Maestro dei tamburi a cornice, Andrea Piccioni è ospite con una certa regolarità delle nostre pagine, sia per le tante collaborazioni che costellano il suo percorso artistico, sia per i suoi dischi come solista, e non da ultimo per la sua importante attività didattica ed accademica presso il Dipartimento Nuove Tecnologie e Linguaggi Musicali – Area Musiche Tradizionali del Conservatorio “Tchaikovsky” di Nocera Terinese (Cz). In questo contesto si inserisce la recente pubblicazione de “Il Tamburello. Arte, Storia, Tecnica”, volume, edito da Kurumuny nel quale viene offerta al lettore al possibilità di addentrarsi nella conoscenza dello strumento e delle sue diverse varianti regionali e musicali, partendo da una ricostruzione storica, per giungere ad una serie sistematica di esercizi volti all’apprendimento delle tecniche esecutive, dei modi e dei ritmi. A breve distanza da quest’ultimo, il percussionista laziale ha dato alle stampe “Rōnin”, gustoso Ep che lo vede riprendere il suo percorso discografico come solista a quattro anni da “Tamburo e Voce” e cristallizza le sue più recenti esplorazioni sonore e compositive volte ad ampliare sempre di più la gamma espressiva dei tamburi a cornice. Abbiamo incontrato Andrea Piccioni sul palco del Festival Popolare Italiano per farci raccontare questa sua nuova opera editoriale, e successivamente abbiamo ripreso il discorso per approfondire con lui le ispirazioni alla base del suo nuovo lavoro discografico.
Ad aprile del 2024 hai pubblicato per Kurumuny, “Il Tamburello. Arte, Storia, Tecnica”, un volume molto articolato che è qualcosa di più di un semplice metodo…
È il frutto di circa vent’anni di ricerca, in cui ho approfondito la storia dello strumento e il suo itinerario attraverso la musica tradizionale e colta, una storia che mi sono reso conto è sostanzialmente in buona parte misconosciuta . Anticamente era chiamato tympanon, tamburo diffuso nella Magna Grecia, al quale - in epoca romana – sono stati aggiunti dei sonagli ed è nato, così, il cymbalon, radice del nome con il quale è ancora conosciuto in alcuni parti d’Italia (cimmulu, cembalo, cembele, zimbaleto). Era lo strumento femminile per eccellenza e, ancora oggi, ha una riflessa connessione con il sacro e il rituale. In Italia abbiamo due strumenti straordinari come il tamburello diffuso su gran parte del territorio e la tammorra in Campania. Se il tamburello era lo strumento della festa, la tammorra rappresentava quello spirituale, in passato utilizzato unicamente all’interno di elaborati rituali legati prevalentemente al culto Mariano ma di acclarata origine pre-cristiana. Sono due famiglie che procedono in parallelo. Nel periodo a cavallo tra Settecento ed Ottocento, il tamburello cominciò a diffondersi nelle corti europee, grazie all’influenza delle bande di Giannizzeri che erano popolarissime all’epoca e nel libro c’è un ampia iconografia che le riguarda. Molti di loro erano dei coscritti africani e portavano con sé la loro estetica del ritmo. La cosa interessante è che, seguendo la moda dell’epoca, grandi compositori come Mozart, Dale, Clementi, Steibelt, cominciarono a scrivere composizioni cameristiche o orchestrali con il tamburello, e fiorirono diversi metodi didattici, veri e propri manuali che sono giunti fino a noi. Io ne ho recuperati tre ottocenteschi e uno di questi riporta ventotto colpi in notazione. Unitamente a questo stanno venendo fuori anche le composizioni di questi autori, è un repertorio enorme che era caduto nell’oblio e che stiamo cercando con i miei allievi in Conservatorio di attualizzare e riportare alla luce. Per altro, il tamburello è lo strumento più rappresentato
nell’arte figurativa e proprio in quel periodo si iniziò ad utilizzare il nome tamburello in quanto utilizzato sui metodi e gli spartiti dell’epoca che erano ampiamente diffusi in tutta Europa, nome che deriva dal francese “tamburìn” (piccolo tamburo) e che prese, poi, tutte le varie connotazioni regionali come ad esempio tamburreddu in Salento, tammureddu in Sicilia, tamburino in Calabria.
