
L’anno scorso, Salvatore Esposito aveva intervistato Michele Gazich a proposito del suo ultimo album dal vivo, “Il Vittoriale brucia” e in quell'occasione aveva sintetizzato così il nuovo album a cui stava lavorando con Giovanna Famulari (voce, violoncello, melodica): “recuperiamo la nostra eredità classica e la facciamo dialogare con la canzone. I maestri del classicismo e del primo romanticismo viennese (Haydn, Mozart, Beethoven, ma anche Schubert) dialogano con la canzone d'autore”. Era stata anche l’occasione per sottolineare come “i miracoli” sia l’opera che più lo rappresenta a livello musicale e testuale. Alcuni fili tessono una trama comune lungo i dodici brani. Innanzitutto, la sobrietà: la maggior parte dei brani è aperta da un solo strumento, o voce, o suono (due piattini, una campana tibetana). L’album si snoda soprattutto come un dialogo a due voci, a volte in sequenza, altre armonizzate, altre ancora con una ad accompagnare l’altra. Un secondo filo della trama sono i contrasti, veicolati dai testi, dagli arrangiamenti musicali, a mettere in tensione crisi e speranza, buio e luce. Ad approfondire la precedente dimensione ci sono accurate scelte a livello simbolico e di rimandi letterari: il vento non è solo vento. Un quarto tema è quello della “cantabilità”. Sono le voci delle corde o delle tastiere a “cantare” le melodie, mentre, quando si ascoltano i testi, la voce umana resta vicino al registro parlato, con recitativi vigorosi e ben scanditi, per voce singola, a voci alternate o fuse insieme. L’eccezione, proprio in fondo all’album, è il coro chiamato a cantare e ripetere il verso che dà il titolo all’album. Il coro chiude un cerchio e rende palpabile la dimensione teatrale dell’intero lavoro: da un lato c’è la parsimonia con cui Michele Gazich attinge dal contesto mitteleuropeo (il classicismo viennese unitamente a Goethe e Hölderlin), l’emozione che sono in grado di trasmettere archi e tastiere, la capacità di intersecare le ecologie acustiche che trascendono il presente, il movimento delle onde che genera l’andamento musicale de “la resa” insieme all’adattamento dell'andante del Concerto per pianoforte e orchestra k488 di Mozart che la incornicia; dall’altro c’è l’essenzialità, intrecciata al carico affettivo, dei versi recitati che vanno a posizionarsi nel contesto musicale come “corpi”, prima ancora che come gesti, come timbro, prima che come linee melodiche, quasi a suggerire l’ancora metrica in grado di definire l’incedere complessivo del tempo. Se questa è anche la vostra sensazione, provate allora a ri-prendere in mano il libretto (24 pagine + un qr code che promette contenuti aggiuntivi) con puntuali eserghi e dettagliate informazioni sul percorso da cui nasce ciascun brano; date uno sguardo, in calce, ad ognuna delle tracce, ai luoghi e ai tempi in cui ogni testo ed ogni musica è stata composta: per ognuna si tratta di un puzzle e di un significativo arco di tempo che racconta lo sforzo e la maturazione affettiva che ha permesso, di volta in volta, queste dodici, sofferte, felici sintesi; nel caso di “giovanna”, la scrittura è cominciata nel 2008 ed è terminata ad aprile 2024. Due le eccezioni: la prima è “oceano”, unica “cover”, concreto termine di paragone per percepire la portata degli arrangiamenti scelti rispetto a modi più canonici (e generalmente chitarristici) di cucire un vestito alla forma canzone. Così, mentre gli altri brani innescano il desiderio di ri-ascoltarli prima di provare a coglierne appieno la cifra artistica, qui il senso di compiutezza balza subito all’orecchio: il felice amalgama fra violini e piano, il registro recitativo della voce che evidenzia le domande (“quanto è grande il verde / come è bello il mare / quanto dura una stanza”) con cui Fabrizio De André e Francesco De Gregori rispondevano alla domanda posta dal ragazzino Cristiano De André al cantautore romano sul perché “Alice” guardi i gatti. La seconda eccezione è “materiali sonori per una descrizione dell’anima di paolo f.”, il brano strumentale realizzato uscendo dallo studio di registrazione Macwave di Paolo Costola a Brescia in modo da catturare le linee melodiche all’interno del battistero romanico-bizantino a Concordia Sagittaria per dedicarle a Paolo Finzi: splendida e riuscita ricerca di un suono limpido, capace di mettere l’ascoltatore in vibrazione con l’anima dell’editore di A-Rivista Anarchica, a cinque anni dalla sua scelta di lasciare questo mondo. E c’è un’altra dedica: l’ultima riga del libretto che accompagna l’album ricorda Pino Calautti, ispirato e tenace animatore dell’associazione Aspettando Godot e delle rassegne “d'Autore e d'Amore” (Bordighera) e “Storica e Nuova Canzone d'Autore” (Ferrara). È grazie a Pino Calautti che Michele Gazich e Giovanna Famulari si sono incontrati nel 2016 a Ferrara dove suonavano rispettivamente con Marco Lamberti e Mario Castelnuovo.
Alessio Surian
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