“Miradas” (“sguardi” in sardo) è il docufilm per la regia di Tomaso Mannoni e Mauro Palmas che racconta la fortunata esperienza di Mare e Miniere, rassegna di musica, teatro e danza popolare, nata nel 2005 e che, ogni anno, si snoda dalla primavera all’autunno, irradiandosi tra vari centri della Sardegna. Nell’arco dei cinquantanove minuti del lungometraggio, si susseguono musiche, suoni, danze, colori, parole e luoghi di straordinario, componendo con incredibile forza evocativa un racconto a più voci che ci restituisce tutta la bellezza di questo festival unico nel suo genere. Ne abbiamo parlato con Mauro Palmas e Elena Ledda, in occasione della presentazione andata in scena a Roma lo scorso 24 maggio, durante il Festival Popolare Italiano.
Mare e Miniere quest’anno è giunto alla sua diciassettesima edizione. Prima di addentrarci nel raccontare “Miradas”, il docu-film per la regia di Mauro Palmas e Tommaso Mannoni, che ne coglie in modo mirabile lo spirito profondo, mi piacerebbe ripercorrere la storia di questo festival itinerante che attraversa in lungo e in largo la Sardegna e che si snoda lungo tutto l’anno…
Mauro Palmas - E' vero, siamo alla diciassettesima edizione, ma le radici di questo festival sono risalgono a oltre vent’anni fa. Mare e Miniere nasce, infatti, nell’ambito di alcuni progetti interregionali che coinvolgevano la Toscana, la Sardegna e altre regioni, gestiti dalla
Comunità Europea, ed organizzati dalla Società Umanitaria di Carbonia e Iglesias. Siamo andati avanti per alcuni anni, poi è venuto a mancare il contributo della Comunità Europea, sono anche cambiate le giunte locali e praticamente la rassegna Mare e Miniere è diventata Miniere di Mare e l’hanno spostata da un’altra parte, utilizzando i fondi per gestire non ricordo quale coppa nautica e, dunque, l’esperienza di Mare e Miniere si spense. Io ero il direttore artistico di quella rassegna e, dopo un paio d'anni, abbiamo deciso di riprenderla e di iniziare un nuovo percorso che chiaramente ripercorreva innanzitutto le zone minerarie e quelle di mare della Sardegna, il Sulcis e non solo, perché avevamo rapporti con Sassari, Ittireddu, ma anche con altri comuni come Muravera che sta sulla costa orientale. Insomma, Mare e Miniere ha ripreso vita, ma a caratterizzarla per com’è attualmente, è stata l’introduzione dei Seminari, la cui direzione didattica è di Elena Ledda.
La peculiarità di Mare e Miniere è proprio la presenza di un ricco percorso formativo accanto con seminari, workshop e laboratori, accanto al cartellone con concerti, spettacoli teatrali, presentazioni…
Mauro Palmas – Abbiamo voluto coprire uno spazio vacante. Nessuno si occupava in modo sistematico dell’aspetto formativo nell’ambito della musica popolare. C’era poi anche l’esigenza di portare il pubblico all’interno di luoghi particolari dove nessuno avrebbe mai pensato di fare concerti. E' nato, così, “Muidas”, un programma speciale di Mare e Minere, pensato per luoghi particolarmente suggestivi dal punto di vista naturalistico. Inizialmente portavamo l’amplificazione sui cavalli, perché bisognava fare dei percorsi di un'ora, o un'ora e mezza, per raggiungere il luogo del concerto. L’idea era quella anche di fare promozione del territorio e promozione turistica, in particolare nei luoghi dove abbiamo tenuto le diverse residenze Sant’Antioco, Iglesias e Portoscuso…
A Portoscuso la Vecchia Tonnara “Su Pranu” è diventata un po’ il luogo dell’anima di Mare e Miniere…
Mauro Palmas – Chi ha vissuto l’esperienza dei Seminari o semplicemente è venuto a vedere i concerti si è reso conto che quello è un luogo magico, perché è all’interno di un paesino, proprio in riva al mare con una piccola spiaggia poco distante…
I seminari vedono protagonisti allievi provenienti da tutta Italia e dall’Europa che per una settimana sono impegnati in due sessioni di studio, la mattina e il pomeriggio e, alla fine,
Elena Ledda – L’intento iniziale era lasciare qualcosa dietro di noi. Ognuno di noi ha alle spalle un percorso artistico lunghissimo e man mano che andiamo avanti abbiamo la consapevolezza che questo patrimonio rischia di perdersi ed essere dimenticato. Noi abbiamo avuto la fortuna di iniziare quando tutti i maestri erano facilmente raggiungibili. Se volevo sentire un anziano cantadores a chiterra o il più grande suonatore di launeddas, prendevo l’auto, e li raggiungevo. Questo oggi non è più possibile. Ci siamo posti, dunque, il problema di aiutare le nuove generazioni e anche coloro che non hanno avuto la possibilità o la fortuna, come noi, di incontrare i maestri, e così abbiamo deciso di dedicare il nostro tempo, una volta all’anno, all’insegnamento. A quel punto viene tutto più facile, perché noi sappiamo che per una settimana noi ci alziamo e stiamo insieme alla signora di Portoscuso, ma anche alla professionista che vuole migliorare, che vuole approfondire le proprie conoscenze musicali.