Il volume è arricchito dalle partiture e da un ricco compendio di video…
Il libro parte proprio dalle basi, in questo senso la tradizione Italiana per me è una piattaforma di partenza da cui spiccare il volo. In quelle pagine c’è la mia esperienza, la mia visione dello strumento e tutte le potenzialità espressive che ha. Le partiture sono frutto di un lavoro fatto assieme ad altri colleghi e studiosi negli ultimi anni, e volto a creare una notazione contemporanea per tamburi a cornice che fosse fruibile, semplice, ma riuscisse a trasmettere tutte le sfumature dello strumento. Ci sono poi i video che sono sul sito di Kurumuny e sono accessibili tramite il QR Code. Il libro parte veramente da zero, io non affronto le tecniche tradizionali perché la tradizione è qualcosa che va vissuta in un contesto dedicato, certamente non qualcosa che puoi assorbire dalle pagine di un libro o imparare da un video su YouTube. Vorrei sottolineare però l’importanza della pratica che per me ha un significato “autotelico”, in quanto atto trasformativo nel quale immergersi completamente perché si fa per soddisfazione personale e non esteriore. Nel momento in cui si cerca fuori questa soddisfazione si perde il senso di quello che si fa. Nelle mie lezioni spendo molto tempo su questo aspetto, sia con i principianti, sia con i bambini, sia con gli allievi del Conservatorio. Cerco di far capire qual è la relazione tra il corpo, il respiro e lo strumento e
come questi elementi siano collegati. Attraverso una pratica consapevole si ha un potere trasformativo nella propria vita che è straordinario. Questo è uno di pilastri del mio metodo.
Questo non è il tuo primo libro sui tamburi a cornice…
Il mio primo manuale didattico per tamburello risale al 2006, pubblicato dalla compianta rivista “Percussioni” per cui scrivevo articoli sulla didattica dei tamburi a cornice e recensioni. Nel 2016 ho pubblicato "Il ritmo della parola", un manuale di base sull’arte della vocalizzazione del ritmo e delle tecniche di conteggio, un metodo particolare che trae ispirazione dal solkattu, un linguaggio ritmico del Sud dell’India in uso alle principali scuole non solo di percussioni, ma per la didattica in generale. Sono inoltre autore con Francesco Magarò e Lorenzo D'Erasmo di “Musica per tamburi a cornice”, una raccolta di composizioni dei maggiori autori del settore uscita un paio di anni fa per la Da Vinci Publishing.
Nel corso degli anni, la tua attività didattica è stata molto intensa dal Conservatorio ai vari corsi che tieni abitualmente…
Da tre anni insegno presso il Conservatorio “Tchaikovsky” di Nocera Terinese, all’interno del Dipartimento di Musiche Tradizionali è attivo un corso accademico di tamburi a cornice oltre a quelli di Chitarra Battente, Organetto, Fisarmonica, Zampogna. Questa è la nostra unicità perché, nonostante esistano altri corsi di musiche tradizionali in Italia, il nostro è attualmente l'unico con un indirizzo specifico in strumento, sono profondamente grato di far parte di questo team di docenti sotto la guida del nostro Direttore Valentina Currenti, che si batte assieme a noi per il riconoscimento di queste materie di
studio ai più alti livelli istituzionali. Ci si laurea, infatti, in tamburi a cornice o chitarra battente e questa è un'occasione straordinaria per togliere di mezzo ogni preconcetto e stigmatizzazione su questi strumenti. Innanzitutto, perché il tamburello italiano è tra gli strumenti a percussione più complessi al mondo e merita di stare accanto ai grandi tamburi del mondo come le tabla indiane, il tombak persiano, la batteria ect., e anche in virtù della sua storia millenaria fra musica tradizionale e colta. L’esperienza in Conservatorio mi ha portato a dover strutturare in modo sistematico tutti i percorsi che avevo affrontato nel corso della mia vita artistica, cercando nuove vie di trasmissione in funzione dell’ambito accademico di alta formazione in cui mi trovo. L’idea è quella di mettere insieme il repertorio classico e quello tradizionale, che non ne rappresentano l’interezza ma una parte di un insieme più grande dove ci sono anche le composizioni contemporanee perché oggi lo strumento viene utilizzato in una moltitudine di generi musicali, finanche l’elettronica. Durante la mia carriera ho avuto il privilegio di incontrare grandi musicisti arabi, turchi, persiani, cinesi, africani, suonando sempre il tamburello che è uno strumento in grado di dialogare ai massimi livelli con tutti gli altri.
