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citazione di Paul Valéry, è l’epigrafe scelta per questo album, che lancia anche messaggi politici. Riflette infatti sull’idea che la musica è il risultato di connessioni e migrazioni, e che il futuro si costruisce attraverso il prisma della memoria. Musicalmente, il quintetto crea tessiture che generano una musica popolare da camera, in cui gli elementi delle tradizioni musicali si intrecciano con gli stilemi della formazione eterogenea dei cinque strumentisti. L’apertura, “Floarea din rădăcina ei creşte”, rimanda a danze della Dobrugia, colpisce con le sue travolgenti ritmiche dispari.
Se “En attendant le printemps” (un riferimento alle speranze disattese delle cosiddette primavere arabe) evoca i modi musicali della sponda sud del Mediterraneo, “La Lipscani la miezul nopţii” ci trasporta in una taverna di Bucarest. “De la Mer Noire à la Baltique” è un viaggio sonoro dalla veste classica che vuole essere un tributo ai ricercatori svizzeri Marcel e Catherine Cellier che portarono all’attenzione di un vasto pubblico il “Mistero delle Voci Bulgare” e a Dora Hristova, direttrice del coro dal 1988. Si danza con “Davitchovo”, rivisitazione dei repertori della Tracia, regione transfrontaliera, mentre “Jamais trop près du soleil” è un ikariotiko, una danza dal tratto magnetico che ci conduce nell’isola di Ikaria, conosciuta come la “Cuba greca”. Un’altra danza, in sette tempi, “Pont balkanique”, unisce Transilvania e Macedonia. Il brano “Cu speranţă” è dedicato a Speranţa
Rădulescu, figura chiave della musicologia e dell’etnomusicologia romena, scomparsa nel 2022. Appassionata ricercatrice, Rădulescu ha dedicato la sua vita alla musica tradizionale rumena, fondando la collezione Ethnophonie, cruciale per la diffusione dei repertori popolari della Romania e delle minoranze etniche del paese danubiano, e per il sostegno di musicisti locali come i celebri Taraf de Haïdouk. La musica lăutăreasca ritorna protagonista con “Mătase cu flori”, per poi spostarsi sui ritmi di mazurka e honga con “Luftmensh”, un richiamo al mondo yiddish degli shtetl. Si prosegue con una suite di danze, “Pe trei, pe şase”, che ci porta in Oltenia. Attraversando i Balcani, è impossibile non pensare al repertorio dei Rom: ecco allora “Les étoiles comme héritage”. Il quinetto chiude con “Sous la montagne bleue”, omaggio alla Macedonia e a Jean Peyrissac (1895-1974), pittore e artista francese. Durante la Prima Guerra Mondiale, Peyrissac realizzò una serie di acquerelli che ritraevano la vita quotidiana dei contadini macedoni, pubblicati nel suo libro “En Macédoine sous la Montagne bleue”.
Quello del Quintet Bumbac è un viaggio musicale colto, appassionato, coinvolgente e suonato con perizia, che merita di essere seguito.
Ciro De Rosa
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