Anni fa, durante uno scambio epistolare con Ian Kearey – all’epoca bassista della Oyster Band ma anche esperto recensore di “guitar music” per la rivista fRoots – alla sua domanda circa i miei chitarristi acustici preferiti in Europa, ricordo di aver menzionato senza esitazione i nomi di Pierre Bensusan, Peter Finger e Martin Simpson; opinione che in linea di massima condivido tuttora pur sapendo di dover trascurare diversi altri fenomenali maestri dello strumento.
Ma Martin Simpson non è soltanto uno dei massimi esponenti nel campo della chitarra acustica, un virtuoso dalla tecnica personalissima e facilmente riconoscibile, decisamente melodica e raffinata e caratterizzata da un uso intensivo delle accordature aperte (in questo disco soprattutto quella in do/sol/do/sol/do/re) e un suono sempre particolarmente limpido e squillante.
Simpson infatti è anche e soprattutto un brillante interprete con un vasto repertorio che da sempre pesca nella tradizione delle Isole Britanniche senza trascurare escursioni anche Oltreoceano, nel folk contemporaneo (o, se preferite, nella canzone d’autore), nel blues e nella musica degli Appalachi. A tal proposito si veda, o meglio si ascolti, il suo precedente lavoro, realizzato a quattro mani con il tedesco di Nashville, Thomm Jutz, “Nothing But Green Willow – The Songs Of Mary Sands And Jane Gentry” (Appaloosa, 2023),
un gioiello dedicato al materiale raccolto nella regione appalachiana dall’etnomusicologo Cecil Sharp fra il 1916 e il 1918 e realizzato con un cast d’eccezione comprendente fior di ospiti da una parte e l’altra dell’Atlantico. In quel lavoro però l’artista di Scunthorpe si era limitato, si fa per dire, a suonare lil suo strumento, lasciando le prestazioni vocali ai vari Seth Lakeman, Tim O’Brien, Cara Dillon, Sierra Hull e così via.
“In Skydancers” invece Simpson torna a far sentire la sua voce dall’enfasi molto “traddy” ma indubbiamente ricca di sfumature e perciò sempre molto espressiva, qualunque sia la canzone da lui scelta. L’album è uscito in Gran Bretagna per lo storico marchio della Topic Records, con cui Martin Simpson collabora sin dai primi anni ottanta, a partire dal disco realizzato insieme a June Tabor, e ha pubblicato la maggior parte dei suoi album, sempre di altissima qualità.
Come il precedente lavoro anche questo però ha visto la luce nel nostro paese grazie alla Appaloosa Records, che ha provveduto anche a dare alle stampe una versione “De Luxe”, con un secondo CD contenente otto tracce in più (sei delle quali registrate dal vivo un anno prima) rispetto alla versione primaria, per un totale di diciotto spettacolari affreschi sonori. Inoltre, dettaglio tutt’altro che trascurabile, la versione italiana del libretto contiene le note in italiano dell’artista relativa a ciascun singolo episodio nonchè tutti i testi in inglese e relativa traduzione nella nostra lingua.
Per l’occasione il musicista è anche tornato a scrivere materiale originale firmando lo strumentale “Roger Cascade”, eseguito al banjo, altro strumento che ama e sa usare ottimamente, e la canzone che dà titolo all’intero album, nata su commissione per documentare la giornata dedicata a un raro uccello in via d’estinzione. E sempre su una specifica richiesta per un podcast sugli alberi, è nata la sua versione di “The Cherry Tree Carol”, antica carola che è stata registrata da molti in passato nelle sue varianti (Joan Baez, Pentangle, Shirley Collins, Peter Paul & Mary e persino Angelo Branduardi) ma è sempre un piacere poter ascoltare, specie se a eseguirla è uno che sa come imprimere un proprio marchio personale alla materia tradizionale.
Pare esistere una speciale connessione fra Simpson e gli alberi visto che qui c’è anche “Ridgeway” , altra composizione originale che era già apparsa in un precedente lavoro (“Trials & Tribulatons”, 2017), e se vogliamo la celebre ballata tradizionale “In The Pines”, in una versione qui quasi trasfigurata rispetto ad altre (Bill Monroe, Strange Creek Singers, Gene Clark e persino Nirvana) a cui viene restituito musicalmente il senso drammatico del testo. Il resto del contenuto di “Skydancers” è ancora perlopiù derivato dalla tradizione anglo-americana
con le riletture non meno riuscite e personali di, fra gli altri, “Flash Company”, “Leaves Of Life” e “Donal Og”, quest’ultima presente in due versioni una delle quali, solo strumentale, è stata incisa dal vivo e affidata alla chitarra slide (impiegata per altro anche, con la consueta competenza, anche altrove).
L’album contiene anche la rilettura di materiale contemporaneo, come “Fragile Water” di Nancy Kerr e diversi brani provenienti da autori americani, due dei quali, “New Harmony” e “Yew Piney Mountains”, composti da Craig Johnson, polistrumentista di old time music scomparso nel 2009.
E infine, da non dimenticare, ci sono tre omaggi ad altrettanti mostri sacri della musica americana: Woody Guthrie con la sempre attuale “Deporteee”, l’immancabile Bob Dylan di “Buckets Of Rain”, in cui Martin sfoggia un agilissimo quanto classico finger-picking, e, a sorpresa, Joni Mitchell con “Cactus Tree”, forse in assoluto una delle sue più belle canzoni.
Non è mai facile reinterpretare la cantautrice canadese ma anche qui Martin Simpson dà prova, come sempre, di essere in grado, con quella chitarra e quella voce, di maneggiare qualunque canzone o motivo strumentale con gusto, sensibilità e autorevolezza.
A dire il vero in “Skyedancers” appaiono qua e là anche alcuni contributi esterni grazie alla partecipazione di alcune voci supplementari e degli strumenti di Louis Campbell (chitarra elettrica e acustica), Andy Cutting (organetto), Liz Hanks (violoncello), Greg Leisz (pedal steel guitar) e Ben Nicholls (contrabbasso).
Sono soltanto un corollario, un’aggiunta utile che di certo porta varietà ma non appare indispensabile perché gli strumenti e la voce del titolare restano al centro di un lavoro che ancora una volta risulta pressoché perfetto.
Massimo Ferro