Cantante e polistrumentista, Lavinia Mancusi intreccia musica e parola, viaggi meridiani e note latinoamericane, narrazione emozionale, “rebeldìa” e coscienza antagonista, come le donne che ha raccontato nel suo recente volume “Revolucionaria!”. Formatasi fino dall’infanzia presso la Scuola Popolare di Musica di Testaccio, in seguito incontra Nando Citarella e si unisce ai Tamburi del Vesuvio come strumentista, cantante e danzatrice. Da lì si snoda il suo profondo percorso di studio e di ricerca in ambito trad e world nel corso del quale si alimenta al magistero vocale di Lucilla Galeazzi. I suoi precedenti dischi si sostanziano in un suono meticcio dalle molte correnti, che assomma folk, canti e musiche di tradizione orale, world e pop d’autore. A suo nome, Lavinia pubblica “Semilla” (2013) e “Semilla vol.2” (2018), in trio con LaMoRivostri incide “Rosabella” (2015), del 2019 è il suo successo al Festival “Musicultura” con il brano “Ninù”, storia di una donna rom che di fronte al plotone di esecuzione nazista canta ed esprime con fierezza e coraggio la sua idea di libertà. Una carriera dalle numerose collaborazioni, quella dell’artista romana, tra le quali ricordiamo quelle con Gabriele Gagliarini, Simone Pulvano, Eugenio Bennato, Olen Cesari, Ambrogio Sparagna, Francesco Guccini, Muro del Canto, Alessandro Mannarino, Daniele Sepe e Ars Nova Napoli. Plurimi anche i suoi progetti live, da quelli folk solisti, al teatro-canzone sulle anime indomabile di donne del folk latinoamericane, dallo sguardo ai Sud di Mamarua in coppia con Denis Di Maria al viaggio in romanesco attraverso la storia e le storie della
città eterna. Inoltre, lo scorso settembre Lavinia Mancusi è stata tra i protagonisti delle video live sessions di “Blogfoolk” per lo European Folk Day donandoci una intensa versione di “Aprile”. Pubblicato dalla campana Liburia Records nella collana “world”, “A Cruda Voz”, un titolo in esperanto, è il nuovo album dell’artista romana, che canta e suona chitarra, violino, tamburi a cornice, surdo e bombo leguero insieme a Mauro Menegazzi (produzione, fisarmonica, synth e programmazioni), Iacopo Schiavo (chitarra classica e oud), Renato Vecchio (fiati in “A Cruda Voz”, “Lamento dei mendicanti” e “Lavoro tra li pecuri e li cani/Tarantella dei baraccati”) e Alessandro Chimienti (chitarra elettrica in “Lamento dei mendicanti”). “A Cruda Voz”, è voce nuda, è una sorta di concept album che riproduce in musica e liriche il ciclo della vita per comporre un racconto possente, resistente e urgentemente contemporaneo. Ne discutiamo con Lavinia Mancusi.
Quale è il seme di ‘A Crud Voz’? E perché questo titolo?
La fantasia dell’essere umano di cantare la vita. La voce cruda, nuda, è la voce della nascita, il primo
inesorabile grido con cui ogni umano annuncia la propria venuta. In quell’accesso così fragile e necessario, precario e vitale insieme, è riassunta una richiesta di comunione col mondo dei vivi che solo l’antico sapere di una comunità già educata alla vita e alla morte può raccogliere.
Musicista folk, cantautrice, scrittrice: in che misura ti riconosci in queste categorie?
Per pudore faccio fatica a definirmi in ognuna. Le considero tutte parti di un unico insieme.
In che misura ti senti una mediatrice tra mondi musicali?
Comunicare con la musica è già di per sé un esercizio di mediazione tra il proprio sé e il fuori, ma qualunque linguaggio artistico ne è la manifestazione in quanto espressione di incontri, incroci, storie.
Nello specifico della musica popolare, essendo così centrale il tema della memoria, la questione della mediazione si fa ancora più manifesta, fino ad assurgere quasi a ruolo se non alle volte a impresa, direi.
Le tue collaborazioni con artisti pop che cosa ti hanno portato?
Innanzitutto la possibilità di lavorare ad alti livelli di professionalità altrimenti difficili da intercettare e mi
riferisco a tutto l’apparato tecnico e organizzativo che non è sotto i riflettori ma che a certi livelli è necessario e densamente popolato. Dal punto di vista più prettamente musicale, il dover mettere in scena un pensiero in musica nella sua forma il più possibile armonica ed esatta è stato ed è a tutt’oggi la pratica più stimolante che mi è rimasta. In generale devo dire che mi sono sempre tanto divertita e che ho imparato moltissimo.
