Krilja – Sosnitsa/Salamander – Jojnes Trojm (Lilijans Musik, 2023)

È diventato piuttosto arduo superare le frontiere della Svezia per rimanere aggiornati su cosa succede da quelle parti in campo musicale, almeno per alcuni specifici generi musicali che non abbiano a che fare con il mercato pop. Ed è un vero peccato perché questo paese, al pari del resto dei suoi vicini scandinavi, ha una scena musicale tanto ricca quanto variegata: a parte il jazz e molta altra musica americana (blues, country, bluegrass, rockabilly, ecc.), esistono eccellenti artisti e gruppi che si muovono nel campo della tradizione musicale locale o più in generale della world music. In questo contesto multiculturale si inseriscono i titolari di questi due dischi i quali, benché accreditati a differenti ragioni sociali, sono in realtà frutto degli stessi identici musicisti. I Krilja sono un trio di Göteborg fondato nel 2010 da Marita Johansson che oltre a cantare suona chitarra e percussioni e da circa venticinque anni è impegnata nello studio e la ricerca del repertorio musicale delle genti Romani, senza trascurare di apprenderne i vari linguaggi e relative pronunce. Al suo fianco ci sono il violinista Jonas Liljeström e il chitarrista Emil Pernblad i quali sono pure compagni d’avventura nel Celtic Duo che, sarebbe inutile dirlo, si occupa di musica irlandese e scozzese e ha finora prodotto un unico e omonimo album infarcito di motivi tradizionali eseguiti più che decorosamente. Il primo fra l’altro è un musicista particolarmente eclettico perché nel corso della sua carriera più che trentennale ha fatto parte di diverse formazioni destreggiandosi con abilità anche fra folk, jazz, bluegrass e chissà che altro; il secondo invece viene dal flamenco, che ha studiato direttamente nella sua sede originaria, ed è considerato il massimo esponente di questo stile in Scandinavia. I Krilja fanno buon uso delle ricerche della Johansson e sono pertanto dediti al recupero del ricco repertorio musicale dei Romani, con una speciale attenzione per quelli originari della Russia (e, in misura minore, altre aree, in particolare l’Ungheria), come del resto recita il sottotitolo di “Sonitsa”, ovvero “Roma Music From Russia & Eastern Europe”, che ricalca quello del precedente lavoro – “Krilja” (Liljans Musik, 2021) - che merita di essere cercato anche solo per il preziosissimo libretto in cui è tracciata con molta cura l’origine e la storia di questo popolo tanto straordinario quanto emarginato e perseguitato. Marita ha una voce che forse non risalta più di tanto ma canta con rispetto e partecipazione ed è ottimamente assistita dagli altri due musicisti che forniscono un adeguato accompagnamento strumentale ritagliandosi un discreto spazio personale e contribuendo anche ai cori; a loro inoltre si aggiunge talvolta il contrabbasso di Johannes Lundberg, l’unico ospite intervenuto e presente per altro anche nel disco dei Salamander. 
Il disco è ovviamente molto omogeneo ma meritano almeno una citazione il celeberrimo “Gelem Gelem”, che è considerato l’inno nazionale dei Rom e qui ha un bel finale in chiave flamenco, e “Meletitsa”, una canzone d’amore russa già resa nota dal folksinger Theodore Bikel diventata uno standard del canzoniere del popolo nomade. In “Sonitsa” ci sono poi un altro paio di “digressioni” fra cui un motivo klezmer, “Tans Tanz Yidelech”, e questo ci porta all’album dei Salamander che, come già detto, sono esattamente lo stesso trio ma sotto altro nome; si tratta infatti di un progetto parallelo nato contemporaneamente a Krilja ma tenuto volutamente separato in quanto ideato inizialmente per intraprendere un percorso musicale attraverso un’area musicale molto più estesa che va dalla musica antica a diverse tradizioni europee, mediterranee e persino asiatiche, come documentato dall’omonimo debutto discografico del 2014. Dal successivo album, “Como La Rosa” (Liljans Musik, 2028), il gruppo però ha cominciato seriamente a focalizzarsi sulla grande e variegata tradizione musicale ebraica, a partire dalla musica sefardita che ancora oggi occupa una posizione di rilievo nel suo bagaglio personale, per arrivare alla musica klezmer e la tradizione chassidica sino a materiale più contemporaneo. Va detto che Marita Johansson, accanto alla sua speciale passione per la musica delle genti Nomadi, si è sempre occupata anche della ricerca di canti della cultura ebraica mentre Jonas Liljeström, che oltre al violino in “Jojnes Trojm” suona il pianoforte e canta come solista in un paio di tracce, è in parte di origini giudaiche e ha mostrato un forte interesse per la storia del popolo ebreo sin dall’infanzia. Emil Pernblad, l’ultimo arrivato in questo trio dove ha sostituito due precedenti membri, ha invece messo da parte la chitarra per imbracciare qui uno strumento forse più malleabile come il bouzouki. Nel terzo album i Salamander, riprendono in pratica le tematiche del suo predecessore ed evitano per fortuna i canti e le melodie più sfruttate della musica sefardita e klezmer, concedendo maggior spazio alle partiture strumentali, con il violino ovviamente a fare da protagonista, soprattutto in brani come “Sirba 1 & 2”, una danza popolare rumena da tempo integrata nell’ambito della cultura yiddish. Anche in questo lavoro non mancano alcune interessanti divagazioni che giustificano il sottotitolo “Music From Jewish Traditions & Beyond” ma si incastonano più che bene nel contesto generale senza disturbare affatto: “Ronde 1 ‘Pour Quoy’/Vive Henri IV” è un set in cui una partitura del celebre compositore fiammingo Tielman Sousato ha come seguito una ballata folk francese del XVI Secolo, lo stesso periodo acui appartiene “Fuggi Fuggi Fuggi” (conosciuta anche come “La Mantovana”) di Giuseppino Cenci, una melodia che nel tempo si è diffusa enormemente in tutta Europa venendo assimilata dalla cultura popolare sino ad arrivare a fornire la base per “Hatikvah”, l’inno nazionale d’Israele. Repertorio a parte i due dischi si equivalgono per gli eccellenti libretti (redatti in inglese e prodighi di annotazioni di carattere storico e musicale) nonché per arrangiamenti e perizia tecnica anche se in quello dei Salamander sembra esserci un po’ di fervore in più che forse manca ai Krilja a cui va però ascritto il merito di cercare di riportare alla luce un canzoniere assai più trascurato e sottovalutato rispetto ad altri suoni originari di Balcani e Europa Orientale. 


Massimo Ferro

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