Conclusa con successo la terza edizione di “Napoli World”, che ha offerto un cartellone di tutto rispetto, italiano ed internazionale. In realtà, si è trattato della quarta edizione di Musiconnect Italy (la prima si è svolta a Pistoia nel 2021), una tre giorni pensata per operatori e artisti italiani nella quale sono stati invitati delegati internazionali che rappresentano alcuni dei festival più importanti nell’ambito delle cosiddette “musiche del mondo”. Parliamo di codici e di meccanismi organizzativi ben noti a chi frequenta da professionista (agenzie di booking, promoter, manager, direttori artistici, artisti, giornalisti, ecc.) questi eventi ormai consolidati tanto nel continente europeo come in Africa, in Asia o nelle Americhe, eppure non ancora pienamente compresi nella loro importanza qui dalle nostre parti, perfino da molti artisti. A organizzare la manifestazione è stato Italian World Beat (nelle persone di Davide Mastropaolo e Fabio Scopino), con il patrocinio morale del Comune di Napoli (ufficio Napoli Città della Musica) e la direzione artistica di Enzo Avitabile. Dunque, parliamo di un’imprenditorialità che ci mette la faccia e investe proprie risorse – avendo efficacemente fatto rete con altri soggetti di supporto artistico europei, nello specifico la piattaforma Upbeat – impiantando una rassegna unica nel suo genere in Italia, che ha naturalmente margini di implementazione ragionando in termini di sinergie, luoghi dei live act e di
presenze, ma dietro la quale ci dovrebbero essere finanziariamente le Istituzioni, come accade da decenni in Puglia e sta avvenendo più di recente in Emilia-Romagna. Al mattino di venerdì 28 novembre due conferenze hanno illustrato aspetti del mercato dei festival in Asia e nel Mediterraneo, mentre la musicista Júlia Kozáková ha presentato il suo progetto Manuša, dedicato ai repertori rom slovacchi. Al sabato gli altrettanto consueti speed meeting aperti a tutti gli artisti che a livello nazionale hanno voluto cogliere un’occasione, più unica che rara, di incontrare delegati di punta del circuito “world” in un contesto molto invitante e sempre in fermento come può essere la città di Napoli, nella quale – non si tratta di campanilismo, ma è un dato di fatto – si viene con piacere a trascorrere qualche giorno all’ombra del Vesuvio.
Passando agli showcase, nei giorni di giovedì e venerdì sono stati ospitati – a ingresso gratuito e con apertura anche al pubblico non professional – all’Auditorium Novecento, nello storico studio di registrazione Phonotype Records, che di per sé merita un pellegrinaggio. Due i concerti della prima serata con Alessandro D’Alessandro e il suo organetto preparato. Il musicista si sta progressivamente allontanando dalla mera trasposizione di canzoni d’autore che lo ha portato a incidere il fortunato “Canzoni”. Se è vero che alcuni caposaldi sono sempre parte del set (“Jamin-a” di Fabrizio De André, “Il
Mare” di Pino Daniele e “Azzurro” di Paolo Conte) si riconoscono nuove direzioni compositive in un artista in forte crescita: l’ampliamento del linguaggio del mantice diatonico che da un lato conserva l’intimità (ci piacerebbe che la voce solista acustica e “pura” dello strumento si manifestasse con più decisione nel set) e dall’altro si interseca con effetti e loops costruiti in tempo reale, elaborando stratificazioni armoniche e ritmiche. Il quintetto slovacco Balkansambel (tromba, trombone, tuba, sax, kaval, gajda e fisarmonica), dalla forte vitalità, abbraccia timbri, accenti, colori che esaltano il ricco mosaico di ritmi e melodie originate nei Balcani con ampi spunti jazz e improvvisativi e un gusto nell’arrangiamento che lascia il segno. A loro si è unita la vocalist Júlia Kozáková che ha dato un assaggio del suo spessore canoro. Il venerdì ha offerto appuntamenti pomeridiani e serali nella stessa venue del centro storico partenopeo. Si è iniziato proprio con Júlia Kozáková in trio con la chitarra di Zsolt Varady e il contrabbasso di Ján Rigo. Un set intimo di canzoni rom tradizionali slovacche e di nuove composizioni proprie e del virtuoso chitarrista, nel quale la cantante di Bratislava fa risaltare anche la sua inclinazione jazz, facendo trasparire una variegata fisionomia stilistica. Il Maluf System: Salvatore Morra
