Cultural rights: how to put them into practice?, Fondazione Calouste Gulbenkian, Lisbona, 7 febbraio 2025

La giornata di venerdì 7 febbraio è stata dedicata dalla Fondazione Calouste Gulbenkian a Lisbona al nutrito programma “PARTIS & Art for Change 2025” che ha ospitato nella sede della fondazione due eventi. Il primo è stato intitolato “Cosa c'è nella tua valigia?”: una installazione visiva e sonora curata da Q-Circo 8col sostegno della Companhia Erva Daninha) e composta da 12 valige, frutto di un progetto che ha coinvolto una quarantina di giovani del Centro Educativo Santo António (Porto) e del Centro di Riabilitazione Areosa (Gondomar) in laboratori di creazione artistica e di sviluppo di competenze personali e sociali. A integrazione dell'installazione, un video documentario racconta come i laboratori di arti circensi e i progetti artistici sono stati realizzati dai due gruppi. La seconda iniziativa riguardava il convegno “Cultural rights: how to put them into practice?”, organizzato nel solco della nomina, nel 2009, del relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti culturali. L'obiettivo era quello di dare maggiore visibilità ai diritti culturali nel contesto dei diritti umani. A quindici anni da quella data, la domanda centrale del convegno è stata: come stiamo difendendo la cultura come diritto essenziale? Il convegno ha quindi condiviso esperienze e riflessioni sulle pratiche che riguardano i diritti culturali e sulle intersezioni tra arte, partecipazione e identità. Intervistata da Catarina Vaz Pinto, ha aperto le danze Jazmín Beirak, Direttrice Generale per i Diritti Culturali del Ministero della Cultura spagnolo, che ha evidenziato alcuni riferimenti politico-culturali e i diversi approcci a livello governativo in questo ambito. Per Beirak “il modello di
istituzionalizzazione (per esempio quello francese) garantisce le risorse sacrificando l'indipendenza, mentre il modello liberale (per esempio quello britannico) garantisce l'indipendenza sacrificando le risorse. La questione sembrerebbe essere quella di scegliere tra sostegno e autonomia, tra sicurezza e libertà, ma questo dilemma è una trappola perché per produrre cultura e fruire della cultura servono risorse e autonomia, o meglio, servono risorse che favoriscano l'indipendenza. Invece di contrapporre l’intervento pubblico all'autonomia degli artisti, va messo l’intervento pubblico al servizio di quest'ultima, evitando la contrapposizione Stato-mercato, cioè di ridurre le opzioni alla scelta tra privatizzazione o istituzionalizzazione della cultura. Di fronte a un modello fortemente dipendente dalle amministrazioni pubbliche, è preferibile puntare su un approccio che promuova la creazione autonoma e la sostenibilità economica senza ipoteche o eccessive dipendenze dalle istituzioni pubbliche. Di fronte al ritiro delle istituzioni pubbliche e al mettere tutto nelle mani di un presunto libero mercato, va difesa la cultura come un diritto che deve essere tutelato pubblicamente”. In cosa si dovrebbe tradurre questa prospettiva dal punto di vista delle istituzioni pubbliche? “La politica culturale può essere fatta solo tenendo presente che la cultura va sempre al di là, supera e va oltre le istituzioni; la missione che le politiche culturali dovrebbero considerare non è altro che quella di facilitare e intensificare questa permanente forza centrifuga. Favorire l'autonomia della cultura non significa riaffermare lo status autonomo della cultura come ambito separato da altri campi, ma evidenziarne il carattere vivo, trasversale, mutante e indeterminato. 

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