“Tutto questo vuole raccontato. Giovanna Marini dal vivo”, recentemente dato alle stampe da Nota, restituisce ai cultori del lavoro musicale dell’artista romana da poco scomparsa un capitolo inedito e di notevole interesse.
Si tratta di un concerto in splendida solitudine eseguito a Lecce nel 1981 e registrato direttamente dal mixer dell’impianto di amplificazione da un locale collezionista e appassionato di musica, Francesco Fortunato, che nel 1988 ne fece dono all’allora giovanissimo cantautore Alessio Lega.
Dopo varie vicissitudini, il nastro negli ultimi anni è in qualche modo riemerso dai cassetti ed è stato fatto ascoltare alla stessa Marini – anche grazie alla collaborazione di Susanna Cerboni – decidendo insieme all’editore Valter Colle di farne un cd, uscito postumo con un denso, puntuale, commosso e appassionato saggio introduttivo di Lega, che storicizza i repertori eseguiti nell’ambito della ricca produzione dell’artista.
Diciamolo subito: si tratta di un documento sonoro bellissimo e per diverse ragioni di grande significato. Lungo le sue tracce si dispiega, in una felice e personalissima sintesi in musica e narrazioni, la storia dell’Italia degli anni ’60 e ’70, delle lotte sociali che l’hanno attraversata e del movimento del folk revival che quelle battaglie ha voluto affiancare e raccontare, di cui la musicista romana è stata una delle protagoniste assolute.
Poi ci sono le “canzoni popolari” riportate alla luce attraverso ricerche eterodosse rispetto ai canoni accademici, ed eseguite in riproposte personali e per pubblico “urbano”, oltre alle composizioni originali, spesso a questi canti ispirate, e a molti brani celebri del “canzoniere di protesta” di quegli anni vorticosi.
C’è insomma il meglio del suo repertorio – una “antologia naturale freschissima”, per citare Alessio Lega -, dove dei pezzi più celebri non manca quasi nulla: il “Lamento per la morte di Pasolini”, “I treni per Reggio Calabria”, “O Gorizia tu sei maledetta”, “O cara Moglie” (all’interno di un commovente omaggio a Ivan Della Mea), “Contessa”, “Addio Lugano Bella”. Spicca inoltre un prezioso inedito, la versione integrale della “Ballata per Giuseppe Pinelli”, dove con poche incisive pennellate narrative – di cui fanno parte versi molto duri e che oggi giudicheremmo “politicamente scorretti” – viene raccontata la tragica morte dell’anarchico milanese, ingiustamente accusato della strage di Piazza Fontana, caduto da una finestra della Questura di Milano durante un interrogatorio.
Durante lo spettacolo Giovanna Marini, in grande forma e “non solo sovrana dei suoi mezzi espressivi ma addirittura come ‘posseduta’ da un’urgenza espressiva ai limiti dell’umano” (Alessio Lega nell’introduzione) dispiega, oltre alle canzoni eseguite in chiave pirotecnica e trascinante, tutte le sue doti di narratrice e di affabulatrice, creando un rapporto estremamente empatico con il pubblico e infarcendo il flusso comunicativo di battute e aneddoti sagaci e divertenti che si riferiscono, con toni a volte quasi picareschi, agli avvenimenti raccontati e ai loro protagonisti, più o meno noti (Ivan Della Mea, Giovanna Daffini, Paolo Pietrangeli, Dario Fo, solo per citarne alcuni). Opportunamente, sempre Lega fa notare come in una così singolare modalità esecutiva si possa cogliere “molto del teatro (cosiddetto) ‘di narrazione’ a venire”, di cui l’artista romana può essere a giusto titolo considerata una sorta di antesignana.
In tutto ciò sorprende un poco la mancanza dei tanti canti salentini che la Marini aveva registrato nel corso delle sue numerose incursioni a partire dalla fine degli anni ’60, quando incontra Rina Durante e gli esponenti del locale folk revival che, in versioni spesso reinterpretate in stile “creativo”, incide in molti dischi e propone negli spettacoli degli anni successivi, accompagnandoli come di consueto con vivaci racconti (a partire da quelli riferiti al celebre incontro con le sorelle Mariuccia e Rosina Chiriacò di Sternatia, che le insegnarono lo “svolo”). Il concerto nel capoluogo salentino (anche citato in un passaggio del racconto della musicista) singolarmente non contiene nessun riferimento a tali vicende, probabilmente perché in quel momento la musicista aveva intrapreso percorsi espressivi differenti.
“Tutto questo vuole raccontato” rappresenta dunque un documento straordinario del lavoro creativo e della poetica di una delle più grandi compositrici, musiciste e cantautrici italiane, purtroppo in patria meno considerata che altrove – come in Francia e in Belgio, dove è oggetto di una vera e propria venerazione. Dobbiamo essere riconoscenti ad Alessio Lega, all’editore Valter Colle e a tutti coloro che hanno contribuito alla sua realizzazione per averlo preservato e restituito nel modo migliore.
Vincenzo Santoro
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