Che nesso tra le donne rivoluzionarie che hai ritratto in “Revolucionaria!” e i temi di “A Cruda Voz”?
Il rapporto è come quello del fiume con il suo letto: la postura delle donne di Revolucionaria!” rispetto al mondo, la loro adesione a determinate tematiche e battaglie ha guidato il pensiero che ha fatto nascere “A
Cruda Voz”. Così come in Revolucionaria!” c’è un filo rosso che lega le vite e le lotte delle protagoniste e le unisce in un legame indissolubile, così “A Cruda Voz” è stato immaginato come un racconto unico che costruisce un pensiero che suona attraverso canti e racconti provenienti dal mondo popolare, espressioni di un’identità negata dallo sviluppo della società contemporanea. Forse il nesso che lega i due lavori è la Resistenza.
Un disco tra Sud America e Sud Italia… non è una novità nel folk contemporaneo: quale è la tua angolazione?
Non c’è una reale angolazione, una bussola. Io e Mauro Menegazzi (produttore e arrangiatore dell’album)
abbiamo studiato il mondo musicale centro e sud americano e inevitabilmente questo amore ha costruito il
nostro gusto e il nostro stile. I generi si contaminano in maniera quasi involontaria. La connessione tra Sud
America e Sud Italia è più una suggestione per chi ascolta che una scelta consapevole.
Cantare per cambiare il mondo è possibile?
Mi permetto di rispondere con le parole del filologo Michele Barbi: “Ciò che non si crede esistere non si
Come si è costruito il cammino musicale di questo lavoro?
Il cammino è stato fortunato perché l’ho fatto in compagnia di Mauro Menegazzi ed è stato davvero un
viaggio fatto di panorami splendidi, voli di immaginazione altissimi. Desideravamo fare un disco che fornisse un punto di vista se non nuovo almeno infrequente e che sconfinasse dai soliti spazi. Diciamo che anche qui c’è lo zampino del pensiero di Violeta Parra che invitava a rompere le regole, seguire la nubesita, el Duende. Fondamentale è stato anche il contributo di Iacopo Schiavo alle chitarre e all’oud. Anche Iacopo è una personalità eclettica, che non si pone confini e il suo punto di vista si è sposato perfettamente con il percorso dell’album. Infine, ci sono due ospiti importanti: Renato Vecchio ai fiati e Alessandro Chimienti alla chitarra elettrica (insieme ne “Il Lamento dei Mendicanti”).
Come si è sviluppato il lavoro di produzione con Mauro Menegazzi?
Sono arrivata da lui con voce, chitarra e delle immagini alle quali aspiravo. Mauro le ha intercettate e le ha
rigenerate con talento quasi da prestigiatore. Essendo un musicista gigantesco che ha i doni della grazia e
della misura, gli ho affidato le storie che volevo raccontare e mi sono affidata a mia volta.
In che rapporto sei con il folk progressivo degli anni ’70? Penso anzitutto al Canzoniere del Lazio dei primi album che riecheggiano anche in alcuni brani di questo album.
Il grande movimento del folk revival anni ’70 dava voce all’insoddisfazione verso un modello unico imposto e non adatto a raccontare tutte le realtà. Era il megafono di voci di donne e uomini esclusi dalla cultura egemone perché caparbiamente connessi ad una realtà “altra” che non poteva contare su documenti scritti e che quindi appariva fuori dalla storia. Tutto questo costituisce, senza ombra di dubbio, una delle basi della mia cultura musicale e politica.
Cosa porta da ‘A curuna” a “Mamma damme cento lire”?
“A Cruda Voz” è un album che si sviluppa come un pensiero che indaga senza mai posarsi. Ogni brano si lega all’altro per costruire un discorso unico, un racconto che ricuce nascita, vita e morte nella stessa trama. Volevo che il racconto di “A Cruda Voz” fosse come un’ideale colonna sonora di un’esistenza, ad iniziare dalla nascita, dalla partenza e via proseguendo. Nella mia immaginazione “A Curuna”, brano mutuato dal repertorio di Rosa Balistreri e che lei considerava uno dei suoi preferiti, costituisce il canto che precede la partenza raccontata in “Mamma Damme cento lire”. Ogni brano scelto rappresenta una soglia e io ho scelto quei brani che più rappresentavano ciò che volevo dire in quel momento.
Metti insieme Roberto De Simone, il ballo sul tamburo e Feneste ca lucive”…Napoli e il suo entroterra
sono luoghi privilegiati?