La lista dei professionisti che si sono formati e che si formano ai Seminari di Mare e Miniere comincia ad essere abbastanza lunga…
Elena Ledda - Assolutamente! Questa varietà è molto bella perché, in quella settimana, le signore di Portoscuso si dedicano completamente ai Seminari e non esistono neppure i mariti… Ai professionisti,
invece, viene data la possibilità di approfondire le loro conoscenze musicali, lavorando a stretto contatto con Luigi Lai, Mauro Palmas, Riccardo Tesi, o Andrea Piccioni. Condividere con Luigi Lai quei giorni credo sia un esperienza importantissima, perché è un monumento non regionale e nemmeno nazionale, ma mondiale nell’ambito della musica popolare. E’ nato nel 1932..
Mauro Palmas - Precisiamolo: il Dottor Luigi Lai, visto che è stato insignito del prestigioso riconoscimento di una laurea honoris causa dall’Università di Bologna.
Elena Ledda – Poter stare a contatto con lui per una settimana, anche se non si è interessati ad imparare le launeddas, è un esperienza indimenticabile. Osservare come insegna, come racconta, come respira, lascia veramente il segno, anche se poi mai nella vita potrà o vorrà suonare le launeddas. È tutta una magia veramente. Io, in verità, non so neppure come riusciamo poi a salire sul palco a volte e a fare anche cose belle che, quando le sento, mi chiedo: "siamo veramente noi?". La musica popolare è sopratutto lo stare insieme e la condivisione.
Mauro ci puoi raccontare della realizzazione di “Miradas”? Quali sono state le difficoltà che avete incontrato?
Mauro Palmas - I cinquantanove minuti e trenta secondi del film provengono da circa dieci anni di riprese fatte durante i Seminari; quindi, quello che c’è non è il meglio di Mare e Miniere, ma piuttosto quello che abbiamo costruito e montato in base ad una narrazione. Avevamo migliaia e migliaia di ore di girato e di queste ne abbiamo scelte centonovanta e per realizzare il film ne abbiamo dovute guardare almeno centonovantotto. C’è stato, insomma, un grande lavoro e la cosa drammatica è stata usare le forbici, perché abbiamo tagliato delle cose bellissime che fanno parte del patrimonio che abbiamo e che speriamo di poter rendere fruibile al più presto, mettendo tutti i filmati online o trovare un modo affinché possano essere visti.
Mare e Miniere è stato anche un importante incubatore di produzioni originali…
Mauro Palmas - Abbiamo tanto materiale su Luigi Lai, sul Coro di Santu Lussurgiu che per noi è importantissimo e il cui impianto strumentale non esiste più perché è venuto a mancare “su bassu” Giovanni Ardu. Il coro è cambiato totalmente oggi, perché Giovanni come "su bassu" era tra i più belli e intensi della Sardegna. Tutte queste cose sono documentate, perché esistono altri filmati paralleli che noi abbiamo fatto vedere al pubblico. Per altro, poi, in Sardegna ormai è quasi impossibile entrare e quasi impossibile uscire perché siamo ostacolati delle compagnie aeree. Ho la continuità territoriale, quindi pago 147 euro per andare da
Cagliari a Roma e il mio strumento che deve viaggiare accanto a me non gode della continuità territoriale; quindi, in base all’algoritmo può pagare anche 6-700 euro. Per altro, con le nuove regole, l’extraseat per lo strumento deve essere autorizzato 24 ore prima, telefonando ad un numero sempre difficile da contattare. Viaggiando con due strumenti, ho necessità di due extraseat, perché l’altro strumento è più piccolo e non arrivando a terra deve viaggiare sdraiato tra due sedili. Abbiamo, così, cercato di fare di difficoltà virtù dando vita all’Orchestra Poco Stabile di Mare e Miniere, composta dai musicisti dei seminari e ogni concerto diventa, così, una produzione originali.
