A quarant’anni dalla scomparsa, questo volume, imperniato sulla “policentricità” di ricerca di Annabella Rossi (1933-1984), si aggiunge al panorama di iniziative editoriali che solo negli ultimi anni hanno accresciuto la bibliografia riguardante l’antropologa romana, dopo il ridimensionamento subito per lungo tempo dal suo contributo scientifico. Tra le opere di Rossi, qui ricordo “Lettere da una tarantata”, “La fatica di leggere”, “Le feste dei poveri”, “Carnevale si chiamava Vincenzo”, scritto con Roberto De Simone, “E il mondo si fece giallo. Il tarantismo in Campania”; né va dimenticato il suo lavoro in ambito di antropologia museologica, l’impulso dato agli studi antropologici durante la sua docenza all’Università di Salerno, l’attività di documentarista con Luigi Di Gianni e con il suo compagno Michele Gandin.
“Il Salento di Annabella Rossi. La ricerca visiva sul tarantismo e oltre” intende valorizzare l’importante fondo archivistico multimediale (documenti sonori, fotografici e cinematografici) realizzato sul campo dalla studiosa romana. Collocato nella collana “Visioni d’archivio” (Quaderno_06), pubblicata dall’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale, che consta di fascicoli semestrali accompagnati da brevi testi introduttivi dedicati tanto a nuove campagne di documentazione fotografica quanto a materiali d’archivio, la pubblicazione è stata realizzata in collaborazione con il Museo delle Civiltà e il Polo Biblio-Museale di Lecce.
Come sottolinea nello scritto introduttivo (Prefazione #1) il Direttore dell’ICPI, Leandro Ventura, da poco meno di un decennio, l’istituzione ha intrapreso il riordino, il restauro, la digitalizzazione e la catalogazione degli archivi fotografici, audiovisivi e sonori in sinergia con il Museo della Civiltà. Un vasto progetto di cui questa presentazione di materiali visivi del Fondo Rossi-Gandin rappresenta il primo significativo esito. Inizialmente presentati in una mostra a Lecce
(Convitto Palmieri, 26 giugno-30 settembre 2024), al momento in cui si scrive, l’esposizione dei materiali, che muovono dalla partecipazione di Annabella Rossi alle ricerche sul tarantismo dirette da Ernesto de Martino, è allestita al Museo della Ceramica di Cutrofiano (si protrarrà fino al 15 marzo 2025). Di fatto, questo prodotto editoriale ne costituisce il catalogo.
Inizialmente presentati in una mostra a Lecce (Convitto Palmieri, 26 giugno-30 settembre 2024), al momento in cui si scrive l’esposizione dei materiali, che muovono dalla partecipazione di Annabella Rossi alle ricerche sul tarantismo dirette da Ernesto de Martino, è allestita al Museo della Ceramica di Cutrofiano (si protrarrà fino al 15 marzo 2025). Questo prodotto editoriale ne costituisce il catalogo.
Nelle Prefazioni #2 e #3, Andrea Villani (Direttore del Museo della Civiltà) e Luigi De Luca (Direttore del Polo Biblio-museale di Lecce) danno conto sia dell’importanza della collaborazione tra Istituzioni, di cui la mostra (e la pubblicazione) sono esito esemplare, sia della rilevanza dello spazio “poetico” espositivo del Convitto leccese.
Annabella Rossi è figura di studiosa che incarna un’antropologia immersiva e partecipata, caratterizzata dalla forte vicinanza verso i soggetti. Qualità etnografica ed umana vanno di pari passi nel suo “Fieldwork Italian Style”, secondo l’interpretazione di Berardino Palumbo. Come in altra sede ha ricordato Paolo Apolito, la sua maestra riusciva a stabilire una relazione affettiva e un legame profondo con persone umili e marginali, riuscendo a muoversi istintivamente in un quadro di ‘effervescenza emozionale’. Per di più, l’opera di Rossi cercava il dialogo e il confronto oltre l’accademia con politici, giornalisti, sindacalisti perché cercava una “lingua capace di mediare” e di documentare le vicende degli strati marginali della società al fine di offrire strumenti critici per una maggiore consapevolezza politica.