Nel mio cuore sicuramente sì. Ho le mie origini in quei luoghi e inevitabilmente la loro eco risuona in ogni mio pensiero.
Di Matteo Salvatore riprendi due capolavori: “Lamento dei mendicanti” e “Padrone mio” … in cui al centro sono emarginazione e sfruttamento. Un poeta imprescindibile ma anche contraddittorio?
Assolutamente. Italo Calvino di lui scrisse: “Le parole di Matteo Salvatore noi le dobbiamo ancora inventare”. Pur avendo vissuto un’infanzia e una giovinezza di miseria e analfabetismo è riuscito, grazie alla forza della sua musica e della sua poesia, a riscattarsi. Non posso negare che la sua storia personale mi ha sempre creato imbarazzo e rabbia. Mi riferisco al femminicidio della sua compagna Adriana Doriani nel 1973. Era un’altra Italia? Non lo so, considerando anche quanto questo tema sia drammaticamente attuale. Non è cancellando la sua opera artistica che si cancella il crimine che ha compiuto e ritengo che il mondo tradizionale sia, ahimè, un baluardo di una certa discriminazione di genere. Chissà che non sia arrivato il momento di parlarne in maniera franca.
Con “Morsi cu morsi” sono ancora al centro l’emarginazione e il carcere: temi sempre più cruciali in questi tempi…
Ritengo che la sola esistenza del carcere sia la prova del fallimento della società. In una società sana gli individui non si ammalano di solitudine e di abbandono, emozioni che poi portano a compiere atti legati
alla mera sopravvivenza o alla sopraffazione dell’altro. Nello specifico del racconto di “A Cruda Voz” le esperienze di carcere, migrazione e sfruttamento, laddove sono raccontate, si possono riferire sia a concreti esempi di cronaca sia a una dimensione più figurata, profonda in un certo senso. Si può aver avuto la fortuna di non aver mai fatto esperienza del carcere, ma questo non significa che non si conosca l’esperienza di essere prigionieri di qualcuno, finanche di sé stessi. Il fatto che la cultura veramente popolare illustri non ciò che vede ma ciò che sa è uno dei fattori che mi fa ancora emozionare.
Nella seconda parte il suono diventa più cupo, anche più duro; l’elemento percussivo si accentua come pure il canto di rivolta… Si passa da “Lavoro tra li pecuri e li cani/ Tarantella dei baraccati” alla potenza conclusiva di “Montesicuro”…
Questa è stata una scelta compiuta in concerto con Mauro Menegazzi. Ci entusiasmava la voglia di dare al
disco un suono crudo, non perfetto, non accogliente, in un certo senso non consolatorio. Questo si riflette anche nella scelta dei suoni, ad esempio nell’utilizzo del Mellotron, uno dei primi campionatori che è diventato nel tempo uno dei pilastri per i tessuti sinfonici di molti album progressive rock degli anni ’60 e ’70. Con i brani a cui ti riferisci, nell’ideale racconto tracciato in “A Cruda Voz” mi rivolgo direttamente all’umanità in rivolta che rivendica il proprio diritto all’abitare, emanciparsi, esistere come comunità fatta di canto e cura dell’altro. Le percussioni aumentano come la pressione del sangue nelle vene quando si deve compiere un grande salto.
Si, me ne sono accorta a lavoro terminato. Sto cercando di seguire la nubesita.
Uso dell’elettronica: una novità per te? Di ti può portare?
È vero, è una novità che mi entusiasma tantissimo e rispetto alla quale denuncio la mia quasi totale
ignoranza. Menegazzi è stato fondamentale anche qui. La sua è una cultura a trecentosessanta gradi
nell’ambito. Dove mi porterà? Per dove non sono stata.
Le musiche e le storie poetiche, fiere ma anche di sofferenza di “Revolucionaria!”, in cui ripercorri la vita di Violeta Parra, Mercedes Sosa e Chavela Vargas, le porti in concerto, ma un altro tuo spettacolo di teatro-canzone che hai allestito con Mauro è “Ruma”?
“Ruma” è uno dei petali di quell’unico fiore di cui parlavamo all’inizio. Mi sento molto a mio agio nella
dimensione del racconto cantato. Sempre con Menegazzi al mio fianco, è uno spettacolo tutto in dialetto che nasce dalla suggestione del nome arcaico del fiume Tevere, Rumon, dalla radice greca “ruo”, scorrere. È molto probabile il nome di Roma venga da qui e non da Romolo e questo ha messo Roma, la sua storia e la sua realtà, sotto una nuova luce: il movimento, la trasformazione in opposizione ad una storia immobile e ad una bellezza immobile anche lei e per questo violenta.
