

È qualcosa che ho sempre avuto dentro, sono una persona tendenzialmente introversa e il ritmo è il linguaggio attraverso il quale riesco ad esprimere al meglio le emozioni, a trasformare le energie che ho dentro, a sublimarle in qualcosa di positivo e creativo. Attraverso il ritmo ho imparato a conoscere le possibilità del mio corpo e come utilizzarle; l’atto di suonare con gli altri, in quanto linguaggio corporeo e non verbale, mi permette di accedere all’essenza della persona che ho di fronte e con cui condivido l’atto di suonare e contemporaneamente di mostrarmi per quello che sono, senza filtri. Lo stesso può accadere quando suoni in pubblico, in quel momento si è “nudi”, il pubblico può sentire molto chiaramente se sei arrogante o sbruffone o appassionato o distratto, la musica mi ha insegnato ad essere reale e presente.
Ci puoi raccontare il tuo percorso di formazione?
Sono cresciuto circondato dall’arte, mio padre è un artista: pittore, scultore, restauratore, fin da piccolo sono stato esposto a colori e materia come legno e pietra, lui mentre crea è sempre immerso nella musica, classica prevalentemente. All’età di 18 anni ho cominciato a studiare le percussioni afro cubane, ma sentivo che non era quella la mia strada, poi un giorno mi capitò per le mani un cd di un percussionista americano di nome Glen Velez, e sentii per la prima volta il suono dei tamburi a cornice, fu una folgorazione! Da quel giorno mi misi alla ricerca di quei suoni che qualcosa dentro riconobbe come parte di me, mi innamorai soprattutto di quelli che considero come l’estensione della mia anima: il tamburello e il grande tamburo a cornice senza sonagli. In seguito ebbi la fortuna di incontrare, scambiare ed apprendere da molti straordinari maestri. Nel corso degli anni ho cercato di creare una sintesi di tutto quello che avevo appreso dai miei incontri con maestri di musica tradizionale Italiana, rinascimentale, barocca, persiana, indiana, turca, azera, sviluppando la mia tecnica e il mio set che è per l’appunto una summa di tutti questi elementi.
Molto dure agli inizi della mia carriera. Quando venivo chiamato in un nuovo progetto mi presentavo con la mia brava borsa con dentro i tamburelli e tamburi a cornice, e sistematicamente mi sentivo dire “bello eh, ma non avresti delle congas, o magari il cajon”? oppure “ma suoni la cassa con il tamburello”?... Così ad un certo punto ebbi l’occasione di iniziare delle collaborazioni fuori dall’Italia, provai, sempre con la mia borsa al seguito e... miracolo! Da li ho iniziato una sorta di carriera di “emigrante in patria”, che vuol dire che vivo in Italia (e ci mancherebbe) ma oramai da molti, troppi anni, lavoro quasi esclusivamente all’estero. Ho la fortuna di lavorare trasversalmente in molti generi musicali, con artisti straordinari della world music come Wu Man dalla Cina, Sirojiddin Juraev dal Tajikistan, Homayun Sakhi dall’Afghanistan, Dónal Lunny dall’Irlanda. Oppure in ambito classica/antica come l’Ensemble Les Hault et Les Bas dalla Germania. Non ultimo ho avuto l’onore di collaborare in progetti con alcuni miei idoli del jazz come Paul McCandless, Gianluigi Trovesi, Bobby McFerrin, giusto per citarne alcuni... e tutto questo con i miei amati tamburi a cornice, senza dover accettare compromessi e anzi essendo valorizzato proprio per il mio essere Italiano e tamburellista, cosa che sento e vivo con orgoglio e passione.

Quanto è importante per te l’attività didattica?
Enormemente importante, è qualcosa che faccio con passione e dedizione. Le possibilità di crescita e di espressione sono innumerevoli e ogni persona che hai di fronte deve essere accompagnata nel trovare le proprie nel rispetto dei suoi tempi, questo per me è il compito dell’insegnante, è un onore e un onere e bisogna saperli accogliere entrambi. L’obiettivo della pratica per me va oltre il mero sviluppare una determinata capacità tecnica come la velocità o il fraseggio, bensì il realizzare un proprio spazio creativo in cui essere te stesso e sviluppare la tua propria unicità attraverso una pratica costante e gioiosa.
Ci puoi parlare del tuo metodo di insegnamento dei tamburi a cornice?
Ho sviluppato nel corso degli anni una mia tecnica e metodologia didattica che unisce diversi elementi fra cui la tecnica di solfeggio indiano e la pratica delle arti marziali come l’Aikido e il Tai Chi, con l’obiettivo di lavorare per unificare la mente ed il corpo abbattendo tutte le tensioni fisiche e psichiche insite nella pratica di questi difficili strumenti a percussione.

