Carmen Souza – Port’Inglês (Galileo Music, 2024)

Conquista immediatamente con il suo passo leggero e contagia per l’apertura, il sorriso, l’ariosità e la vivacità “Port’Inglês”, l’ultimo lavoro della lisboeta di radici capoverdiane Carmen Souza in cui viene proposto il racconto della storia non detta delle isole dell’arcipelago in mezzo all’oceano di fronte alle coste africane, storicamente base per il commercio di schiavi, in cui si è creato quel connubio unico, ibrido di culture europea, brasiliana e africana. Nei testi dell’undicesimo album la cantautrice esplora in modo personale la presenza britannica a Capo Verde, ispirandosi agli studi da lei condotti per un master nel Regno Unito, dove ha vissuto per sedici anni, e in questo viaggio rinnova le sue origini. Colpiscono immediatamente le doti vocali eclettiche della Souza, la sua straordinaria capacità di padroneggiare la tecnica attraverso interpretazioni diversificate che si muovono tra improvvisazione, melodia e suoni della natura senza venir meno a sensualità e spontaneità anche grazie ad un caratteristico timbro roco e a un’estensione molto ampia. In otto tracce viene sviluppata una combinazione unica e originale di temi capoverdiani e jazz, significativo scambio culturale tra identità diverse. Theo Pas’cal, importante bassista portoghese, produttore e guida della Souza, ha scoperto il talento della cantante introducendola al jazz e ad altre sonorità contemporanee che hanno influenzato notevolmente il suo sviluppo musicale. I due hanno iniziato la loro felice collaborazione nel 2003, quando Carmen ha cominciato a lavorare sulle composizioni che sarebbero state incluse nel suo album di debutto “Ess ê nha Cabo Verde”, uscito nel 2005. “Blogfoolk” ha scritto di alcuni dei suoi successivi album: “Creology” del 2017 e “The silver messengers” del 2019. Nei brani di “Port’Inglês”, si realizza una potente sinergia tra la voce e gli strumenti: pianoforte, contrabbasso, tromba, batteria e percussioni che giocano sull’improvvisazione e il ritmo. In particolare i ritmi tradizionali come funana, contradança, morna o mazurka la fanno da padroni, su testi cantati in creolo, in portoghese e anche in inglese. Un gruppo di eccellenti musicisti di origine lusofona e britannica ha contribuito a questo notevole lavoro: oltre a Theo Pas’cal al contrabbasso e basso elettrico, tastiere e percussioni, al pianoforte Deschanel Gordon (UK), Diogo Santos (Portogallo) e João Oliveira (Angola), alla batteria Elias Kacomanolis (Mozambico) e Zoe Pascal (UK, PT), alla tromba Mark Kavuma (UK) e Gareth Lockrane al flauto (UK) mentre Carmen Souza suona anche il piano e la chitarra. Otto notevoli brani da ascoltare e riascoltare per apprezzarne la ricchezza armonica e le variegate sfumature. Si inizia con “St. Jago”, vivace mazurka di Capo Verde, sui viaggi per visitare le isole dello scienziato Charles Darwin con un testo ispirato alla descrizione di Santiago fatta dal biologo britannico. La voce di Souza si libra su un piano che svolazza nel jazz, ritmicamente supportata dalla batteria. “Pamadi” è ispirato tanto a un veloce funana quanto al bebop e trae ispirazione dal primo Miles Davis. La tromba conduce l’ascoltatore in una piacevole bolla, mentre la voce spazia tra le sonorità al pari di uno strumento musicale, su un tappeto sonoro costituito da piano e batteria. La carezzevole “Cais d’Port’Inglês” è una morna che illustra i diversi moli delle isole capoverdiane frequentati dalla presenza britannica, dove il mare ha portato influenze culturali diverse ed ha anche condotto la conoscenza di Capo Verde in tutto il mondo. “Ariope!” (Hurry up!) esplora il modo in cui il linguaggio capoverdiano ha inglobato termini britannici ed è caratterizzato da un marcato ritmo scandito dalla batteria. “Francis drum” racconta la contraddittoria prospettiva riguardante Francis Drake considerato un eroe nel Regno Unito, ma visto con terrore a Capo Verde. La melodia, ispirata al folk britannico, vede la voce suadente di Carmen volteggiare accanto a un flauto traverso. Mentre il quinto, solare brano “Amizadi”, si ispira a un funana in cui si ascoltano anche vivaci fischietti e rumori, il successivo “Badju Mandadu”, si rifà a una contradanza inglese in cui vengono nominati i diversi passi di danza che contribuiscono a creare aggregazione tra le persone. Si apprezza un’atmosfera distesa creata dal piano, contrabbasso sensuale e voce. Per concludere “Moringue”, introdotta dalle note di un carillon – per i quali la Souza bambina aveva una passione –, è quasi una ninnananna ispirata a un ricordo d’infanzia, un aneddoto raccontato dal padre su un uomo che vendeva vasellame nel porto di Mindelo. A Capo Verde esistono anche dei grandi contenitori per conservare l’acqua fresca, chiamati Moringue. Un giorno alcuni marinai britannici arrivarono nel porto e, educatamente, salutarono l’uomo dicendo: Good morning! L’uomo rispose ai marinai che si trattava di vasi non di moringue. Su questi equivoci linguistici la Souza ha costruito il brano con spirito scherzoso richiamato dal suono del carillon e interpretandolo con una voce espressiva accompagnata dolcemente dalla chitarra. Album ricco di feeling, di piacevolissimo, distensivo ascolto nel quale si libra e traina, con piglio giocoso ma anche toccante, la carezzevole voce ricca di variegati colori di Carmen Souza, accompagnata da una band di tutto rispetto a cavallo tra le tradizioni ritmiche capoverdiane e le più rilassate atmosfere jazz che rinforza questa interconnessione culturale tra mondi che all’artista stanno a cuore. 


Carla Visca

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