La curatrice del volume Stefania Baldinotti (“Con gli occhi del nuovo millennio. Annabella Rossi e la ricerca etnografica in Salento alla luce dei primi risultati della digitalizzazione dei materiali d’archivio”) fa il punto non solo del senso del progetto di digitalizzazione dei materiali ma quanto questo prezioso lavoro di sistematizzazione consenta di approfondire la riflessione sulle ricerche della Rossi, ben oltre l’esperienza
in Salento con l’equipe demartiniana, che ad ogni modo rappresenta un passaggio cruciale e che Baldinotti ripercorre fissando elementi biografici di una ricerca profonda e appassionata. Gli archivi sono restituiti nell’intento di “‘tornare a vedere’ o ‘vedere per la prima volta’ – in entrambi i casi, con lo sguardo del nuovo millennio – persone, paesaggi, contesti e situazioni irrimediabilmente dissolti dai mutamenti della contemporaneità o, inaspettatamente, sopravvissuti nell’impercettibile radicamento del rito, del ricordo e delle pratiche quotidiane”. (p. 17). Porta il suo contributo il fotografo, storico e critico della fotografia, Massimo Cutrupi, impegnato da anni nel lavoro con l’Archivio fotografico dell’ICP, il quale ne “Il potere dell’archivio e la fotografia relazionale di Annabella Rossi” mette l’accento sulla bi-dimensionalità degli archivi fotografici: una prima, storica, che tiene conto delle origini, degli sviluppi e delle trasformazioni e una seconda, di prospettiva, che implica la pianificazione per favorire la fruibilità dsegkli archivi stessi. Cutrupi riferisce poi delle metodologie e degli interventi intrapresi in seno all’ICP per poi commentare l’uso del mezzo fotografico e dei materiali iconografici riguardanti la ricerca relazionale ed empatica dell’antropologa romana. Omerita Ranalli (“Itinerari e paesaggi sonori nei nastri salentini di Annabella Rossi”) fissa la sua attenzione sui materiali audio delle ricerche della Rossi – a lei si deve quel appellativo di “policentricità” che ho mutuato nell’apertura di questo scritto – passando in rassegna sinteticamente aspetti tecnici come pure i diversi scenari di indagine sul campo: Roma, Lampedusa, Salento, Lazio, Campania e Basilicata. Il secondo curatore del volume, Vincenzo Santoro,
entra più direttamente nel territorio salentino con “Il Salento di Annabella Rossi. La ricerca visiva sul tarantismo e oltre”. Santoro inquadra la figura della studiosa, il suo legame con la “terra d’Otranto” che la conduce a ritornarvi nel 1977 per ultimare le riprese di un’inchiesta televisiva per la Rai dal titolo “Profondo Sud. Viaggio nei luoghi di Ernesto de Martino a vent’anni da «Sud e magia»”, dunque ben dopo la prima ricognizione nell’ambito della ricerca demartiniana (1959), e gli strumenti di indagine e i soggetti delle ricerca in Salento, ricostruendo metodologie e senso dell’allestimento espositivo, senza trascurare le considerazioni, in una prospettiva comparativa, sul tema del tarantismo (tra i precipui interessi di studio dello stesso Santoro) e sul valore delle campagne di ricerca in Campania (Cilento e Sessa Aurunca) che ampliano la conoscenza di un fenomeno di dimensione “mediterranea”, già intuita da Ernesto de Martino.
La sezione successiva del volume, introdotta da Baldinotti, Santoro e Giorga Chiné, offre una premessa alla raccolta di scatti formidabili della Rossi, che occupano le pagine successive. Scriveva Rossi: “Mi servo della fotografia per analizzare la realtà che studio; l’operazione di sintesi avviene dopo, in un ulteriore momento del mio lavoro al quale l’esame delle mie fotografie contribuisce notevolmente” (Annabella Rossi, “L’antropologo e la fotografia”, 1971). Si susseguono immagini della terapia coreutico-musicale domiciliare del tarantismo (con immagini del violinista Luigi Stifani e di Maria di Nardò), è ripreso l’incontro con Michela Margiotta (la contadina di Rufiano: la tarantata Anna), mentre la sezione successiva si rivolge alle “Forme di vita e di lavoro”.
Questo percorso multimediale e diffuso – imperdibile per i visitatori e con l’auspicio che si estenda presto oltre i confini pugliesi – si presenta come molto più di un semplice evento espositivo. Il volume che lo accompagna, infatti, non è solo un catalogo, ma un’opera che risplende di valore autonomo. Da un lato, getta luce su un’Italia ormai lontana nel tempo, popolata da protagonisti legati a quella “cultura della miseria” evocata da Rossi; dall’altro, si configura come un ulteriore tassello di conoscenza e uno strumento di approfondimento, come pure un invito a riflettere sul passato e le sue implicazioni nel presente.
Ciro De Rosa