Christine Zayed – Kama Kuntu (T-rec/Modulor, 2024)

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Cresciuta tra Gerusalemme e Ramallah, Christine Zayed è compositrice, cantante, e virtuosa del qanûn, introdotta dalla famiglia fin dall’infanzia sia alla musica araba classica e contemporanea, sia alla musica tradizionale palestinese. Nel suo repertorio si fondono la pratica dell'improvvisazione modale araba del maqam e la poesia araba, in particolare quella palestinese contemporanea. Da una decina d’anni vive in Francia dove collabora, fra gli altri, con l'Ensemble Chakâm e con il gruppo Atine (Accords Croisés). Nel 2023 ha composto la colonna sonora del film “Un jeudi pour Darwin” di Mathieu Baillargeon. Con gli otto brani di “Kama Kuntu” (Quello che ero) Christine Zayed esplora in modo intimo le proprie radici, storia personale e temi universali. È anche il brano che Zayed esegue con il solo qanûn, traendo ispirazione da un'opera dello scrittore siriano Mohammed Al-Maghout, punto di partenza per un viaggio musicale di osservazione e riflessione sul proprio mondo e sugli elementi di connessione con gli altri, collegando il passato in Palestina con il presente in Francia. I brani selezionati per l’album sono stati protagonisti nel passato recente dei concerti in solo o in trio con il percussionista Habib Meftah e il flautista Sylvain Barou. Proprio quest’ultimo è protagonista con il suo flauto bansuri del brano “Avant que je ne photographie les oiseaux”.Una seconda collaborazione riguarda, sia “Safartu”, sia il brano più elettrico, “Animal”: “l’ho composto come brano strumentale, era una melodia di cui non riuscivo a liberarmi. L'ho inviata al mio caro amico, il meraviglioso Piers Faccini, e ciò che ne è scaturito è stato qualcosa di inaspettato: ha messo in parole una storia delicata e profonda, in inglese. Io l'ho poi adattata in arabo con l'aiuto di amici, lasciando che la musica parlasse attraverso le nostre lingue comuni per ricordarci che possiamo scegliere di continuare
a provare, anche quando la paura ci frena. Restiamo uniti di fronte alla marea. In un mondo pieno di difficoltà, questa canzone ci ricorda l'amore che ci circonda, la speranza che ci fa andare avanti e le amicizie che ci sollevano”
. Per “Safartu” (Separazione, in arabo) ha tratto ispirazione dal testo scritto da Hussein Al-Barghouti (1954-2002), poeta, drammaturgo, filosofo e cofondatore della Palestinian House of Poetry di Ramallah. Non è lontana da Ramallah la guerra nella regione; per decine di migliaia di persone la morte violenta, prima con il terrore di Hamas e poi nella grandinata di bombe su Gaza, ha portato alla separazione per sempre. “Hai deciso di andartene al chiaro di luna. Lasciando il mio cuore sulle scale, come uno spillo d'argento... Hai lasciato il mio cuore appeso come un fazzoletto volante sopra gli alberi. Speravo che mi avessi messo in tasca”. L'album si chiude con “Jeudi 16 h 53”, un brano strumentale profondamente personale che parte dalla nascita di Zayed per poi accompagnare col qanûn, la sua “scatola magica”, il suo percorso artistico e affettivo. Lungo la trama generale dell’album spicca la capacità nel tessere il dialogo fra strumenti a corde acustici – tar (Sogol Mirzaei), viola da gamba (Marie-Suzanne de Loye), essenziale e toccante la loro punteggiatura che dialoga con la voce di Zayed in “Romman”, baglama (Basel Zayed), kanun, pianoforte, guimbri (Piers Faccini), – con la fisarmonica di Marko Djordjovic (in evidenza in “Gharimi”) e l’organetto meccanico di Alexis Paul e con il basso e la chitarra elettrici di Faccini; puntuali e sensibili, quando vengono chiamate in causa, le percussioni di Yousef Zayed e le tabla di Prabhu Edouard. Impeccabile anche la presa del suono e il missaggio realizzati da Jean-Charles Versari nei Versari Studios a Parigi oltre un anno fa. Completa l’opera l’intenso ritratto e la grafica della copertina curati da Randa Mdah. 


Alessio Surian

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