Kiran Ahluwalia – Comfort Food (Kiran Music, 2024)

Quest’album è la mia risposta musicale all’intolleranza culturale e al tribalismo nella mia terra natale, l'India, la sua diaspora e in tutto il mondo. Queste canzoni si sforzano di dare voce agli emarginati; lavorare su di loro mi ha dato una liberazione dal senso di impotenza: sono stati il mio comfort food”, ecco subito spiegato il nome dato al suo ultimo lavoro – l’ottavo - da Kiran Ahluwalia. Nata in India, dopo aver vissuto brevemente in Nuova Zelanda e più a lungo in Canada, adesso cittadina newyorkese, la Ahluwalia è stata in vetta alle classifiche nordamericane ed europee della world music e ha vinto due Juno Awards, un Canadian Folk Music Award e il Songlines Award nel Regno Unito. Sensibile e versatile, mescola tradizione e modernità in un album intenso e gradevole. La sua musica risente della tradizione canora del ghazal e della musica sacra Qawwali ma è influenzata anche da generi occidentali (pop, rock, rhythm & blues e jazz) e dall’interesse per i suoni saheliani. La sua voce spazia assertiva ma anche melanconica, e con un inconfondibile timbro espressivo, lievemente nasale, interpreta in modo personale i diversi stili vocali indiani e pakistani attraversando i brani come in un flusso liquido e trascinante. “Comfort food” è un lavoro politico, di protesta e speranza. Otto tracce veloci quasi tutte composte dalla Ahluwalia che lasciano il segno. Si inizia con “Dil”, nello stile di un moderno e sincopato punjabi folk, canzone che invita ad ignorare le norme sociali e ad affermare i propri desideri senza vergogna, in particolare in riferimento alla doppia morale che esiste in tutto il mondo: la società si mostra tollerante verso gli uomini che esprimono pubblicamente il proprio desiderio fisico, mentre le donne spesso si trovano ad affrontare un controllo ingiusto e a provare vergogna. La seconda appassionata traccia, “Tera Jugg” parla del senso di sopraffazione dovuto allo stato attuale di polarizzazione politica nel mondo dove i politici nazionalisti stanno prendendo di mira minoranze etniche e immigrati. Nasce dalla collaborazione con la cantautrice algerina Souad Massi il brano “Ban Koulchi Redux”. Nel 2011, quando ha registrato “Mustt Mustt” con il supergruppo tuareg Tinariwen, Kiran ha esplorato le connessioni tra la musica dell'Africa occidentale e quella indiana, connessioni che vengono richiamate oggi in questo brano ritmato interpretato alternativamente dalle voci delle due artiste in un invito ad avvicinare due mondi diversi. “Har Kayal” è una canzone amara che racconta una rottura – da un lato c’è l'amarezza della separazione, dall'altro il ricordo evoca una dolcezza in cui ci si vuole ancora soffermare. Centrale nella canzone è il catturante riff alla chitarra. “Pancake” è una moderna canzone Punjabi con un sinuoso intervento alla fisarmonica, composta con l’idea di creare un’unione profonda condividendo pancakes. Le parole di “Tum Dekhoge” nascono da una poesia di protesta di Hussain Haidry, autore di spoken word, scritta in risposta alla brutalità della polizia durante una pacifica manifestazione femminile di protesta a Nuova Delhi contro il Citizenship Amendment Act, proposto dal governo fondamentalista induista indiano che tende ad emarginare i musulmani per impedire loro di diventare cittadini indiani, anche se le loro famiglie vivono in India da secoli. “Jaane Jahan” è la risposta di Kiran all’integralismo: “Le mie parole mirano a ricordarci che sanguiniamo tutti dello stesso rosso; le nostre lacrime hanno il sapore dello stesso sale: siamo la radice di un albero di cui tutti facciamo parte, la stessa specie umana”. L'impulso per la composizione di questa canzone è costituito dall'ascesa del fondamentalismo indù che emargina le minoranze etniche, ideologia incarnata nel partito politico che attualmente governa l’India. Secondo Kiran questa ondata di odio religioso si è diffusa anche nella diaspora indiana, e molti di coloro che si oppongono non parlano apertamente per paura di ripercussioni. La ferita a cui si riferisce in questo testo è la divisione di India e Pakistan – una volta un popolo unito – e la storia della perdita della fraternità. “Ho scritto la canzone per la mia patria ma vedo lo stesso tribalismo nella mia patria adottiva del Canada e degli Stati Uniti e in altre parti del mondo”. Molti scrittori indiani compongono in inglese guadagnando popolarità in Occidente, tuttavia c'è un altro sotterraneo, vibrante gruppo di scrittori, tra cui il poeta pakistano-canadese Rasheed Nadeem, che ha scritto nella propria lingua. Il testo dell’ultima traccia “Zameen Par” è proprio una poesia in lingua urdu in stile ghazal, genere che risale al XII secolo, composta da Rasheed Nadeem che, insoddisfatto dello stato di cose nel mondo, invita a dare un nuovo significato all’esistenza. La band che accompagna in modo incisivo Kiran Ahluwalia con arrangiamenti in cui ben si combinano tradizioni sonore indiane, tocchi africani e generi occidentali, è composta dal chitarrista Rez Abbasi, anche arrangiatore e produttore dell’album, Louis Simao alla fisarmonica e all’organo, Rich Brown al basso, Ravi Naimpally alle tabla, Davide Derenzo alla batteria, Mark Duggan alle percussioni, Robbie Grunwal e Joaquin Nunez che intervengono rispettivamente a fisarmonica e organo, e al djembe e percussioni, nei brani “Tum Dekhoge” e “Jaane Jahan”. “Comfort food” è un lavoro musicalmente convincente, politicamente impegnato, senza dubbio da ascoltare ed apprezzare nelle sue vibranti, caleidoscopiche, coinvolgenti sonorità. kiranahluwalia1.bandcamp.com/album/comfort-food


Carla Visca

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