Gli album tributo sono una materia difficile da maneggiare, tanto più quando si tratta di rendere omaggio a un autore così particolare e musicalmente influente come David Crosby. A livello personale poi si tratta di brani che sono stati ascoltati innumerevoli volte, e la cui versione originale su album è quella a cui più si è affezionati. Fatta questa duplice premessa possiamo affermare senza alcun dubbio che l’operazione culturale di reinterpretare quattordici canzoni del grande losangelino è perfettamente riuscita. L’album segue a distanza di pochi mesi “Music is love – A concert celebrating the music of David Crosby” (etichetta Route 61Music), che raccoglie le registrazioni di un concerto tenutosi a Roma nell’ottobre 2023, e che in comune con “Long time gone” ha la presenza di Jeff Pevar, il chitarrista che, dopo la collaborazione con CSN ha fondato, insieme a Crosby e a James Raymond, il trio CPR.
La presenza di un musicista che è stato al fianco di Crosby nella fase finale, ma quanto mai feconda, della carriera del grande losangelino ha dato spessore al progetto, e ha regalato un seminedito. Si tratta di “Higher place”, il pezzo che apre l’album e il cui testo è lo stesso di “Charlie”, apparsa nell’album “Crosby e Nash” del 2004. Crosby diede il testo sia a Pevar che a Dean Parks, ed anche se alla fine scelse la versione di quest’ultimo, lasciò a Pevar la canzone, che qui è diventata un brano fortemente innervato di blues. A seguire, la voce di Luisa Capuani e il suono dei Rawstars danno vita a una bellissima versione venata in jazz di “Almost cut my hair”, mentre Alberto Grollo e Jeff Pevar ci propongono “Laughing”, che seppure leggermente accelerata rispetto all’originale, ne mantiene lo spirito psichedelico. La “Music is love” di Jackie Perkins (ancora con Jeff Pevar) viaggia in territori musicali al confine tra jazz urbano e echi canadesi, così come “Triad”, interpretata da Gigi Cifarelli, mette in evidenza il lato più sperimentale di Crosby. Michele Gazich e Andrea Del Favero ci regalano una versione rallentata, scarna ed onirica, quanto mai intensa di “Orleans”, che precede “Carry me”, intima e calda grazie alla voce e alla chitarra classica di Andrea Luciani, all’intro vocale di Martha Joni Slomp e agli interventi al violino di Antony John Silveri e al piano di Alberto Grollo. “Guinnevere” è eseguita come uno strumentala da Clive Carrol, e se nella prima parte è assolutamente fedele all’originale, mano a mano che prosegue assume toni mediterranei, fino a sfumare in una sorta di flamenco. È invece imperniata sulla voce di Giancarlo Masia “Deja vu”, a cui le chitarre suonate dallo stesso Masia, il mandolino di Stefano Santangelo, il violino di Alessandro Chiarelli e il basso e le percussioni di Maurizio Contin forniscono una base ideale. Con “Morrison” si entra nel repertorio del Crosby degli ultimi decenni, e le sue più recenti sonorità sono perfettamente rese dalla Carry On Band, con il contributo di James Raymond, uno dei figli di Crosby e terza lettera dei CPR. “Anything at all” ci riporta al Crosby dalle sonorità solari e marine del secondo “CSN” (1977) ottimamente rievocate dal canto di Joe Slomp e dalle chitarre di Stefano Micarelli. Con la delicata, sognante e a tratti struggente “The lee shore” del Smallable Ensemble si viaggia ancora più indietro nel tempo, fino al 1971 e al fondamentale “Four way street”, per poi passare a un’elaborata “Vagrants of Venice” che la chitarra di Gavino Loche colora di Mediterraneo Il finale è affidato a Maurizio Bettelli (chitarra) e Amos Amaranti (chitarre), con “Paint you a picture”, perfetta nella sua intensità per chiudere un album bello, vario ed interessante, che apre nuove prospettive di ascolto del repertorio dell’immenso David Crosby.
Marco G. La Viola
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