Come si è evoluto in questi anni il tuo approccio ai tamburi a cornice?
Questa domanda implica riflessione e autoanalisi. Non so se il termine evoluzione rappresenti il percorso nel suo intento, ma sicuramente oggi ho una consapevolezza di me come individuo e artista che non avevo in passato. Un aspetto importante di questo mio percorso è legato al fatto di aver scoperto di essere affetto da ADHD, una neurodivergenza dello spettro autistico. Non si tratta di una disabilità ma di una differenza nel funzionamento del cervello, anzi alcuni studiosi affermano che questa può avere anche dei vantaggi. Autismo, autismo di livello 1 e ADHD sono forme di neurodivergenza che interessano la comunicazione, l'interazione sociale e il comportamento. Questa scoperta, avvenuta abbastanza recentemente ed in età matura, è stata paradossalmente per me una sorta di liberazione e di risveglio; per tutta la vita ho sentito in me una diversità che spesso mi ha causato problemi, soprattutto da bambino e da ragazzo, in particolare nell’integrazione e nella relazione sociale. Ho da sempre una sorta di ossessione riguardo ad alcuni argomenti, che mi hanno accompagnato per tutta la vita. I tamburi ad esempio sono sempre, costantemente nella mia mente… una parte del mio cervello è sempre lì a praticare, suonare, esplorare, farsi domande e cercare soluzioni. Oramai questo è un processo inconscio ed automatico, ma avendo automatizzato anche gli aspetti legati all’uso dello strumento analizzandone minuziosamente le meccaniche posso dire che il 90% della mia pratica si svolge dentro di me. Il mio essere ADHD inoltre mi spinge costantemente a cercare la novità, la cosa che accenda il mio fuoco e mi faccia saltare dal letto la mattina, quindi questo mi porta ad esplorare non solo l’aspetto tecnico ma anche le possibili “estensioni” della voce del mio strumento, e qui è entrata in gioco l’elettronica e l’effettistica, aprendomi nuovi orizzonti e schiudendomi un mare di possibilità in cui mi sono immerso e attraverso il quale sta cambiando il mio approccio e la mia visione dello strumento, una nuova sintesi alla ricerca della qualità del suono, del giusto Groove e della solidità dell’accompagnamento, sia in ensemble che da solo. Questo
Quali sono le ispirazioni da cui sono nati i brani del tuo nuovo Ep “Rōnin”?
L’ispirazione principale è stato il desiderio di raggiungere questo luogo interiore, questo spazio, che a volte ed in contesti particolari capita di raggiungere su di un palco, e sono quei momenti che restano scolpiti nel tuo cuore e ti fanno dimenticare tutti gli aspetti negativi del nostro lavoro come gli orari impossibili, i viaggi estenuanti, le oscillazioni emotive dovute alla lontananza da casa e dagli affetti, le relazioni talvolta tossiche, l’alimentazione e il sonno sregolati, ecco tutto questo è amplificato quando sei in tour costantemente e dopo un pò agisci e suoni come un robot, cercando di tenere insieme i tuoi pezzi… Poi una sera inaspettatamente accade la magia, le stelle sono allineate, ti guardi con i tuoi colleghi e incominciate a volare, e questo ti ripaga e cancella in un colpo solo tutto quello che hai vissuto e sofferto per arrivare a quel preciso istante di pura bellezza. Questa è stata l’ispirazione principale, la ricerca di quel luogo interiore, di quel sentire, di quella magia.