Come nasce il progetto The Masters of Frame Drums?
Dall’amicizia e dalla comune, bruciante passione per i frame drums. Sono strumenti che stanno godendo di una enorme popolarità negli ultimi anni, ma in genere noi che li suoniamo già da un po’ ci conosciamo più o meno tutti, dato che giriamo per gli stessi festival e raduni presenti oggi un po’ ovunque. Personalmente amo confrontarmi con persone che condividono la mia stessa passione, e la curiosità e la gioia di vedere cosa combina l’altro con uno strumento simile o uguale al tuo prevale sempre sull’aspetto più banale della competizione, posso dire che la maggior parte dei miei amici è gente che suona i miei stessi strumenti.

Ci puoi raccontare com’è nato il disco?
Il disco è nato contestualmente al nostro primo tour in Europa nel 2017, che ha visto proprio la sua genesi in Italia. Abbiamo fatto una residenza di una settimana a Cosenza in cui abbiamo arrangiato le composizioni che ognuno di noi ha portato e abbiamo avuto il nostro debutto al Teatro dell’Acquario di questa splendida città. Ci tengo a ringraziare ancora l’associazione che si occupa del teatro per averci fortemente voluto, spero di tornare da voi per il secondo disco! Al termine del tour, quindi dopo aver ampiamente suonato e testato i brani dal vivo, siamo entrati in studio a Freiburg in Germania e in due giorni è nato il disco.
Come avete scelto i brani da incidere?
Ognuno di noi ha portato due sue composizioni originali, ripartite fra brani per quartetto e duetti, oltre ovviamente ad un momento di solo per ciascuno.

Come si è indirizzato il vostro lavoro in fase di arrangiamento?
L’idea alla base del progetto è quella di valorizzare non solo l’aspetto ritmico di questi strumenti, ma enfatizzarne quello melodico. Ci sono momenti molto diversi nel disco che rispecchiano le nostre rispettive visioni della musica, Il brano “Penace Creek” di Glen ad esempio ha al suo interno degli elementi tipici della musica minimalista e dei lavori di Steve Reich (con cui Glen ha lungamente collaborato), la composizione di Zohar “Paam Maam” è ispirata ai nove mesi di gestazione del bambino nel grembo materno, un brano in 9 in cui il beat è mutevole e cangiante come il movimento del feto all’interno del fluido in cui è immerso. Il pezzo “Reflections” di Murat è un dialogo melodico e intenso su un lento beat in 7 generato da tamburi intonati che suonano linee di basso, handpan, kalimba e overtone singing. Oppure il mio brano “Mandala”, ispirato ai dipinti di sabbia colorata in forma concentrica tipici della tradizione buddista tibetana e hindu.
Quali sono state le difficoltà che avete incontrato nell’arrangiare i brani?

Ascoltando il disco, ciò che colpisce è la vostra capacità non solo di sviluppare trame ritmiche originali ma anche una particolare cura per l’aspetto melodico. Come avete lavorato in questo senso?
Attraverso la condivisione del medesimo linguaggio, il linguaggio ritmico-melodico che utilizziamo ci aiuta a tessere le melodie del ritmo e condividerle reciprocamente, melodie alle quali poi ognuno porta il suo contributo. Il breve la nostra lingua comune nasce come una sorta di fusione fra il linguaggio onomatopeico dei tamburi che suoniamo (Dum, Pa, Ta, Ka) unito a elementi e concetti ritmici avanzati di musica indiana al quale poi ognuno di noi ha apportato le sue modifiche e personalizzazioni, ma nella sostanza rimane la stessa
Ci puoi raccontare come sono i concerti del progetto Masters Of Frame Drums?
Dal mio punto di vista ci sono momenti in cui ci sentiamo come quattro bambini al parco giochi alternati a momenti di grande lirismo, di profonda meditazione e di impennate ritmiche furiose, ma io sono sul palco, dovremmo chiederlo a qualcuno che ci guarda da fuori...A tal proposito se avete voglia di vedere dove suoneremo, dare un’occhiata a qualche video del gruppo, ascoltare in anteprima i brani, acquistare il disco o semplicemente dare uno sguardo a chi siamo e cosa facciamo potete farlo visitando il nostro sito web http://www.mastersofframedrums.com
Murat Coşkun, Zohar Fresco, Glen Velez, Andrea Piccioni – Masters Of Frame Drums (Pianissimo Music CmbH, 2018)

Salvatore Esposito
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