a oud arabo e tunisino e alla chitarra, Marzouk Mejri al ney e ai tamburi a calice a cornice, hanno proposto il loro viaggio nel genere urbano tunisino dove si mescolano diversi idiomi musicali, colti e popolari del Paese del Nord Africa. Si è viaggiato tra Balcani e Mediterraneo con l’ampio organico del Nubras Ensemble, caratterizzato dall’originale gioco di incastri tra archi (violini e violoncello), fiati (sax alto e gajda), percussioni, fisarmonica e voci, tra le quali quella della romena-romana di Roxana Ene: un progetto di grande interesse per la provenienza italiana (da Nord a Sud) e internazionale di musicisti e musiciste. Alla sera rock taiwanese di ascendenza talkingheadsiana della famiglia allargata degli Outlet Drift e il libero calore tellurico dei PS5 del fiatista Pietro Santangelo (tutto da ascoltare il recente “Echologia”), che si sviluppa tra trame jazz, funk, napoletane, afro, dub e improvvisative. Ancora, proiezione afro per la band multiculturale torinese Afro Dream, a cui è mancato quel groove che ci si attendeva. Per la giornata di sabato ci si è spostati nel cuore dei Quartieri Spagnoli, al Teatro Nuovo, dove al pomeriggio la voce, il kannel, la tastiera, l’elettronica e il tamburo della estone Mari Kalkun danno forma al suo “folk estone contemporaneo” radicato nella regione meridionale-orientale del Võruma (dove
sopravvive la lingua võru). “Ecologia acustica” l’ha definita, il nostro Alessio Surian recensendo il più recente e magnifico album, “Stories of Stonia”.
Al cuore del suo live c’è il forte afflato narrativo che si nutre di storie, miti e riti, di riferimenti simbiotici alla natura dell’Estonia, e una ricerca timbrica (impeccabile e prezioso il lavoro del tecnico del suono che l’accompagna, Martin Kikas) che si sostanzia in un mirabile equilibrio sonico. A seguire “Culla e Tempesta”, concerto delle pugliesi Faraualla che espandono il canto a cappella in dialogo con le percussioni. Anche qui prende forma una ricerca armonica, melodica e ritmica, che esalta le voci come strumento. Le vocalist sono superlative nel riprendere un repertorio che attraversa i generi: dalla musica sacra a Tom Waits, decostruendo “I Musicanti di Brena”, attraversando la tradizione pugliese senza privarsi dell’ironia con cui rileggono il reggaeton di “Daddy Yankee”. Terzo showcase quello che mette in mostra l’Italia plurale dei Big Dave Munkola. Disegnano un mix afro, soul, hip hop, trap (in cabina di regia produttiva il polistrumentista Giordano Dan). Storie di italica multiculturalità afrodiscendente che si devono ancora sedimentare, evitando, magari, pose stereotipate. La sera ci ha portato un’altra chicca imperdibile: il trio del
Rajasthan Saz, composto da Asin Khan, cantante eccezionale e maestro della Sindhi Sarangi, Sadiq Khan, uno dei migliori suonatori di dholak locali, e Zakir Khan, maestro della khartal e voce di supporto, accompagnati da Divya Bhatia, impegnato a raccontare il repertorio di questo trio straordinario che si muove tra conservazione ed evoluzione del ricco patrimonio musicale tradizionale. A seguire, hanno impazzato i giovanissimi Xiido, che significa “tentativo”, furente street band sudcoreana che combina ottoni occidentali e orientali (sousafono, trombone, sassofono, taepyeongso e piri), batteria e janggu. Degna conclusione (ma per i nottambuli per due giorni ci sono stati anche i DJ set al Kesté) con la super band di Daniele Sepe & Galactic Syndicate. Tutti musicisti di prim’ordine (chitarra elettrica, tastiere, basso, percussioni, batteria e voci) capaci di offrire un viaggio nel Sud Italia, partendo dal canto cilentano e da Frank Zappa (“Peaches en regalia”) e incontrando il canto arberëshë lucano, le tammurriate, la rabbia poetica di Matteo Salvatore, il canto griko salentino, una mundanarë garganica e una tarantella nord calabrese. “Avete un genio”, osserva il direttore del Festival portoghese Sines. “Artisti del sud”, dirà qualche sprovveduto di corte vedute; “Ma mi faccia il piacere!”, replicherebbe Totò, aggiungendo: “Legga, studi, si informi...”.
Ciro De Rosa
Foto di Giuseppe D'Anna
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