Quali sono le sostanziali differenze con i dischi precedenti?
La totale libertà espressiva che mi fornisce l’utilizzo dei pedali e degli effetti analogici e digitali, il ritorno ad un suono meno editato in post-produzione, il non utilizzo del click durante le sessioni di registrazioni anche nei brani in multitraccia, insomma la ricerca di un flow più profondo e avvolgente, il raggiungimento di uno spazio interiore fatto di silenzio e di quiete che si riempie con il suono delle mie note, nel quale mi ritrovo ad essere l’osservatore di un atto che accade spontaneamente e che mi tiene ancorato al momento, dimentico di tutto il resto.
Promuoverai l’Ep dal vivo?
Sto iniziando, mi piace suonare da solo, far conoscere il mio set-up live fatto ovviamente dei miei tamburi, i miei fidati pedali ed effetti, i marranzani e il mio handpan, far scoprire la moltitudine di mondi sonori racchiusi in questi elementi, ma confesso che ancora di più mi piacciono gli incontri musicali, l’interazione con artisti anche molto lontani da me, il dialogo… il mio intento è di coniugare entrambi questi elementi.
Andrea Piccioni, Il tamburello. Arte, storia, tecnica, Kurumuny 2024, pp. 140, euro 20,00
“Il tamburello. Arte, storia, tecnica” di Andrea Piccioni, si inserisce nel filone di pubblicazioni didattiche e divulgative dati alle stampe in tempi recenti dalla casa editrice salentina Kurumuny, fondata dal compianto Luigi Chiriatti e rappresenta un riferimento importante per quanti vogliano avvicinarsi allo studio del tamburello, principale strumento a percussione della musica tradizionale italiana. Frutto di diversi anni di studio, ricerche ed intensa attività didattica, il volume si propone di condurre il lettore alla scoperta dello strumento, partendo dalla sua storia dalle radici millenarie per giungere alle varianti musicali e regionali. Seguendo il fil rouge della storia si ripercorre il viaggio dei tamburi a cornice attraverso i secoli, la trasformazione dei modi e delle pratiche, e dei riti a cui esso è collegato. Edito in formato 21x29,7, il volume si compone di centoquaranta pagine suddivise in quattro sezioni, corredate da un corposo apparato iconografico. Nella prima parte viene proposto un percorso introduttivo incentrato sulla conoscenza dello strumento sotto il profilo tecnico e costruttivo e sul ruolo che ha giocato nell’ambito della tradizione orale. La seconda sezione è dedicata alla ricostruzione storica dell’evoluzione del tamburo a cornice dal Culto di Bacco al Medioevo, passando alla sua diffusione nelle corti europee tra Settecento ed Ottocento, fino a giungere al suo uso in epoca contemporanea. In questo senso, prezioso appare il lavoro di Piccioni nel dissipare le nebulose informazioni storiche e i luoghi comuni che riguardano questo strumento. La terza sezione focalizza l’attenzione sulla pratica, sviluppata dall’autore negli anni e che contempla la conoscenza delle modalità in cui si sviluppa l’energia a livello fisico-motorio e la relazione tra corpo e tamburo, attraverso ricerca del giusto equilibrio nella postura ed esercizi di respirazione. A riguardo nell’introduzione, Piccioni scrive: “La pratica di questi meccanismi è in grado di sbloccare un livello di consapevolezza che agisce attivamente sul piano musicale e permea e compenetra ogni aspetto dell'esistenza, rendendoci non solo musicisti migliori, ma anche e soprattutto esseri umani in equilibrio”. Una volta acquisite le conoscenze di base, il lettore si potrà avvicinare alle potenzialità ritmiche ed espressive dello strumento, attraverso le diverse tecniche, specificamente concepite dall’autore o mutuate da altre tradizioni come quella araba, indiana, persiana, ect.. Completano il volume una ricca serie di partiture, a cui si aggiungono i video raggiungibili attraverso i QR Code presenti nelle varie pagine e nei quali l’autore illustra i colpi principali e le varie tecniche di rullo. Insomma “Il tamburello. Arte, storia, tecnica” ha il pregio di non porsi come un sostituto dell’esperienza o delle lezioni frontali, ma è un complemento importante ad esse, un occasione preziosa di approfondimento, utile sia agli addetti ai lavori, sia a coloro che vogliono avvicinarsi alla conoscenza di questo strumento.
