Ruşan Filiztek, cantante e virtuoso di saz, il liuto dal manico lungo dell'Asia Minore, è anche un musicologo che ha approfondito questo tipo di studi all’ Università Sorbonne di Parigi. Ha cominciato la sua carriera viaggiando molto a bordo del suo strumento elettivo, a partire dalla nativa Anatolia si è poi spostato verso Istanbul, l’Iraq e la Siria e di questi territori ha esplorato a fondo la musica, prima di arrivare in Europa attraverso l'Andalusia e prendere la strada per Parigi. Il gruppo che lo accompagna in questo lavoro dal titolo “Exils” è formato da diverse anime musicali, quella flamenca del chitarrista François Aria, del percussionista Juan Manuel Cortes e dalla cantante Cécile Evrot, l’anima celtica del flautista Sylvain Barou, quella armena del suonatore di duduk Artyom Minasyan, quella barocca della violista Marie-Suzanne de Loye, quella greca della cantante Dafné Kritharas e, infine, quella jazzistica dei bassisti Leila Soldevila e Emrah Kaptan. “Questo album poteva essere realizzato solo dove sono riuniti tutti questi musicisti”, dice: “perché ‘Exils’ dispiega un tessuto di amicizie e complicità che va oltre i contorni di quello che comunemente chiamiamo gruppo”. D’altra parte Ruşan Filiztek è noto anche per aver collaborato con il grande Jordy Savall fin dal 2016 nel progetto Orpheus XXI, di cui ho parlato in occasione della pubblicazione di “Oriente Lux. Dialogue of souls”. Ascoltando il disco emergono due piste separate – anche se strettamente intrecciate – dove i maqam medio-orientali incontrano i compas e le falsetas dei palos flamenchi, con cui il maqam condivide il sistema melodico modale e il sistema ritmico additivo. Da questo lavoro si può perciò evincere, da una parte uno stile di stampo prettamente medio-orientale basato appunto sull'uso del sistema del maqam,
dall'altra l'uso di palos del flamenco andaluso, codificati dopo il Cante Jondo che comunque al mondo orientale deve le sue origini. A questa ultima categoria appartiene la prima traccia, “Çoxê Mino”, ‘eseguita nel palos della buleria, con compas in 12 e compresa nel cosiddetto “toque de fiestas” e la quinta “Soleà del Encuentro”, una soleà in stile molto tradizionale, (anche in compas di 12). Si tratta di un palos fondamentale del flamenco in cui si esterna tutta l’interiorità e il senso di solitudini derivanti dal Cante Jondo. È un brano dove, come chiarisce il titolo, oriente e occidente si incontrano, sia musicalmente attraverso gli strumenti, sia linguisticamente attraverso il canto. Influenze flamenche si sentono anche in “Aparanipar” nel ciclo ritmico dispari nella la decima, “La Traversia” che è cantata da una delle anime più flamenche del gruppo, Cécile Evrot, accompagnata da un coro, dalle palmas, dalle nacchere e dalla magistrale chitarra François Aria. Infine, il debito nei confronti del flamenco si avverte ancora nelle due ultime tracce dove si chiude il cerchio, trattandosi proprio di due bulerie, lo stesso palos con cui inizia il cd. ciliegina della torta è proprio il brano finale “Zyryab”, un chiaro omaggio ad uno dei classici del grande Paco de Lucia, interpretato con un personalissimo arrangiamento in cui ogni musicista si esprime con il suo caratteristico linguaggio. Particolarmente interessante la quarta traccia “Exilis”, che è anche il titolo di tutto il progetto, dove su un compas veloce di 6/8+3/4 trovano campo modi di improvvisare in interplay tutti gli strumenti della band. L’impronta
chiaramente medio-orientale si riscontra invece a partire dalla seconda traccia “Bisk”, ripreso poi nella ottava traccia “Hassan”, si tratta di uno struggente brano basato su un basso discendente ripetitivo dove il motivo portante è affidato al saz mentre le voci si sentono da lontano miste a suoni acquatici.
Atmosfere stilistiche dei Paesi ben conosciuti dal musicista, anche per il loro programma esplicitato nei titoli, si trovano invece nella terza traccia, “Kubar Yarê Esmerê”, in “Nomades” e “Neighborn”, dove maggiormente l’elettronica incontra l’acustico.
Nel caso ci dovessero essere dei dubbi sulle origini orientali del Cante Jondo, prima che del flamenco, eccoli tutti chiariti da questo cd che è un viaggio alla ricerca delle origini musicali di due luoghi fondamentali della storia musicale dell'uomo, senza però dimenticare che siamo nel terzo millennio e innovando quei linguaggi arcaici con attualissime trovate sonore e improvvisazioni. Veramente un ottimo lavoro.
Francesco Stumpo
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