Martin Simpson & Thomm Jutz – Nothing But Green Willow: The Songs Of Mary Sands And Jane Gentry (Topic/Appaloosa Records, 2023)

Ciò che presentiamo in queste righe è un percorso lungo oltre un secolo. Che si genera – non del tutto inaspettatamente – nell’Inghilterra, o meglio nella cultura folclorica inglese, della prima metà del secolo scorso e si conclude con una raccolta di brani tradizionali, suonati e cantati da artisti contemporanei. Andiamo, pertanto, per gradi. L’inizio di questo percorso è rappresentato da Cecil James Sharp, folclorista, compositore e ricercatore inglese, classe 1859. La sua legacy – come vedremo in seguito – è ben più articolata di quanto si potrebbe pensare. E la sua attività di ricercatore riveste ancora oggi, nel panorama etnomusicale internazionale, un’importanza di primo piano. Se è vero, infatti, che Sharp si muove in un contesto grossomodo post-romantico e, sulla scorta di questo, si spinge a documentare, attraverso un fieldwork pragmatico ed entusiasta, un’ampia categoria di canti popolari, è altrettanto indubbio che ha saputo convogliare (ancora in vita) una buona parte dei suoi studi in numerose pubblicazioni e attività di valorizzazione delle produzioni espressive di tradizione orale. Gran parte delle sue ricognizioni hanno interessato i canti e le musiche popolari del sudovest dell’Inghilterra e della regione meridionale degli Appalachi. Proprio da qui provengono le tredici tracce che compongono “Nothing But Green Willow: The Songs Of Mary Sands And Jane Gentry”, selezionate da Martin Simpson (raffinatissimo chitarrista inglese, veterano che ha attraversato le tante stagioni del folk revival) e Thomm Jutz (produttore, chitarrista e songwriter di base a Nashville) a partire da una delle opere pubblicate da Sharp: “English Folk Songs from the Southern Appalachians” del 1932. Nel corso di quella ricognizione, Sharp raccoglie oltre cento brani. Ma gli autori di questo album – stupefacente per bellezza e qualità esecutiva – rimangono abbagliati dai canti che Sharp registra da Mary Sands e Jane Gentry. Perché, si può leggere nelle note dell’album, “queste ballate erano più misteriose delle altre e in un certo senso rilevanti oggi quanto centinaia di anni fa, perché legate ad archetipi che trascendono da vincoli di tempo e luogo”. Una volta appurato questo aspetto – certo soggettivo ma condivisibile, in ragione della sobria delicatezza che intesse l’album – Simpson e Jutz iniziano a muoversi nello spazio a loro più congeniale: l’esecuzione alla chitarra, l’arrangiamento di strumenti a corde, la definizione di un impianto folk (puro e naturale: non revivalistico), la selezione di voci forti e morbide, profonde e permeabili, nella maggior parte dei casi femminili, dalla scena bluegrass, gospel e folk: Emily Portman, Sierra Hull & Justin Moses, Odessa Settles, Seth Lakeman, Tim O’Brien, Ann Bradley, Tim Stafford, Cara Dillon, Tammy Rogers, Angeline Morrison. Ci piace pensare che il lavoro degli autori sia stato facilitato dalla visione dello stesso Sharp, il quale, in più occasioni, ci ha dimostrato che il suo interesse non era soltanto di carattere etnografico ma anche musicologico e musicale. Difatti – e qui arriviamo alla sua Legacy di cui si accennava poco sopra – ci sono almeno due riflessi del lavoro di Sharp che spostano il baricentro delle sue ricerche verso la riproposta sperimentale. In un caso si tratta di un suo songbook, pubblicato nel 1916, il cui titolo illustra anche il suo interesse nei confronti della divulgazione: “English folk songs, collected and arranged with pianoforte accompaniment by Cecil J. Sharp”. Il secondo caso è più complesso e, ancora oggi, riconduce le espressioni popolari che Sharp ha studiato ad attività che vanno ben oltre l’accademia. Si tratta della English Folk Dance and Song Society (riassunta nell’acronimo EFDSS), fondata da Sharp e altri studiosi nel 1932 attraverso la fusione della Folk-Song Society e della English Folk Dance Society. Oggi, tra le molte attività, la EFDSS – la cui sede è la casa di Sharp, nel quartiere Camden di Londra – sostiene il Cecil Sharp Project, una resident commission, composta da diversi artisti, che ha lo scopo di creare nuovo materiale a partire dal patrimonio musicale collezionato da Sharp. Insomma, tanto era necessario per inquadrare l’album in questione - di cui invero poco si dice nello specifico. Ma ci auguriamo che ricongiungere le attività dei soggetti che, a più di un secolo di distanza, partecipano a questo straordinario processo, possa accendere un buon grado di curiosità. 


Daniele Cestellini 

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