Andrea Piccioni – Rōnin (Autoprodotto, 2024)
Il percorso artistico di Andrea Piccioni ci racconta di un musicista in continuo movimento, animato dalla tensione costante verso la ricerca e dall’esigenza di misurarsi con strumentisti, sonorità e generi differenti. La sua visione musicale aperta lo ha condotto, negli anni, a spaziare in lungo e in largo la tradizione musicale italiana e la world music, ma anche ad esplorare nuove tecniche e nuovi stilemi per ampliare sempre di più le potenzialità espressive dei tamburi a cornice. Significativi per comprendere il suo eclettismo sono i dischi realizzati con Masters Of Frame Drums, ma anche il pregevole “Upgrade” in duo con Francesco Loccisano ed il suo disco solista “Tamburo e Voce” del 2020. A quattro anni di distanza da quest’ultimo, il percussionista laziale torna con un nuovo lavoro in solo, “Rōnin”, Ep composto da cinque brani originali che, nel loro insieme, tratteggiano la figura del figura del Rōnin, metafora del musicista contemporaneo, come sottolinea il percussionista laziale nella presentazione del disco: “Rōnin, colui che, in solitaria, cerca una sua strada mettendo a disposizione le sue abilità nei contesti adeguati ma contemporaneamente portando avanti una sua ricerca spirituale, morale e artistica, come la celebre “spada santa” Miyamoto Musashi. I brani sono in gran parte frutto di improvvisazioni, non c’è editing nelle percussioni, quello che senti è quello che ho suonato”. L’ascolto ci conduce attraverso brani dalle atmosfere e dalle suggestioni differenti nei quali spicca la ricerca sonora condotta negli ultimi anni da Piccioni, esplorando nuove potenzialità espressive e sonore dei tamburi a cornice nell’incontro con l’elettronica. Ad aprire il disco è “Dreamland” la cui melodia sinuosa disegnata dall’handpan si arricchisce in crescendo con l’aggiunta del tamburello ad esaltare l’atmosfera sognante del brano. Si prosegue con “Barilli” nella quale tre marranzani sovrapposti e l’elettronica danno vita ad un intrigante dialogo sonoro con bodhran irlandese e tamburello. L’improvvisazione “Phase #4” riprende gli esperimenti con l’elettronica già ascoltati in “Upgrade” proponendo un serrato climax sostenuto dal tamburello filtrato dagli effetti e ci introduce al vertice del disco “Awase” nella quale spiccano le ardite architetture sonore con il synth che incontra bendir, darbouka e riq nella prima parte, mentre nella seconda fanno capolino il tamburello e l’elettronica. La seconda improvvisazione “Phase #6” nella quale ascoltiamo una ribeba piemontese filtrata attraverso un delay con octavier polifonico completa l’Ep lasciandoci intuire le traiettorie future del percorso di ricerca di Andrea Piccioni. Ne vedremo sicuramente delle belle.
Salvatore Esposito