Altri progetti in cantiere per il 2025?
Stiamo lavorando ai miei brani originali e ho in mente un altro capitolo di Revolucionaria!” Ma non aggiungo altro.
“A Cruda voz” che cosa diventa sul palco?
Mi piacerebbe che ogni live fosse un’esperienza diversa rispetto al disco, quindi probabilmente si sperimenterà anche con formazioni diverse. Seguiamo el Duede!
Lavinia Mancusi – A Cruda Voz (Liburia, 2024)
Un album per voce la cruda e nuda, consapevole e libera di Lavinia Mancusi. Una “voce poderosa”, come è stato scritto, che propone un’ampia gamma di sentimenti con piglio dolce e lirico, possente e aspro, ponendosi di fronte al materiale popolare, di tradizione orale e d’autore, non certo animata da intenti filologici e pronta a uscire dal recinto della riproposta, forte della volontà di scavare e legare fili del passato, assaggiare suoni “altri” non per gusto esotico ma per solida pratica di modi espressivi e per dare risalto a valori incorporati. Un disco aperto dal suono del mare, da voci che scandiscono un canto sul tamburo e altri moduli popolari e dallo spoken word di Lavinia, che recita una formula propiziatoria raccolta a Rossano Calabro: eccoci alla metafora di attraversamento della vita che è “Marinaresca”, composizione di taglio minimale di Roberto De Simone dal capolavoro “Quanto è bello lu murire acciso”, ispirata a un sonetto carpinese, in cui la voce dell’artista romana è contrappuntata dalle corde dell’oud e dalla fisarmonica. Palpitante nel suo incedere percussivo “A Curuna”, proviene dal repertorio di Rosa Balistreri e, in un continuum, sfocia nel vanto d’emigrazione “Mamma damme cento lire”, racconto di ricerca di nuova vita oltreoceano che evoca un passato italico non così distante. Voce duttile e cangiante quella di Mancusi, che mette al centro la Napoli settecentesca nel “Secondo coro delle lavandaie del Vomero” (ancora De Simone, da un altro capo d’opera: “La Gatta Cenerentola”) e in “Fenesta ca’ lucive”, canto che oscilla tra una fisionomia di tammurriata e accenti rom. Ancora dal repertorio della cantatrice siciliana di Licata, si tratteggia la rabbia e la sofferenza del carcere che solo il ricordo materno riesce a lenire in una versione che scuote di “Morsi cu morsi”. La presa di coscienza e la voce degli ultimi si fa più ancora più pressante ne “Il lamento dei mendicanti” di Matteo Salvatore, amplificata dalla potenza dei tamburi e dai profili elettronici che si accentuano in questa seconda parte del disco. Le rivendicazioni contadine si accendono in “Padrone mio”, sempre dalla poetica del cantore della Capitanata, e ancor di più in “Lavoro tra li pecuri e li cani /Tarantella dei baraccati”, che arrivano dai seminali primi lavori del Canzoniere del Lazio, dove gli stornelli e le voci di lotta incrociano il canto di Mancusi e la strumentazione di aerofoni popolari, fisarmonica e tamburi. A raggiungere il culmine, e a chiudere l’album, è la pressante potenza di “Montesicuro”, grido contro le ingiustizie (“Per arricchire un brigante sono crepato”), dove il canto nel finale si stempera e, a chiudere il cerchio emotivo e sonoro, si compenetra nelle voci collettive della tradizione, intonando una litania (“Jesce Sole”) e facendosi memoria viva, che serve a confrontarsi con il presente. Che disco! liburiarecordsworld.bandcamp.com/album/a-cruda-voz
Ciro De Rosa
Foto di Ilaria Magliocchetti Lombi (1), Georgiana Acostandei (2, 3), Paolo Palmieri (4, 5), Enrico Di Cerbo (6, 7, 8) e Alessia Della Regione (8)
Ho assistito ieri sera, 15/12, ad un concerto della brava e bella Lavinia ad Andria. Lunghissimo e strabiliante concerto. Una costruzione originale quanto coinvolgente della esibizione. Una voce graffiante e sensuale nello stresso tempo. Chitarra violentata e accarezzata. Temburo e tamburello dal ritmo penetrante. Accompagnata da una fisarmonica che parlava. Una splendida scoperta. Bravissima Lavinia. Amore a prima vista! ❤️
RispondiElimina