C’è anche il concerto di presentazione del tuo disco “Palma de Sols” che avete fatto su una barca…
Mauro Palmas - Abbiamo utilizzato una piattaforma del porto di Cagliari e abbiamo raggiunto la costa di Sarroch verso Pula dove ci sono le rovine di Nora. Il pubblico ci aspettava su una scogliera. Durante la navigazione è stata montata l’amplificazione, il pianoforte e tutti gli strumenti. Una volta arrivati di fronte alla scogliera, dove il pubblico ci attendeva, abbiamo fatto il concerto. Per fortuna non c'era il mare mosso. Sono queste un po’ le pazzie che abbiamo fatto. Ad esempio, abbiamo portato il pianoforte in quel bosco tra le montagne di Sarroch e Teulada per il concerto di Rita Marcotulli. Abbiamo fatto i concerti sul Cammino
di Santa Barbara, ma durante il film si vedono anche le immagini del progetto sulla danza fatta in posti dove ci sono le cascate…
Spesso di discute della cesura che spesso c’è tra la musica popolare e le nuove generazioni che ascoltano soprattutto la musica pop. Mare e Miniere è riuscita, però, a cogliere il passaggio di testimone alle nuove generazioni perché sono diversi i ragazzi che frequentano i vostri seminari…
Elena Ledda - E’ una possibilità che noi offriamo, ma non è certo sufficiente. La musica popolare ha bisogno di essere vissuta, di essere amata, ma anche di essere contemporanea. Io personalmente mi lamento spesso di una cosa, fino agli anni Settanta, forse i primi anni Ottanta, in Sardegna, come sicuramente avveniva anche dalle altre parti, i cantanti e i musicisti popolari testimoniavano quello che succedeva. Spessissimo si raccontavano le tragedie, le proteste, oggi quello che si canta sembra assolutamente scollato da quello che succede e non solo nella musica popolare, ma anche in quella pop. Io frequento moltissimi festival e mi rendo conto che se io sentissi una canzone di questi ragazzi non capirei quello che sta succedendo adesso. Invece, la musica popolare deve essere viva, deve raccontare. Io mi batto spessissimo con i cantori anche tradizionali perché la musica popolare oggi non racconta la vita e quello che ci circonda.
Elena Ledda - La “Corsicana” che tutti ritengono sia uno dei canti tradizionali per eccellenza, è arrivata in Sardegna negli anni Cinquanta, grazie a Ciccheddu Mannoni, considerato tra i più grandi cantadori della tradizione sarda, che ascoltò in Corsica questo canto in tonalità minore che da noi non esiste. Ha cominciato a cantarlo in minore e con la chiusura in maggiore è diventato un canto tradizionale sardo. In Sardegna tutti i canti che sono considerati classici come quello in fa diesi o in si bemolle, sono tutti moderni ed erano scritti dai cantadores. C'è un altro equivoco anche, che per esempio, cose che sono inventate totalmente sono considerate tradizionali. Parlo ad esempio dei gruppi folkloristici che a guardarli sono bellissimi, ma è impossibile che in un paese i vestiti vestissero tutti uguale: ricchi, poveri, contadini, medici e avvocati. Tutti vestiti uguali, ballano, fanno delle coreografie e si sentono portatori della tradizione. O ancora un altro fenomeno che c’è in Sardegna è quello dei cori polifonici che non sono mai esistiti. Da noi esistono i coro a quattro voci che fanno i canti a tenore nei quali ci sono quattro voci soliste che cantano insieme, ma non è intesa come la polifonia. Eppure, in Sardegna in un centro piccolo come Nuoro ci saranno trenta cori polifonici, cantano tutti. La cosa strana è che a Nuoro è nato questo fenomeno.
