Una formazione per addizione quella di Banning Eyre, strepitoso artista (scrittore, chitarrista e produttore discografico, nonché redattore e produttore del programma radiofonico pubblico “Afropop Worldwide), statunitense di nascita, che per volontà materna ha cominciato a studiare la chitarra con le corde di nylon a soli cinque anni per poi ad approcciare anche il trombone e il banjo. Eyre imparò in seguito il 12 bar blues vamp, passò alla Yamaka steel string e infine alla chitarra classica. Tra gli strumenti a corda, la chitarra è quello più eclettico e che si presta di più a cambiare pelle per poi presentarsi in altri repertori strumentali, a patto però, che questi repertori siano stati a lungo e profondamente praticati come nel caso di Banning Eyre. A dieci anni avvenne il suo primo spostamento a Montreal al seguito della famiglia e da allora è cominciato il suo girovago peregrinare per il mondo, cambiando continuamente i percorsi di studio. A Boston ha avuto il suo battesimo con la musica africana che non avrebbe più abbandonato. In un viaggio di tre mesi in Senegal, Guinea, Mali, Ghana e Zimbabwe ha avuto modo di riflettere anche sulla musica intesa come cultura di quelle popolazioni e di scrivere quindi alcuni saggi di etnomusicologia. L’Africa centrale gli ha fatto trovare il “centro di gravità permanente”, ha suonato con i più grandi esecutori di kora e di m’bira che, al loro fianco, poi ha testimoniato in una notevole produzione discografica e concertistica in tutto il mondo.
Ecco l’uscita oggi di “Bare Songs Vol. 1”, un lavoro che si pone come una summa dei generi precedentemente studiati e sapientemente innestati con i linguaggi dei cordofoni africani, fino a rappresentarli con una perfetta mimesi timbrico-articolatoria in queste quattordici tracce. La prima traccia, “Fifteen Rounds and No Decision”, dopo un’introduzione libera si stabilizza su una spola minore di due accordi, facendo procedere la melodia spesso per terze; è un brano di grande suggestione e impegno tecnico che sfocia in un inaspettato tremolo e poi in una improvvisazione. Una struttura simile ma con un ambiente emotivo del tutto diverso si ritrova invece in “Djelimady”. Forti radici americane si sentono in brani come in “Old Time” con il suo imprinting blues, e poi il finger con accordatura aperta in “4th of July Follies”, chiaramente evidente anche in “Portal 7” e “Tuelar”, ma anche in altri brani. “Antananarivo” è un brano country disteso, quasi un bluegrass, e “Fight or Flight” rappresenta un perfetto equilibrio tra stile africano e americano, ma forse quest'ultimo non ha come componente fondamentale proprio le radici africane? “Three Way” è nello stile tipicamente africano, tra impennate della M’bira e il tappeto arpeggiato della kora, “First Light” simbolizza l’arrivo e il propagarsi della luce mattutina. “Mindelo” è sicuramente il brano con la più intensa carica affettivo-emotiva data dalla breve incisiva e insistente frase melodica in minore, di sapore sudamericano spesso ripresa come tema per improvvisare. “Forgive and Forgt” comincia con un innocente giro I-IV-I-V- in stile classico ma poi un’accattivante melodia vi si incastra creando una interessante poliritmia “Three way” inizia su una scala blues con la tipica stoppata della mano destra che si snoda poi su un accompagnamento tessuto da un arpeggio classico in minore dove si alternano tonica e dominante. Su questo groove si incastra una melodia che digredisce in improvvise modulazioni e procede spesso per terze. L’ultimo brano “Faku Hiva” è un delicatissimo brano sul registro acuto su cui si crea un ciclo ritmico nello stile della kora.
Un consiglio: ascoltate e riascoltate questo disco, di questi tempi, vi assicuro, fa bene alla mente, allo spirito e al corpo.
Francesco Stumpo
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Strings