Luigi Cinque & Hypertext O’rchestra, Concerto di Santo Stefano, Basilica di Santa Maria in Aracoeli, Roma, 26 dicembre 2024

“Noi siamo qui perché ci siete voi”, con queste parole Luigi Cinque ha aperto il ventisettesimo concerto di Santo Stefano, che si è tenuto in Aracoeli, come da tradizione, il 26 dicembre, un appuntamento divenuto irrinunciabile per Roma e il suo Natale, come dimostrano l’affetto e la partecipazione con cui il pubblico romano e anche non romano accoglie questo momento di celebrazione musicale, che si tiene in uno dei luoghi più importanti e significativi della città. Molti infatti i turisti che sono entrati per caso e hanno deciso di restare, cogliendo l’occasione per portarsi a casa un ricordo unico e di altissimo valore. Ogni anno un tema, ogni anno un’interpretazione in chiave musicale diversa: quest’anno il titolo è stato “Il Grido”. Un titolo evocativo, che rimanda immediatamente alla rappresentazione drammatica di Munch: un titolo in linea con i temi e i momenti difficili che stiamo vivendo. E, in chiave musicale, questa esigenza di esternazione si è tradotta in una particolare attenzione alla componente squisitamente vocale del concerto,
che ha visto, come sempre, la partecipazione di artisti di eccelso livello internazionale, provenienti da ogni angolo del mondo. La musica del resto è da sempre il linguaggio universale attraverso il quale sono stati espressi i valori della solidarietà e della collaborazione. Un messaggio particolarmente sentito in un momento storico così complesso, in cui la pace è più che mai un obiettivo da perseguire. A fare gli onori di casa, oltre al Maestro Cinque, la cantante mongola Urna Chahar Tugchi, che con la sua voce straordinaria è da almeno un lustro ospite fissa dell’evento, insieme all’affascinante e bravissima Giovanna Famulari al violoncello: due figure di estrema bellezza, oltre che bravura, di cui il concerto di Santo Stefano non può più fare a meno. L’incipit vocale che ha caricato di suggestioni il luogo, già molto suggestivo di suo a dire il vero, e i suoi ospiti è stato affidato alla forza baritonale di Melo Zuccaro, “bardo” catanese della Civita chiamato a dare inizio alle note cantate, percuotendo scenograficamente alle spalle un pubblico attonito e meravigliato. Una voce forte che fa vibrare tutta la
navata centrale e i cuori e gli animi degli astanti, porgendo loro una novena natalizia di fortissimo impatto emotivo. Le novene natalizie rappresentano una sorta di midollo osseo dei canti del Sud, e Melo Zuccaro ne è depositario e interprete. Nessuna scelta poteva essere altrettanto azzeccata in una fase storica in cui all’infanzia dobbiamo rivolgere la massima attenzione. E il canto contribuisce sicuramente a sensibilizzare gli animi in questa direzione, qualora ce ne fosse necessità. Sono versi di protezione, adorazione, amore e sostegno quelli dovuti a un infante che simbolicamente incarna, oggi, tutte le piccole vittime dei conflitti sparsi per il mondo, e lo spirito di questo Natale vuole essere proprio questo: restituire all’infanzia una dignità che noi adulti abbiamo il dovere sacrosanto di tutelare con ogni mezzo. Un timbro così particolare non può che esigere di accompagnarsi a qualcosa di altrettanto ricercato e sofisticato: a fare da controcanto, sull’altare, le formidabili combinazioni canore del quartetto pugliese Faraualla. È un incanto vocale quello che pian piano si fa strada serpeggiando tra i banchi delle gremite
navate della chiesa. Un incanto che salpa dalle coste italiche per congiungersi a quelle del Senegal, intrecciandosi alle sonorità potenti della voce di Badara Seck, griot di nuova generazione non nuovo a queste scene e alla collaborazione con il maestro Cinque che, come un “vigile urbano” convoglia sul palco suoni ed emozioni. L’energia è densa, si fa quasi materia, e ci è difficile non tornare con la memoria a precedenti edizioni, quando il fulcro delle sonorità vocali era rappresentato dal compianto maestro Infantino, e dalla sua ritmica ossessiva e selvaggia: quest’anno la voce è tornata protagonista. Questo non vuol dire che sia stato trascurato l’aspetto strumentale. Se ne fanno interpreti il valenciano Efren Lopez con il suo oud e la sua ghironda, strumento dal fascino attraente, la Signora della lyra cretese Thoma Kyriaki, i clarinettisti Gabriele Mirabassi e Marco Colonna, Giovanni Lo Cascio con le storiche percussioni e, uomo dal volto scolpito, l’appassionato Antonello Salis che con la sua fisarmonica e il suo estro è lì a raccogliere le fila di tutte le sonorità e a ricondurle su percorsi a tratti jazzistici, fungendo da perfetto trade union col
clarinetto di Luigi Cinque. “In questi ventisette anni abbiamo fatto di tutto: jazz, folk, rock, approfittando della benevola accoglienza dei frati francescani che tornano ad ospitarci col loro calore e la loro disponibilità”, commenta sul finale Luigi Cinque, ed è vero. Una delle più belle navate del mondo non può non ricordare le note eleganti della chitarra di Fausto Mesolella, il sax ipnotico di Daniele Sepe, la voce squillante di Teresa de Sio, e i molti altri che hanno fornito il loro contributo a questa tradizione che tutti ci auguriamo ancora duratura nel tempo. A chiudere il concerto, il grido stradaiolo di Nando Citarella che, in una partecipata tammurriata sostenuta dalla ritmica a cappella delle Faraualla che coinvolge anche il pubblico, invoca pace e rifiuto dei conflitti. E l’augurio che tutti ci facciamo è che questa richiesta di pace non resti un grido inascoltato, ma trovi forma e concretezza: e che questo benaugurale concerto, il prossimo anno, possa svolgersi sotto una volta di ritrovata serenità per tutto il mondo. Ne abbiamo bisogno. 

 

Roberta Gioberti


Foto di Roberta Gioberti

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