Salvatore Esposito con il contributo di Stefano Saletti
Miradas, regia di Tommaso Mannoni e Mauro Palmas, Mare e Miniere/elenaleddavox 2024
Le voci e i suoni che transitano in questo bellissimo documentario si configurano come un lungo flusso, un racconto infinito che abbraccia musica, canto, danza e terra. Un racconto che non ha una struttura narrativa stratificata e ordinata - l’ordine c’è, ovviamente, ma non come ce lo si aspetta dal linguaggio visivo. L’intenzione dei narratori - il regista e sceneggiatore Tomaso Mannoni, Mauro Palmas, musicista, compositore e direttore artistico di Mare e Miniere, Maria Gabriela Ledda, scrittrice, traduttrice e consulente linguistico per sardo, italiano e spagnolo - è far parlare gli agenti, cioè i soggetti attorno ai quali la rassegna itinerante di canto musica e danza popolare, avviata come il raccordo necessario di una visione più che inclusiva nel 2006, si avviluppa e si sviluppa. Con evidente naturalezza, il percorso di Mare e Miniere, che ricomprende i famosi seminari estivi di cui molto si vede nel documentario, si è ingrandito proprio nel processo di valorizzazione di un dato fondamentale: una consapevolezza, un sentimento primigenio di affezione, uno stupore che non svanisce nel guardare quella terra addosso al mare, una naturalità che si percepisce come una forza irresistibile, che prende forma e avvolge a ogni soffio di launeddas e di tenore. Insomma, pensare di non percepire quel senso di collettività - di cui si parla, direttamente e indirettamente, nel film - è praticamente impossibile. Ecco, la bellezza vera di questo racconto - che riflette certo quella del suo soggetto, ma non è scontato - è l’idea semplice e altrettanto, però, mistica che ne è alla base. Poggia i piedi su due ordini di significato. Uno è più “intellettuale”, perché è introdotto dal concetto di trasmissione e uso della cultura (non andiamo troppo a fondo con questo termine: sappiamo bene di che si tratta e basta, in questo contesto, avere in mente la Sardegna musicale di cui tanto, anche se non abbastanza, chi frequenta l’etnomusicologia e, in generale, le musiche popolari ha letto e ascoltato). L’altro è più integrale, meno flessibile, di per sé, nei confronti della rappresentazione, ma efficace nel racconto, se lo si sa interpretare: si tratta del patrimonio storico, dell’insieme delle espressioni che compongono ciò che percepiamo come parte della tradizione. Se questo è il tronco, quello intellettuale rappresenta i rami - sui quali, per una congiunzione di cui ringraziamo il cielo, si innestano i musicisti sardi (e non) che fanno da ponte, che sono le foglie che frusciano al vento e che, soprattutto, resistono senza staccarsi, quando questo soffia troppo forte. La narrazione di “Miradas” assume, poi, un senso più completo quando si comprende che punta su elementi evidentemente trasversali. Difatti, i gradi di consapevolezza, di conoscenza e di partecipazione, che si innestano su quel tronco, si moltiplicano proprio attraverso i seminari, che si svolgono ormai stabilmente nella suggestiva Tonnara “Su Pranu” di Portoscuso. Si tratta di un insieme di attività formative che, giocoforza, come si legge anche nel sito della rassegna, rappresentano il grande cuore pulsante del progetto. In ragione del fatto che, trasversalmente, includono neofiti ed esperti, bambini e adulti, e si mischiano a quella grande elaborazione che Mare e Miniere rappresenta meglio di ogni altro grande evento di world music. La sensazione più forte, infatti, è che nel suo insieme il progetto non miri a rappresentare qualcosa, cioè non è legato, come si potrebbe pensare, a una forma scontata di restituzione spettacolare. È piuttosto ben piantato sulla sicurezza di una propria autonomia, allacciata alla maestosità storica del canto, degli strumenti e dei suoni tradizionali. Questo non significa che il resoconto - e quindi la restituzione - non sia stato “preparato”: vi è un lavoro complessissimo di riflessioni e relazioni (connessioni e coinvolgimenti, studio e chilometri di musica suonata: penso a Mauro Palmas ed Elena Ledda, ma anche a tutti i musicisti coinvolti ogni anno - e che chi legge queste pagine conosce bene). Non significa che non si passi per le strade dello spettacolo: oggi la musica la si ascolta frontalmente, nella maggior parte dei casi, e non c’è nulla di male. Significa, però (e questo vale tanto), che nel contesto contemporaneo, il colloquio con gli elementi della nostra storia può avvenire senza eccessive trasfigurazioni. Cioè, si può raccontare, in ragione della sicurezza e della visione di cui sopra, senza nascondere - per paura di incomprensione o per non rischiare di parlare a vuoto - il discorso principale e, con questo, il fine del racconto. Da qui si torna alla forza centrale di “Miradas”, che ci insegna la chiarezza e, senza retorica, la fierezza e l’incanto di espressioni che hanno ancora molto da dirci.
Daniele Cestellini