“’Na Voce, ‘na chitarra e ‘o ppoco ‘e munno”, parafrasando la nota canzone di Ugo Calise e Carlo Alberto Rossi, potrebbe assurgere a titolo per la diciassettesima edizione del Premio dedicato alla memoria umana e artistica di Andrea Parodi, organizzato dalla Fondazione Parodi, presieduta da Valentina Casalena, e diretto artisticamente da Elena Ledda. Sì, perché la maggior parte dei nove concorrenti avvicendatisi sul palco del Teatro Massimo di Cagliari, dal 10 al 12 ottobre, si accompagnava con una sei corde. La vena cantautorale multilingue ha avuto il sopravvento nella selezione dei nove finalisti: tutte voci di sostanza, beninteso, ciascuno con personali sfumature timbriche e con diversità di approccio e sceneggiatura sonora. Come sempre, in aggiunta al contest ospitato dal bello e polifunzionale Teatro Massimo, pure tempio del jazz cagliaritano, non sono mancati appuntamenti collaterali: i seminari sui diritti degli artisti interpreti ed esecutori a cura di Andrea Marco Ricci (Nuovo IMAIE) e quello sul diritto d’autore, di Claudio Carboni (musicista e rappresentante della SIAE); le presentazioni di “Fortunate possibilità”, disco-libro di Andrea Andrillo (Premio critica 2023 al Parodi) e Alessandra Fanti (S’ardmusic/Abbà Edizioni), con interventi di Duccio Pasqua e Michele Palmas, e del volume “Luigi
Tenco. Lontano, Lontano. Lettere, racconti, interviste” (Il Saggiatore), con la curatela di Enrico de Angelis ed Enrico Deregibus in cui gli autori hanno interloquito con Elisabetta Malantrucco. Quest’ultima, insieme a Marco Lutzu, ha delineato la figura imprescindibile della folk singer Maria Carta, a trent’anni dalla scomparsa di questa voce che ha personificato l’isola, indagando preziosi materiali depositati negli archivi RAI. Altro appuntamento di peso, la proiezione di “Miradas”, il docufilm di Tommaso Mannoni e Mauro Palmas, che racconta la rassegna sulcitana “Mare e Miniere”. Ancora, il dialogo a più voci su “60 anni di folk revival”, a partire dal volume “Bella Ciao” di Jacopo Tomatis (Il Saggiatore), con interventi dello stesso autore, di Ignazio Macchiarella e di Marco Lutzu. Infine, un incontro con il fisarmonicista e pianista Antonello Salis, stella del firmamento jazz italiano (Premio Albo D’oro 2024). Altro Premio, il “World Music International” è stato conferito a Teresa Adelina Sellarés Parodi, veterana cantautrice argentina con grandi trascorsi anche politici, che è stata ospitata nella serata conclusiva di sabato quando ha eseguito una bella versione di “Sienda”, oltre a “Moriré in Buenos Aires” di Piazzola e un chamamé della regione del Litoral. Altri ospiti i vincitori dello scorso anno, i beneventani Osso Sacro
(che presentando la loro “Pruserpìna” e la parodiana “Abacada”, evidenziando la significativa crescita sia sul piano scenico quanto in termini di sostanza sonora), e due ugole di pregio come Flo, a sua volta trionfatrice nel 2014, e Patrizia Laquidara. Le cronache che hanno raccolto i commenti a caldo della direzione artistica e organizzativa parlano di bilancio positivo per la qualità musicale e per la risposta di pubblico. Non possiamo che convenire sul piano della risposta di pubblico e sulla qualità generale delle proposte. Nel fare un consuntivo di questa diciassettesima edizione, si deve riconoscere che i contendenti (ma l’atmosfera di questo Premio è rilassata e partecipativa, non alimenta o innesca tensioni fuori misura per la gara) sono quasi sempre in crescendo nell’arco delle tre esibizioni, con qualche eccezione, che non è mancata quest’anno. Di certo, la prova del live e pure l’interpretazione di un brano di Andrea Parodi diventano il discrimine che può modificare le attese della vigilia, derivanti dalla statura professionale del musicista o dal solo ascolto del file del brano iscritto al contest. Quest’anno si è capito dalla seconda serata (quando è stata accompagnata dalla band, mentre il primo giorno era solitaria in scena con la sua chitarra) che la catalana Sandra Bautista González con “Cartografia” (brano del 2022, ma contenuto nel suo più recente album
"Intuir el tigre" del 2024) aveva i numeri per superare di slancio gli altri concorrenti. Ha fatto centro con il suo timbro canoro dolce ma incisivo, un equilibrio tra trama melodica e fisionomia armonica pop influenzata dal mondo sonoro brasiliano e, soprattutto, un’interpretazione dal forte impatto (che hanno contrassegnato pure la versione profumata di rumba di “Pandela” di Andrea Parodi). Bautista ha raccolto il Premio assoluto e quello della critica più le menzioni per musica e arrangiamento, il Premio Bianca d’Aponte International e il cosiddetto premio dei giovani in sala. In tre anni è la seconda volta che artisti catalani si aggiudicano la kermesse cagliaritana (nel 2022 era toccato all’accattivante duo Ual-la!). La giuria internazionale ha incoronato “Prienda, zamba y chacerera”, composizione dell’argentino di stanza berlinese Gabo Naas, una chacarera che non si fa mancare passaggi improvvisativi e salti vocali di stampo jazz, rivelatori della fine tecnica del musicista nativo della Patagonia. Va detto che è stata notevole anche la sua interpretazione di “Inghirios” di Parodi. Proprio il premio per la miglior cover del repertorio del cantante di Porto Torres è stato attribuito ex-aequo al colombiano-barcellonese Valdi (che ha interpretato “Tiribi Taraba”) in gara con “Desamuleto”, eseguito in trio con le cantanti e percussioniste catalane Albaluz e Martha Kaoba, e a Cico Messina, musicista dalla
