Derya Türkan e Sokratis Sinopoulos, virtuosi del kemençe i-rûmî, la viella tricorde piriforme affine alla lira pontica, ci regalano l’emozione di un secondo dispaccio sonoro dalla Turchia, da sempre multiculturale, nel nome di due storici compositori e, a loro volta, maestri del kemençe, il turco Tanburi Cemil Bey e il greco Kemençeci Vasilaki, mediatori tra mondi musicali, attivi nel crinale della nascita dell’industria musicale e dello sviluppo delle nuove tecniche di registrazione.
Il kemençe i-rûmî era stato introdotto nella capitale ottomana proprio dai musicisti di origine greca, che avevano successo con i loro repertori ‘leggeri’, musicali e coreutici, nei principali centri urbani dell’Impero. Era la musica che si ascoltava dei caffè, nei locali notturni, nei ‘meyhâne’ (significa luogo dove si mesce il vino), più simili a un jazz club, a un ambiente di musicofili, che a un ritrovo per avvinazzati.
Sono passati un diciassette anni dalla pubblicazione del volume I (2001), Derya Türkan e Sokratis Sinopoulos ci ripagano con un album dal forte calore espressivo, costruito intorno al repertorio condiviso da musicisti turchi ed greci (c’è una dedica ai musicisti dell’isola di Creta, di Mitilini e di Chios, con cui Tanburi Cemil Bey era solito suonare nelle taverne di Langa). Classe 1973, cresciuto in una famiglia musicale, studi di Conservatorio alle spalle, Türkan è un acclamato concertista, oggi uno degli esponenti più brillanti della viella, che nel disco è chiamata lyra di Istanbul: qui lo ricordiamo anche per le sue collaborazioni con Kudsi Erguner. Di un anno più giovane, ma altrettanto celebrato nel suo Paese, è l’ateniese Sokratis Sinopoulos, a suo agio tanto con la musica antica di matrice bizantina quanto con l’ambiente jazz (ha pubblicato “Eight Winds”, con l’ECM, qualche anno fa), con il mondo popolare della musica demotika e con quello del rebetiko. Sinopoulos compone per il teatro e la danza e ha fatto parte del gruppo Lavyrinthos dell’inglese-cretese Ross Daly; ama collocarsi nella non categoria chiamata in inglese “genre-less” (letteralmente non-genere, ndr), visto che predilige un sound nel quale confluiscono influenze folk, classiche, jazz e di musica improvvisata.
In “Lettera da Istanbul” la coppia mette la propria impronta compositiva ed esecutiva, presentando dieci motivi strumentali, imperniati su temi popolari e preludi (taksim), parti scritte e improvvisative che attingono dalle fonti egeo-anatoliche, si sviluppano su differenti cicli ritmici con le due vielle che dialogano, si raddoppiano, si rincorrono, si scambiano di ruolo, si producono in sequenze solistiche. Al duo si aggiunge un ensemble di musicisti, in cui spicca l’ottimo Giorgios Manolakis al laouto cretese, con Serkan Mesut Halili al kanun, Pavlos Spyropoulos al contrabbasso, Fahrettin Yarkin e Ferruh Yarkin alle percussioni. Tra i temi, date un ascolto in particolare a “Gia Des Pervoli Omorfo”, “Izmir Aptalikos”, “Nihavend Beraber Taksim”, “Hicazkar Zybek”
Sensibilità di scrittura, virtuosismo e fabulazione sonora sono le cifre di questo lavoro, che troverà orecchie attente in chi si rivolge verso le musiche della parte orientale del Mediterraneo, un tempo mare d’incontro, non di odierna disumanità.
Purtroppo, la prolifica etichetta turca Kalan non ha distribuzione in Italia. Cercatelo su www.kalan.com e, naturalmente, sulle piattaforme digitali.
Ciro De Rosa
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