò l’abbandono dei villaggi e delle fattorie locali. La rabbia nell’area di lingua gallese, seguita all’evento drammatico, condusse ad enormi proteste e finanche ad azioni di resistenza armata e di sabotaggio, nonché portò al crescere dei consensi per il movimento nazionalista gallese. Dalla morbida frase melodica di arpa sostenuta dalla kora nella parte iniziale si passa alla seconda sequenza in cui gli strumenti si incastrano e due artisti cantano nelle rispettive lingue restituendo una sorta di lamento per la perdita. ”Soar” è un signor disco, prodotto da due maestri strumentisti, due compositori ispirati, che produce grandi emozioni. Le note del booklet (32 pagine a colori), affidate alla penna del giornalista e scrittore Andy Morgan, raccontano la storia dalla prospettiva di “Clarach”, il falco pescatore nato in Galles, libero viaggiatore lungo la rotta atlantica. 


Ciro De Rosa 

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