voce interessante, che ha proposto “Amargura” di Parodi, mentre nel contest si è esibito con una “Cleo”, che non è decollata appieno. Il musicista siciliano porta a casa anche la menzione dei concorrenti che si votano reciprocamente. L’autore carnico Alvise Nodale, con “Sunsûr”, ha ricevuto il riconoscimento per il miglior testo. Il brano è di grande spessore non solo per le atmosfere minimali che Nodale sa creare con la sua chitarra, per lo speciale timbro vocale dell’artista carnico, ma anche per la singolarità della sua poetica musicale che attinge ai canoni della versificazione e ai moduli della canzone friulana tradizionale. Sicuramente avrebbe meritato di più. Pure ci ha impressionato l’ungherese di residenza friulana Andrea Bitai (voce e violoncello elettrico, pizzicato e sfregato con l’archetto, e loop) accompagnata dalle percussioni di Francesco Clara e dalle tabla di Sanjay Kansa Banik (già con Orchestra di Piazza Vittorio). Bitai ha un lungo percorso formativo che parte dalla partecipazione al movimento revivalistico della Tànchaz a Budapest, passando per lo studio della musica e di cordofoni greci, fino a misurarsi con il violoncello elettrico e con altri stimoli che arrivano dalla sua vita friulana che la porta a comporre nella lingua locale. La sua “Cheste no je la me cjase” ingloba ritmi “zoppi” di area danubiana e
un testo che mette al centro la tragica questione dei matrimoni combinati, ma nell’arco dei ter giorni non trova la chiave performativa tale da fare breccia nelle giurie; eppure, è tra le cose più interessanti ascoltate da una strumentista e cantante il cui orizzonte creativo combina un percorso di ricerca ma anche di
appartenenze plurime. Gli altri finalisti sono stati i napoletani Cristina Cafiero (“Chiammame”) e Carlo Vannini (“Tammurriata d’a munnezza”) e la lucana Chiara D’Auria (la sua “Uardò” in dialetto gallo-italico della lucana Tito). Come detto, la serata finale ha visto in scena Antonello Salis, vincitore del Premio Albo d’oro, assegnato a personalità che abbiano contribuito a diffondere e promuovere la Sardegna e la cultura sarda. Il musicista di Villamar è stato protagonista prima in solo e poi insieme a Elena Ledda (voce), Mauro Palmas (liuto cantabile), Silvano Lobina (basso), Marco Argiolas (clarinetto e sax soprano) e Andrea Ruggeri (batteria) di due superlative e toccanti versioni della poetica “Sa Pregadorìa” e del canto “Galluresa”. Il Premio Parodi diventerà maggiorenne il prossimo anno. Vedremo cosa accadrà. Si perpetuerà il format attuale? Sul piano artistico, continuerà il trend cantautorale, con enfasi collocata su voci, che ha trionfato nelle scelte dei selezionatori che quest’anno hanno esaminato nelle diverse fasi di scrematura almeno trecento brani? “Canzone cosmopolita”, è stata definita con un’accattivante espressione altrove. Tuttavia, i concorrenti non sono presentati con la loro città o paese di provenienza e con la lingua dialetto in cui cantano? Piuttosto che “rivendicare il mondo” o “nostra patria è il mondo intero”, mi sembra che si riconoscano o, perlomeno, siano rappresentati nella loro dimensione di appartenenza locale spesso molto enfatizzata. Certo le influenze e gli incroci sonori, sempre esistiti, si sono accentuati in tempi globalizzati e le identità, come la musica, sono in transito e in trasformazione:
sempre. Però uno scavo più profondo nel corpo delle forme di tradizione orale gioverebbe all’originalità del Premio in un’Italia caratterizzata da bulimica fioritura di concorsi per cantautori/cantautrici. Ma altre domande si fanno strada: non è che a monte sia imperante il modello di una vocalità pop tutta a discapito della ricerca e dello studio di timbriche e di espressività “altre” di derivazione tradizionale orale? E non è possibile che tra gli iscritti (con la necessaria presenza per soddisfare i bandi Nuovo Imaie di un consistente numero di under 35) che danno maggior peso alla “radice” popolare si riscontrino capacità canore e strumentali al di sotto di un livello standard? In entrambi i casi ben poco potrebbero fare i selezionatori e i giurati della finale di fronte a omogenizzazione o a livelli modesti. In altre parole, questo passa il convento e occorre adeguarsi! Permane il rischio che una manifestazione che porta “world music” nel titolo si appiattisca? Sappiamo che “world music”, espressione creata per categorizzare soprattutto musiche extra-occidentali ormai molti decenni fa, è stata decostruita da tempo, è una categoria non del tutto appropriata, per alcuni perfino superata e discreditata. Peraltro, si può ancora parlare di musiche direttamente legate ai patrimoni culturali di Paesi e regioni di origine di fronte alle interconnessioni che accompagnano i fenomeni globali? Una selva di domande da cui è difficile districarsi con risposte univoche, almeno in questa sede. Magari a offrire idee e buone pratiche per un contest dedicato alle “musiche del mondo” potrebbe essere il numero non proprio sparuto di festival ed expo musicali “trad e world-oriented”.
Ciro De Rosa
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